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domenica 21 ottobre 2012

Il PNE degli anni '50, il PNE della Finale di FA CUP del 1954


Il Preston North End, i Lilywhites, gli Invincibili… si è vero, per tutti il PNE è famoso per quella meravigliosa squadra che vinse i primi due campionati della storia del football, quella squadra che venne di diritto soprannominata “The Invincibles”, quella squadra capace di vincere il primo campionato nella stagione 1888-89 senza perdere nessuna delle 22 partite giocate, quella squadra che schierava giocatori come John Goodall, 20 gol durante il primo campionato, e Jimmy Ross, quella squadra che conquistò anche la FA CUP nella Finale giocata al “The Oval” contro il Wolverhampton il 30 marzo 1889 e vinta per 3-0, quella squadra che nella stagione precedente battè 26-0 l’Hyde (con 7 gol segnati da Jimmy Ross), vittoria record in FA CUP ancora oggi, quella squadra che entrò nella leggenda del football… Gli Invincibili del Preston North End, cosi li chiamarono… che squadra, che storia, che leggenda…

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Ma poi purtroppo il grande Preston North End non si sarebbe più ripetuto e quei campionati sarebbero rimasti gli unici conquistati, mentre la FA CUP venne conquistata ancora nel 1938 nella Finale di Wembley con il North End che sconfisse 1-0 l’Huddersfield grazie al gol di Mutch.

Ci sono state però atre stagioni importanti per il PNE e soprattutto si deve ricordare quella squadra che alla fine degli anni ’40 e ad inizio degli anni ’50 fece sognare i propri tifosi.
Erano i tempi del dopoguerra  e la squadra schierava un certo Tom Finney che debuttò nella stagione 1946-47, stagione nella quale il PNE si classificò al settimo posto nel campionato di Division One; in quella squadra giocavano anche il grande Bill Shankly e il bomber Willie McIntosh, ma fu proprio Tom Finney la rivelazione della squadra, un giocatore che sarebbe poi diventato nel corso della sua carriera un’assoluta leggenda del Preston North End e del football inglese.


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Sir Tom Finney

Nella stagione successiva il PNE si confermò ottenendo ancora un ottimo settimo posto mettendo in mostra un altro giocatore, il bomber, Andy McLaren, ma nella stagione 1948-49 arrivò un inaspettato e deludente ventunesimo posto in classifica che costò la retrocessione. Questa fu anche l’ultima stagione di Shankly che si ritirò alla fine della stessa dopo ina carriera dedicata quasi interamente al Club con il quale vinse la FA CUP del 1938.


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Shankly

Il Preston nella stagione successiva non riuscì a centrare la promozione ottenendo il sesto posto in classifica nel campionato di Division Two, ma nella stagione 1950-51 vinse il campionato conquistando la promozione classificandosi al primo posto davanti al Manchester City.
In questa stagione vincente emerse, oltre al confermato talento di Finney, anche il bomber Charlie Wayman, autore di 29 gol (27 in campionato) che contribuirono in modo fondamentale alla conquista della promozione. 

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Wayman



Quella squadra era guidata dal manager Will Scott e da “Mr Preston North End” Jimmy Milne, uno che aveva vestito la maglia White dal 1932 giocando con Shankly e conquistando la FA CUP nel 1938, uno che dedicò la propria carriera, interrotta dalla Guerra, al PNE.


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Mr Preston North End


Nel 1951-52 il neopromosso Preston NE ottenne un ottimo settimo posto in campionato, il bomber della squadra fu ancora lui, Wayman, autore anche di una tripletta in un match memorabile e terminato 3-3 ad Highbury, contro l’Arsenal.
Già, l’Arsenal…. E chi avrebbe pensato che nella stagione successiva, la memorabile ed incredibile 1952-53, il Preston North End contese fino all’ultima giornata il Titolo di Campione di Inghilterra  proprio ai Gunners?
Della stagione 1952-53 ne abbiamo già parlato dettagliatamente, ma riassumendo, il Preston  giocò un campionato fenomenale conquistando 54 punti, gli stessi dell’Arsenal che vinse il campionato soltanto grazie alla migliore media di gol segnati e subiti.
Il campionato delle due squadre fu talmente equilibrato che entrambe le squadre ottennero 54 punti ottenuti attraverso 21 vittorie, 12 pareggi e 9 sconfitte, l'Arsenal segnò 97 reti subendone 64 per una differenza reti di +33, mentre il Pne segnò 85 gol subendone 60 per una differenza reti di +25.
La regola della differenza reti, però, non era ancora in vigore (sarebbe poi stata introdotta nel 1977) ed in questi casi era la media dei gol segnati e subiti a decidere le sorti di quel campionato: l'Arsenal ottenne una media di 1,516, mentre il Pne di 1,417.
I Gunners quindi vinsero il campionato grazie alla minima differenza a favore di 0,099.
Quella stagione fu davvero memorabile per il Preston North End, guidato fino a marzo da Will Scott e successivamente da Scott Symon, il capocannoniere fu il solito Wayman, ma molti altri giocatori furono ovviamente importanti, a cominciare da Finney, ma anche Tommy Docherty e Angus Morrison, tutti giocatori che sarebbero poi stati protagonisti nella stagione 1953-54 di un’altra grande impresa del PNE.
In quella stagione, infatti, il PNE raggiunse la Finale di FA CUP che si contese a Wembley contro il West Bromwich Albion.
In campionato il North End non riuscì a confermare la splendida annata precedente ed ottenne un deludente undicesimo posto in classifica.
Ma concentriamoci sulla cavalcata in FA CUP che portò il Preston alla Finale poi purtroppo persa per 3-2 in una partita spettacolare e piena di emozioni.
La stagione 1953-54 e soprattutto la Finale di FA CUP giocata il 1 maggio 1954 a Wembley restano nella storia di questo meraviglioso Club come una delle migliori, uno dei ricordi più belli seppur il PNE ne uscì sconfitto; sconfitto sì, ma con onore, dopo aver combattuto come dei leoni per 90 minuti, dopo aver lottato con orgoglio fino alla fine…
La squadra, guidata dal duo Scott Symon e ancora dal leggendario Jimmy Milne, era formata da questi 11 eroi:
1 George Thompson, portiere che arrivò a Deepdale nel 1952 dallo Scunthorpe, deceduto nel 2004
2 Willie Cunningham, terzino destro, 487 presenze nel PNE, una leggenda, scozzese che giocò per la Scozia nel Mondiale del 1954. Deceduto nel 2000
3 Joe Walton, terzino sinistro, 435 presenze nel Pne, arrivò nel 1948 dal Man Utd e restò fino al 1961. Deceduto nel 2006
4 Tommy Docherty, centrocampista destro, scozzese, arrivò a Deepdale nel 1949 dal Celtic per sostituire il connazionale Shankly. Ha collezionato 323 presenze, giocò per la Scozia nel Mondiale del 1958. Soprannominato “The Doc”, altro giocatore che resterà per sempre nella storia del PNE
5 Joe Marston, difensore centrale, australiano, la Finale contro il WBA fu la sua ultima partita con il PNE,  fu il primo australiano a giocare una Finale di FA CUP
6 Willie Forbes, centrocampista sinistro,  giocò 191 partite con il Club, nel 1956 lasciò il PNE per andare al Carlisle. Deceduto nel 1999.
7 Sir Tom Finney, esterno destro, Capitano, la Leggenda, il miglior giocatore del PNE di tutti i tempi. Debuttò nell’agosto del 1946 contro il Leeds segnando anche un gol. 473 presenze, 210 gol, una sola maglia, una sola fede. L’ultima partita il 30 aprile 1960 contro il Luton. Ha compiuto 90 anni, festeggiati con varie manifestazioni anche a Deepdale, lo scorso 5 aprile (2012).
8 Bob Foster, centrocampista, sette stagioni a Deepdale, arrivò nel 1951 dal Chesterfield. Deceduto nel 2006.
9 Charlie Wayman, attaccante centrale, 171 presenze e 117 gol per il North End tra il 1950 e il 1954. I suoi gol furono fondamentali per il ritorno in First Division, e per la lotta al Titolo contro l’Arsenal. Ovviamente segnò anche nella Finale contro il WBA. Il suo soprannome era Cheerful Charlie. Un grande bomber in qualsiasi squadra giocò. Deceduto nel 2006.
10 Jimmy Baxter, centrocapista sinistro, scozzese, 71 gol in 267 partite con il PNE, arrivò nel 1952 e divenne uno dei giocatori favoriti dei tifosi. Deceduto nel 1994.
11 Angus Morrison, esterno sinistro, arrivò al PNE nel 1948 dal Derby County, collezionando 262 presenze e segnando 70 gol. Deceduto nel 2002.



La corsa verso la Finale di Wembley iniziò dalla partita vinta sul campo del Derby County per 0-2 con i gol di Finney e Wayman.
Nel quarto turno arrivò un’altra vittoria esterna per 0-2 contro il Lincoln City grazie ai gol di Baxter e Wayman che in questa occasione segnò il suo 100° gol per il Club. La partita si disputò su un campo ghiacciato che condizionò la maggiore classe dei giocatori del PNE che riuscirono comunque ad avere la meglio dimostrando la propria superiorità.
Il quinto turno vide il PNE impegnato in casa, a Deepdale, contro l’Ipswich Town; il North End si sbarazzò degli avversari con un tennistico 6-1 grazie alle doppiette del solito Wayman e di Baxter, oltre ai gol di Finney e Morrison.
Nel sesto turno il PNE, per avere la meglio del Leicester City, ebbe bisogno addirittura di due replay: nella prima partita, giocata a Leicester, infatti , le squadre pareggiarono 1-1 con il gol di Morrison pareggiato nel finale da una punizione dalla lunga distanza di Jackson.
Il primo replay si giocò a Deepdale ed anche in questo caso il risultato fu di parità, questa volta per 2-2 con i gol del Pne siglati da Wayman e Morrison sempre in rimonta.
Il secondo replay si giocò sul campo neutro di Hillsborough, a Sheffield, con il North End che riuscì finalmente ad avere la meglio sugli avversari vincendo per 3-1. Il PNE si portò sul 2-0 con Baxter e Foster, ma il Leicester accorciò le distanze con Rowley in dubbia posizione di fuorigioco. Ci pensò però Finney a spezzare finalmente l’equilibrio segnando il gol del definitvo 3-1 che chiuse il match.

Si arrivò così alla semifinale, già un successo, ma questo PNE era una squadra davvero forte e determinata che vinse 2-0 contro lo Sheffield Wednesday.
La partita si giocò al Maine Road di Manchester e il North End giocò una partita spettacolare nella quale avrebbe potuto segnare molti più gol. Assoluto protagonista fu Finney che regalò grandi giocate e gli assit decisivi per i gol di Wayman e Baxter. Un dato significativo fu il conteggio dei corner battuti dalle due squadre: 23 il PNE e 1 soltanto il Wednesday.

Il PNE aveva finalmente raggiunto il sogno di andare a Wembley, fu una grande cavalcata, la conquista della Finale fu meritata, e tutta la squadra era eccitata dal pensiero di potersi giocare una Finale di FA CUP. L’avversario sarebbe stato il West Bromwich Albion che in semifinale aveva avuto la meglio sul Port Vale, ma poco importava, l’importante era esserci, l’importante era avere la possibilità di provarci, l’importante era portare a Wembley la gente di Preston, l’importante era far parte di quel sogno, tutti volevano esserci.

Il bellissimo libro “Preston North End 1954 FA CUP Final” di Mike Hill, mostra bellissime foto dei giocatori che attendono il giorno della Finale andando a comprarsi il vestito “giusto” per l’occasione e foto che ritraggono gli undici pronti alla partenza in treno per Londra.
Dopo la FA CUP vinta dai rivali del Blackpool nella stagione precedente (la famosa Finale in cui il Blackpool vinse 4-3 contro il Bolton e passata alla storia come la Finale di Mattews), il PNE voleva rispondere e Finney, che vinse il premio di miglior giocatore dell’anno, era attesissimo, quasi come se dovesse rispondere all’avversario/amico Stanley Mattews, assoluto protagonista di quella vittoria.

Alla partenza dalla stazione ferroviaria di Preston c’era un ospite d’onore ad augurare la vittoria agli undici eroi: si trattava di Bob Holmes, uno dei famosi Invincibili del Preston North End, l’ultimo degli Invincibili, l’ultimo sopravvissuto, all’età di 87 anni.


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L'Ultimo degli Invincibili: Bob Holmes

Queste le parole di Sir Tom prima della Finale: “The atmosphere was exciting. I think everyone was excited in the first place that we had reached Wembley”.

Questo dimostra quanto fosse importante per il PNE e per I suoi tifosi il solo fatto di trovarsi lì. Di trovarsi lì a Wembley a giocarsi la Finale. Era già un successo ed un motivo di orgoglio, ma non per questo il raggiungimento della Finale doveva essere un punto di arrivo… ovviamente  a questo punto l’obiettivo era quello di vincerla questa Finale!

E Finney e gli altri fecero davvero di tutto per conquistare l’ambito Trofeo.

La squadra arrivò a Londra e soggiornò all’Hotel Savoy. Delle foto ci mostrano alcuni momenti di relax nei quali i giocatori si sfidano in gare di biliardo e con i giocatori sui campi di golf.


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Giocatori in relax

Intanto a Preston i tifosi si organizzavano per la trasferta londinese e cominciò la caccia al biglietto… addirittura una foto ed un annuncio comparso sul Lancashire Evening  Post del 10 aprile 1954 mostra come un certo Mr Jim Stott, venditore di frutta e fiori a Preston, offriva la propria auto, una Armstrong Siddeley del 1937, in cambio di sei biglietti per la Finale! Alla fine, a quanto pare, non riuscì ad ottenere i sei biglietti (ricevette offerte per cinque biglietti, ma non accettò) e dovette rinunciare alla partita.
Un altro tifoso, Mr Albert Murray, residente nella Brougham Street a Preston, si offrì di imbiancare una qualsiasi casa in cambio di un biglietto… ci fu un offerente il quale però pretese che Murray dovesse pagare anche il materiale.. Murray rifiutò dicendo che lui aveva offerto solo la sua manodopera..

Comunque tutta Preston si mobilitò per la trasferta londinese… la stazione dei treni era invasa di tifosi e lo stesso fu per Londra. I tifosi entusiasti si fecero fotografare davanti a Buckingham Palace, a Trafalgar Square, chissà forse per molti di loro, gente del Lancashire, era una delle poche occasioni o addirittura l’unica occasione per vedere Londra, la Capitale, per vedere la residenza della loro Regina, per molti di loro questa non era solo la Finale di Fa Cup, questa era una fantastica giornata a Londra, una giornata indimenticabile, qualsiasi fosse stato il risultato della partita.
Tutti indossavano la sciarpa del North End oppure una coccarda celebrativa sulla giacca, l’entusiasmo era alle stelle, ma anche l’attesa e la tensione cominciavano a farsi sentire.


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Il grande giorno del match arrivò: Sabato 1 maggio 1954; la squadra pranzò in una sala privata dell’hotel prima di raggiungere lo Stadio di Wembley.
La tensione era altissima, per molto giocatori questa era la partita della vita, l’ultima occasione per vincere qualcosa di importante, la FA CUP era, e resterà sempre, un Trofeo ambito ed importantissimo per qualsiasi calciatore inglese e Wembley era il Tempio del Football.
Un onore esserci, un orgoglio personale e di squadra fortissimo.

Iniziò la “processione” dei tifosi di entrambe le squadre verso Wembley, verso le “Due Torri”, un afflusso di gente incredibile con i colori bianco e blu navy, i colori sociali di entrambi i Club.

Lo stadio era stracolmo, 100.000 presenti,  e con la Regina Madre a presenziare.
Prima del match sul campo di Wembley si esibirono le Guardie della Regina, un grande spettacolo, una grande emozione per tutti i presenti.

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La Locandina della Finale

I giocatori attendevano di fare il loro ingresso in campo, la tensione, l’emozione e la paura salivano, mentre sentivano il boato del pubblico, loro erano lì ad attendere il loro momento…

Queste le parole di Sir Tom che possono aiutarci a comprendere lo stato d’animo dei giocatori in quei momenti così intensi e colmi di emozioni, un susseguirsi di emozioni che però poi, una volta in campo, avrebbero dovuto lasciare spazio alla concentrazione ed alla determinazione:

“It was a great feeling walking out to the crowd in the tunnel, I think everyone still enjoys that feeling. There were a lot of people who would have spent a lot of money to get to Wembley in those days. The crowds were always great, they really supported the clubs involved and the atmosphere was marvelous. It was all quite friendly between the fans in those days; I don’t think there was any misbehavior, certainly not at Wembley.
We met the Queen as well but I don’t know what she said to me. They usually just wished you for the game.
The pitch was perfect, it was everything you could ask for as a footballer.”

Arrivò il momento dell’ingresso in campo, I due Capitani, Tom Finney per il PNE e Len Millard per il WBA, guidarono le squadre verso il centrocampo dove incontrarono e strinsero la mano alla Regina Madre alla quale presentarono ogni membro delle relative squadre.
Il pubblico cominciò a cantare “Abide with me” con grande partecipazione creando un’atmosfera davvero favolosa… noi la possiamo solo immaginare… essere lì deve essere stata un’esperienza ed un’emozione unica.

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Tra il pubblico del North End c’era anche il piccolo Bobby Rowe, la mascot della squadra, con la divisa del Club. Una foto ritrae il piccolo ragazzino biondo che, in piedi davanti al pubblico del PNE, saluta sorridente il fotografo. Che bello vedere quella immensa folla, abbigliamento tipico di quei tempi, con berretto, cappotto, cravatta o sciarpa e coccarda celebrativa, uomini e donne, giovani e meno giovani, bambini, tutti festanti, tutti insieme per sostenere la propria squadra.
Foto meravigliose che ci fanno capire cosa rappresentava il football in Inghilterra in quei tempi, un momento di festa e di aggregazione.
E tra il pubblico del Preston non poteva mancare Bob Holmes, come già detto in precedenza, l’ultimo degli Invincibili, che portò con sé un binocolo per gustarsi meglio la partita.. forse anche perché, data l’età, la sua vista non era più come quella di una volta!
Per ragioni di salute non potè invece partecipare a questa giornata memorabile Mr James I. Taylor, il Presidente del North End, sostituito però dalla moglie Mrs Taylor!


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Le due formazioni:

Preston North End: Thompson, Cunningham, Walton, Docherty, Marston, Forbes, Finney, Foster, Wayman, Baxter, Morrison

West Bromwich Albion: Sanders, Kennedy, Millard, Dudley, Dugdale, Barlow, Griffin, Ryan, Allen, Nicholss, Lee

Sicuramente l’attaccante Allen era il giocatore più pericoloso del WBA, un giocatore che aveva portato con la sua doppietta  contro il Port Vale in Finale I Baggies, un giocatore che giocò tra il 1950 e il 1961 per questo Club segnando qualcosa come 208 reti.


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La stretta di mano fra i due Capitani e poi l’arbitro, A. Luty, diede inizio al match!  

La partita fu assolutamente spettacolare e colma di emozioni; come già detto il WBA vinse per 3-2 dopo una lotta intensa contro un avversario deciso a non arrendersi mai.
I Lilywhites combatterono fino alla fine e si dovettero arrendere soltanto all’87° minuto quando Griffin segnò il gol decisivo a favore dei Baggies.

Il match fu sin dai primi minuti molto combattuto con entrambe le squadre molto intraprendenti, ma fu il WBA a passare in vantaggio al 21° minuto di gioco con il bomber Allen che dopo essersi liberato della marcatura di Cunningham ha battuto Thompson.
Il Pne riuscì però a reagire immediatamente.. palla al centro, azione dei Lilywhites che portò al gol Morrison al 22° minuto, fu l’1-1, risultato con cui terminò il primo tempo.


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Dopo l’intervallo le squadre tornarono in campo decise a prendersi la vittoria ed al 51° il North End realizzò il gol del sorpasso con una bellissima conclusione al volo di Wayman sulla quale il portiere avversario non potè nulla.


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Il gol di Wayman arrivò però con il giocatore in dubbia posizione di fuorigioco, ancora oggi rimane il dubbio, ma la sensazione è proprio quella di una posizione irregolare.
Per il bomber del North si trattò in ogni caso del sesto gol in questa competizione, un gol in ogni turno, anche se non in ogni partita (non segnò in due delle tre partite giocate contro il Leicester).
Fu ovviamente una grande gioia per la squadra e per i tifosi accorsi da Preston, ma durò soltanto dodici minuti dato che al 63° ancora Allen segnò per il WBA grazie ad un calcio di rigore assegnato a causa di un fallo commesso all’interno della propria area di rigore da Docherty ai danni di Barlow.
Dev’essere stato un momento di grande tensione per il portiere del North End, Thompson, trovarsi di fronte in una Finale così importante al tiro dagli undici metri di un grande attaccante come Allen.. momenti di tensione per entrambi i giocatori che poco dopo si trasformarono in gioia per il giocatore dei Baggies e in dispiacere per il portiere dei Lilywhites.

Con ancora circa trenta minuti da giocare e con il punteggio in equilibrio le due squadre lottarono alla ricerca del gol; galvanizzati dal gol del pareggio i Baggies cercarono subito di sfruttare il momento, ma la difesa del Preston si comportò molto bene impedendo agli attaccanti avversari di rendersi pericolosi.

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Ma fu il portiere del WBA, Sanders, a rendersi protagonista di una grande parata su una conclusione di Foster.
Le speranze del North End però purtroppo terminarono all’87° minuto, a pochi minuti dal termine dei tempi regolamentari, quando Griffin tagliò dalla fascia verso il centro del campo e scoccò un tiro veloce e obliquo che non lasciò speranze a Thompson.
Fu il gol del definitivo 3-2 che permise al West Bromwich Albion di conquistare la FA CUP tra la grande gioia dei suoi tifosi.


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La delusione per i giocatori del Preston fu davvero grande, per molti questa era la partita della vita, l’emozione forse condizionò la prestazione di alcuni di loro ed anche di Finney, il giocatore più talentuoso che però in questa partita non riuscì ad avere una buona prestazione.

Dalle dichiarazioni di Finney si può sicuramente capire la sua delusione per la sconfitta, ma anche per non essere riuscito ad incidere come avrebbe voluto sulla partita.
Finney descrisse la sua prestazione come una delle sue peggiori, proprio in quella che avrebbe potuto essere la partita della sua vita.
Sempre secondo Sir Tom i giocatori del Preston erano molto nervosi prima del match, era la prima volta che quella squadra conquistava la Finale di Coppa e la voglia di vincere era tanta, ma probabilmente l’emozione ne condizionò la prestazione.

Finney dichiarò: “I twill always remain my worst performance. I could do little right on the day when I wanted everything to go better than ever before.
My legs felt heavy and I was running around like I had a sandbag across my shoulders. I was desperate to do well for the manager, the club, myself and my family and friend who were there that day. But I let them all down with a performance I have always wanted to erase from my memory.
I do have regrets in the sense that we would have liked to have won, particularly for the spectators who all went down full of hope. We would have liked to have played the game over again to be honest and played a much better game.
At the end it was like it always is at cup finals there is nothing for the losers and everything for the winners, It was hard watching them pick up the cup”

Parole umili, parole da grande Capitano, un Capitano che si prese le proprie responsabilità e che si dispiaceva per i suoi compagni, la sua famiglia e per i tifosi arrivati fino a Londra per la partita.
Quella sconfitta fu una vera delusione.

Per il Club e per i tifosi quella giornata fu comunque una festa, il raggiungimento della finale, la partita a Wembley, furono comunque motivo di soddisfazione ed orgoglio.
La sera stessa all’Hotel Savoy la squadra cenò e brindò nonostante la sconfitta, la delusione era forte, ma il fatto di averci provato e di essere andati così vicini a conquistare la FA CUP colmarono comunque di orgoglio Finney e tutti gli altri giocatori.

Il giorno del ritorno a casa fu incredibile: a Preston la squadra venne accolta come se avesse vinto il trofeo e i giocatori trattati come degli eroi.
I giocatori vennero accolti ufficialmente in Market Square e poi con un bus scoperto girarono le vie della città salutando e ringraziando le folle di tifosi accorsi per salutare i loro eroi.
I negozi erano addobbati a festa, la banda accolse con la musica la squadra, le strade erano colme di tifosi in festa!
Venne organizzato anche un buffet per i giocatori, un vero giorno di festa, una festa per una sconfitta, incredibile da credere forse ai giorni nostri! E anche qui era presente il nostro piccolo Bobby!


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Probabilmente dopo questa stagione iniziò un leggero declino di questa meravigliosa squadra che nelle stagioni successive non sarebbe più riuscita a confermarsi a grandi livelli… fino alla stagione 1956-57, terzo posto in classifica, e alla stagione 1957-58 secondo posto dietro soltanto ai Wolves.
Nella stagione 1956-57 il PNE fu guidato dai gol di Thommy Thomspon e Tom Finney, miglior giocatore della stagione, e conquistarono un fantastico terzo posto dietro soltanto a Tottenahm (che ottenne gli stessi punti del North End) e Manchester United (che si laureò Campione).
La stagione successiva fu ancora migliore, il PNE conquistò addirittura il secondo posto in classifica a soli 5 punti di distanza dai Wolves Campioni. Furono ancora Thompson, autore di ben 34 gol, record in First Division per il Preston, e Tom Finney.
Fu con l’inizio degli anni ’60 (retrocessione della stagione 1960-61) che iniziò purtroppo il vero declino; Tom Finney aveva giocato la sua ultima partita con l’unica maglia della sua carriera (oltre a quella della Nazionale Inglese) il 30 aprile 1960 contro il Luton Town e le stagioni successive videro il PNE giocare in Seconda Divisione.
Nel 1964 arrivò un’altra sorprendente Finale di FA CUP contro il West Ham, ma questa è un’altra storia…
Quella squadra fantastica che nel 1954 conquistò la Finale di FA Cup e che ottenne grandi risultati nelle stagioni successive resterà per sempre nei cuori di ogni tifoso del PNE e nella storia del Club e del calcio inglese… una squadra meravigliosa guidata dal leggendario Capitano Sir Tom Finney, una squadra che continueremo a sognare, ad immaginare attraverso racconti, foto e video storici…
Sono proprio i racconti e le foto a mantenere vivi questi bellissimi ricordi (per chi c’era) e ad aiutare ad immaginare anche solo per un momento dei meravigliosi giocatori che contribuirono a fare grande la storia di questo leggendario e glorioso Club: il Preston North End FC, il mio Club.

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sabato 6 ottobre 2012

L'Huddersfield del mito


Potremmo non averci nemmeno mai pensato, ma la camicia che ogni tanto portiamo addosso potrebbe raccontare migliaia di storie. Oppure il cappotto che indossiamo, o la giacca che abbiamo sulle spalle. Indumenti che in molti casi, rappresentano passione, impegno, simboli di generazioni di fatica e sudore. Tuttavia, sono proprio questi valori che troppe persone, troppo spesso dimenticano. A Huddersfield nello Yorkshire, dove molti tessuti pregiati vengono prodotti, gli uomini lavorano su macchine così antiche da essere uniche al mondo. Oggi, la forza lavoro inglese, è accantonata in nome di produzioni sempre più moderne ma sempre meno di qualità. Il “tocco” locale resta unico, impossibile replicarlo senza le giuste conoscenze o senza le condizioni climatiche dell’area circostante. Loro lo sanno, e nonostante le difficoltà, con smisurata dignità continuano il loro lavoro. Se ne stanno dritti come eroi, le facce segnate, che sembrano scavate nella pietra dei vicini monti pennini, mentre a valle il vento piega l’erba come le loro delicate fibre di tessuto. La fierezza nel sapere di possedere capacità uniche da trasmettere gelosamente alla nuova generazione. Huddersfield, è un antico borgo medioevale non molto lontano da Leeds, dove la tradizione è bellezza da conservare, e i suoi abitanti lo sanno. E l’Huddersfield Town, la locale squadra di calcio cittadina fa parte di questi valori. Nel 2008 ha festeggiato il suo centenario. Fu fondata ufficialmente il 15 agosto del 1908, e un certo Frederick Walker detto Fred, ne è stato il primo player-manager. Lui naturalmente c’era quando un mese dopo la nascita, il club fece il suo esordio in un amichevole giocata contro il Bradford Park Avenue e vinta per 2-1 davanti alle oltre mille persone stimate. A onore del vero, l’inaugurazione definitiva fu quella del 2 settembre 1911, dopo l’iscrizione alla Football Association, con la presenza del presidente della federazione John McKenna. Un irlandese ex giocatore di rugby, con i baffi a manubrio e lo sguardo accigliato. Non andò tutto per il verso giusto. L’impianto revisionato l’anno precedente dall’onnipresente Archibald Leitch, mostrava diverse carenze e problematiche, tanto che ci fu anche un tentativo di citare in giudizio il celebre architetto, ma gli amministratori del club trovandosi già alle prese con un debito piuttosto cospicuo desistettero dall’idea. E non solo da quella. Dopo appena quattro anni l’Huddersfield era in liquidazione. Venne riformato sette anni dopo, nel 1919, ma le sventure non erano finite, tanto che rischiò addirittura di scomparire. Volevano portarlo a Leeds. O meglio, volevano portare a Leeds il titolo sportivo. Il progetto, poi fortunatamente andato a vuoto, fu portato avanti da Hilton Crowther, ricco proprietario di un lanificio nonché dell' Huddersfield Town stesso, deluso, sembra, dalla scarsa partecipazione del pubblico dei Terriers. E qui occorre ovviamente una digressione obbligatoria. Il soprannome sicuramente molto azzeccato è stato introdotto però solo nella stagione 1969/70 da un’idea di Bill Brooke, identificando il terrier,(una razza canina molto diffusa in quella zona)con le capacità e la tenacia di una squadra giovane come era quella dell’Huddersfield in quella stagione. Si consideri che Il primo Yorkshire Terrier è stato registrato nel 1880 ed è stato nominato “Huddersfield Ben”. Nella seconda metà dell’ottocento gli operai portavano i loro piccoli terrier a pelo lungo a lavoro con loro affinché cacciassero i topi che arrecavano molti danni alle sacche di lana. Nello stesso periodo, i minatori dello Yorkshire, si comportavano allo stesso modo utilizzando questi cani per scacciare i fastidiosi roditori all'interno delle miniere di carbone. Grazie alle loro piccole dimensioni e alla loro agilità potevano facilmente entrare nelle gallerie più strette e cercare nelle evenienze, e in caso di pericolo, minatori in difficoltà. Oggi chiaramente non si richiede più a questo particolare cagnolino di cacciare i topi, ma sicuramente l’attitudine a quest’attività, non è andata perduta. E l’Huddersfield Ben è considerato il progenitore di questa razza. Tornando a temi più strettamente calcistici, il soprannome più duraturo del club è stato però, quello usato più di frequente fino al giorno d'oggi è cioè “The Town”. Adesso sarebbe il momento di provare a cantare, perché nella storia dell’Huddersfield dei primi anni venti, sta entrando una canzone, popolare e molto in voga nel periodo: “Smile a While”. Sarà adottata dai tifosi e diventerà la colonna sonora dei grandi successi di questa squadra, con un direttore d’orchestra d’eccezione: Herbert Chapman. Chapman nacque il 19 gennaio 1878 a Kiveton Park, un piccolo villaggio minerario al confine fra il South Yorkshire e il Nottinghamshire. Non fu certo memorabile come giocatore, una mezzala tozza e robusta ma niente di più. Fra il 1897 e il 1907 militò in dieci formazioni diverse (Stalybridge Rovers, Rochdale, Grimsby, Swindon, Sheppey United, Worksop, Northampton, Sheffield United, Notts County e Tottenham) sempre con uno status di tipo dilettantistico, sfruttando però la sua laurea in ingegneria mineraria per lavorare nelle varie città in cui in quel momento si trovava a giocare. Nel frattempo stava cominciando a studiare i vari metodi di gioco dei suoi allenatori. Nel 1907 fece ritornò a Northampton nelle vesti di allenatore-giocatore, e due anni dopo decise di appendere le scarpe al chiodo e cominciò a mostrare notevoli qualità manageriali guidando i suoi uomini alla conquista del campionato di terza divisione. Dopo altre tre buone annate a Northampton, fa ritorno a casa, nello Yorkshire, accettando di diventare l'allenatore del Leeds City. Nel 1913-14 portò la formazione al miglior risultato della sua storia, vale a dire il quarto posto in seconda divisione. Il 4 ottobre del 1919 il Leeds City venne espulso dalla Football League per pagamenti illegali ai giocatori durante il periodo bellico: dirigenti e allenatori vennero radiati e i giocatori addirittura venduti all'asta, (tenutasi in un hotel di Leeds) a prezzi stracciati. Nel 1921 Chapman, riuscì a dimostrare la sua estraneità allo scandalo e fu riabilitato. Le ceneri del Leeds City non vennero comunque gettate nei crinali spazzati dal vento della contea, la città dello Yorkshire risorse sportivamente con il nome diventato poi leggenda di Leeds United. E allora ecco Huddersfield, dove al termine della prima stagione alzò subito il primo trofeo della sua carriera, la F.A. Cup 1922. Quella fu l’ultima finale che si giocò in uno stadio diverso da Wembley, che aprì i battenti l’anno successivo. Due anni prima i terriers erano stati battuti dall’AstonVilla, in una partita dove sulla maglia apparve un primo “crest” con la” coat of arms” cittadina. L’incontro del 1922 si giocò a Stamford Bridge contro i rivali del Preston North End e fu deciso da un goal di Billy Smith su calcio di rigore nel secondo tempo. Smith entra nella storia del club anche per altri tre motivi. Intanto fu uno dei cinque giocatori dell’Huddersfield Town facenti parte della nazionale scozzese che demolirono l’ Inghilterra a domicilio per 5-1. Passarono agli annali come i “Wembley Wizards”. Con lui c’erano Bob Kelly, Roy Goodall, Tom Wilson e Alex Jackson. Nel novembre del 1924, quando le regole della federazione cambiarono, e fu possibile convalidare il goal segnato direttamente da calcio d’angolo, fu il primo a metterlo a segno, in un incontro vittorioso con l’Arsenal terminato 4-0. Non solo, c’è anche una linea di sangue che seguirà il destino di Billy Smith. Suo nipote Robert giocò anch’egli per i terriers, ed era presente il 30 aprile 1994 quando l’Huddersfield giocò la sua ultima partita a Leeds Road, davanti a 16195 spettatori, che vide il successo dei padroni di casa sul Blackpool per due reti a uno. Nel 1924 due anni dopo la conquista della coppa, l'Huddersfield si laurea per la prima volta campione d'Inghilterra al termine di una corsa incertissima e combattutissima con il Cardiff City. Il campionato prese il via il 25 agosto 1923 in casa contro il Middlesbrough, e gli uomini di Chapman vinsero 1-0 grazie al centro di Charlie Wilson. Charlie Wilson, Charles all’anagrafe di Atherstone, era arrivato a Huddersfield dopo qualche buona stagione al Tottenham. Non molto alto, serioso e dal capello tirato indietro con la brillantina come si addiceva alla moda del tempo, a fine torneo realizzò 20 reti e contribuì in maniera significativa alla vittoria. Il secondo incontro previsto solo due giorni dopo a Preston fu subito un chiaro segnale che il potere motivazionale, e i metodi innovativi di Chapman erano ormai validi e ben assodati nella mente dei suoi giocatori. Finirà 3-1, con un'altra rete di Wilson, una del già citato Smith e un’altra realizzata da Clem Stephenson, uno che a Birmingham con la maglia dei villans aveva segnato in maniera piuttosto continua. Non si smentirà nemmeno a Leeds Road, nonostante la media realizzativa scenda sensibilmente. Altri nomi da menzionare sono quelli di Ted Taylor, George Brown e George Cook. Anche perché, alla fine, risulteranno gli unici marcatori della squadra in quella stagione. Unica eccezione Taylor che ricoprendo il ruolo di portiere era “teoricamente dispensato”, dal dover segnare. Ted Taylor è uno scouser dal grugno cattivo e dal collo taurino, coperto dall’immancabile maglione verde. Il secondo invece è un attaccante alto e corpulento, che con l’Huddersfield scriverà il suo nome fra i bomber più prolifici di sempre di questo club. Quando se andrà nel 1929 i centri messi a referto saranno 142. Decisiva la sua doppietta del primo marzo 1924 in casa contro il Cardiff City davanti ai 18000 presenti. Segnerà anche nella giornata della festa, il 3 maggio, nel 3-0 al Nottingham Forest, quando a parità di differenza reti, una vittoria in più sul Cardiff, premiò i terriers finiti appaiati in classifica ai bluebirds a quota 57 punti. Infine Cook, uno che resterà quattro anni con la bella maglia a strisce biancoblu, e che nonostante lo sguardo assente e una certa apparente apatia, se andrà all’AstonVilla nel 1927 lasciando il dolce ricordo dei due centri datati 10 novembre 1923 nella sfida interna contro il Liverpool, unica partita dove nel tabellino dell’Huddersfield appare un giocatore diverso da quelli menzionati perché la terza rete del “Town” fu frutto di un autorete di un certo Wadsworth. La ferrea disciplina di Herbert Chapman aveva creato dal nulla uno squadrone imbattibile capace di vincere anche i due tornei seguenti, senza per altro inserire altri nuovi elementi. Arrivò solamente Joey Williams, un peperino dal capello riccio nativo di Rotherham con la cui squadra locale giocò fino al 1924. I tre campionati vinti consecutivamente lanciarono l’Huddersfield nella storia del calcio inglese, mentre Chapman , che se andò all’Arsenal, conquistò nel nord di Londra la fama mondiale. Per lui il 6 agosto 2008 al Galpharm stadium ( prima ancora McAlpine, oggi John Smith..) si giocò un incontro in memoria ovviamente con l’Arsenal finito 2-1 per i londinesi, davanti a 19000 persone, la partita pre-stagionale con una delle affluenze maggiori di sempre, seconda solo al match contro gli argentini dell’Independiente giocato nel 1954. Ma allora eravamo a Leeds Road. Smile a while..


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di Sir Simon

Gli anni del Turf Moor


Al termine del secondo conflitto mondiale, Brian Miller aveva appena otto anni e viveva a Burnley, in quell’Inghilterra industriale del nord che l’aviazione tedesca aveva sorvolato e colpito più di una volta nelle sue incursioni aeree. E così fra muri anneriti, fra simulacri di fabbriche sventrate, e palazzine adattate a rifugio antiaereo di fortuna, ogni giorno, accompagnato dai suoi genitori se ne andava per empori e panifici a comprarsi il fabbisogno quotidiano. Ma non potevano comprare tutto quello che volevano. Non tanto per mancanza di soldi. C’erano delle regole da rispettare. Esisteva, infatti, un libretto apposito chiamato “ration book” (libretto per le razioni) dove vi era riportato il limite dei viveri che potevano acquistare: 500 gr di burro, 500 gr di zucchero, tè, ma niente frutta e dolci. Le uova che vendevano nei negozi non erano fresche, solo chi aveva la fortuna di abitare in campagna vicino a una fattoria poteva comprarsele buone “di giornata”. Ma alla fine anche chi possedeva una fattoria, non era poi così fortunato in quel momento, perché se comunque si produceva cibo da solo, aveva l’obbligo di darne il 10% allo stato. All’inizio della guerra tutti si dovevano vestire di nero e avevano orari precisi per uscire da casa. Quando poi i raid aerei cessarono, il vincolo fu abolito fermo restando l’unico obbligo di non vestirsi di bianco. Una volta a Burnley bombardarono anche un parco, lo Scott Park in pieno centro cittadino, dove Brian ogni tanto andava a giocare e passeggiare. Da lì, quando non c’era troppa nebbia, e con una buona vista, si potevano intravedere in lontananza le tribune del Turf Moor, lassù a nord-est, oltre il canale che confluisce nel Brun. Quello era il sogno di Brian e di tanti altri ragazzini come lui. Giocare con la maglia dei “Clarets”. Lui ce la fece. Dopo essere stato assunto nelle giovanili del Burnley e aver trovato lavoro come fattorino per mantenersi, esordì in prima squadra nel 1956 in un incontro di FA Cup contro il Chelsea. Era un ragazzone forte e robusto dalla faccia gentile e giocava come difensore di fascia. Dedicò oltre quattro decenni della sua vita al Burnley. Quando nel 1960 il Burnley diventò campione d’Inghilterra, Miller giocò ogni partita di quella stagione, coppa compresa. Nel 1967 in seguito a un brutto infortunio, dal quale non riuscì mai più a riprendersi, divenne membro dello staff tecnico, coronando la sua carriera da dirigente nel 1979 quando la società lo invitò ad assumere la guida della squadra, subentrando al grande e indimenticato Harry Potts. Quello della fine degli anni settanta non era un momento felice per il club del Lancashire. Dopo una serie di alti e bassi, una retrocessione, una promozione, una Wembley sfumata nel 1974, un'altra retrocessione, la fine dell’esperienza di Jimmy Adamson e quella non fortunata di Joe Brown, era tornato in panchina Potts, lo stratega della vittoria del 1960. Due stagioni e poi il testimone a Miller, che però scivola malamente in terza divisione dopo un campionato a dir poco disastroso dove il Burnley non fu capace di vincere nemmeno una delle 42 partite in programma. Ostinatamente, e graziato dalla dirigenza, Miller riportò subito il club fra i cadetti, ma si trattò di un fuoco di paglia perché addirittura, nel 1985 dopo che Brian aveva lasciato a John Bond, i “clarets” finirono in quarta divisione. Un anno a ridosso del precipizio dei dilettanti, poi la ripresa, lenta, quasi impercettibile, che consentì al Burnley di raggiungere un piccolo record detenuto solo da Preston North End e Wolverhampton Wanderers, ovvero quello di vincere un campionato per ogni divisione professionistica. Si, perché come detto in precedenza, ci sono anche lampi di gloria vera dalle parti di Turf Moor, e qualche nome che abbiamo già menzionato ne fu parte integrante e decisiva. E allora, intanto, è giusto fare un salto temporale, perché stiamo correndo troppo e in maniera confusa, bisogna andare con ordine e tornare al 1882. L’embrione della genesi è di stampo rugbistico e le divise non avevano i colori attuali. Infatti nella prima partita ufficiale nell’ottobre del 1882, allorché il neonato club fu sconfitto 8-0 dall’Astley Bridge nella coppa della contea, le maglie presentavano una tonalità biancoblu. Solo nel 1911, per spirito d’emulazione nei confronti della squadra del momento, cioè l’AstonVilla, i colori mutarono in quelli simili al team di Birmingham. A questo punto i ricorsi storici non mancano. Bisogna annoverare un Nickname, anzi tre. “Turfites”,” Moorites” e “Royalites”. Ora, se i primi due sono facilmente riconducibili al nome dello stadio che sin dal 1883 vede, ammonisce, e benedice le gesta della squadra, il terzo è dovuto al destino che in due occasioni ha visto il Burnley associato a grandi nomi della famiglia reale. Nell’ottobre del 1886 il principe Alberto che si trovava in città per l’inaugurazione di un ospedale si recò in visita al Turf Moor, diventando così il primo reale a visitare uno stadio professionistico inglese. In seguito nel 1914 quando il Burnley conquistò la sua prima e finora unica Coppa d’Inghilterra, il trofeo fu consegnato al capitano da Re Giorgio V in persona, in questo caso si trattò del primo Re che premiava i vincitori della celebre competizione. Sette anni dopo, finite le ostilità della grande guerra, dove molti figli di Burnley restarono per sempre nel vento dei campi francesi, manager John Haworth regalò alla città del cotone la prima vittoria nel campionato inglese, nonostante un avvio da brividi con tre sconfitte nelle prime tre partite. Poi la striscia di 30 incontri senza mai perdere, un primato battuto solo in tempi recenti dall’Arsenal di Wenger. Era il Burnley del buon capitano Tommy Boyle, del portiere Jerry Dawson dallo sguardo pensieroso, del bomber scozzese Joe Anderson che le foto d’epoca ritraggono come uno scolaretto grassottello e indolente, ma che evidentemente in campo si faceva sentire, e se la cavava anche molto bene se si considera che in quell’anno mise a segno in totale ben 31 centri. Le stagioni da ricordare da lì in avanti non saranno molte, anzi a dire la verità nell’attesa dell’altro anno di grazia, quello del 1960, bisogna sforzarsi per trovare qualcosa di buono dalle parti di Turf Moor. Di delusioni invece se ne trovano. La retrocessione del 1930 per esempio, che la bella semifinale di FA Cup del 1935 non riuscì chiaramente a compensare. Alla ripresa delle attività agonistiche nel 1946 sembrò che il Burnley potesse tornare a vecchi splendori. Una finale di coppa persa 1-0 contro il Charlton a Wembley, un onorevole terzo posto nel 1948, e l’innesto nella squadra degli anni cinquanta di quei giocatori chiave che porteranno al trionfo del campionato targato 1959/60. Stiamo parlando di Jimmy Adamson e Jimmy McIlroy. Jimmy Adamson all’anagrafe James, era di Ashington. Le orecchie a sventola, un naso più da pugile che da calciatore, e sorriso da caricatura disegnato sul volto. Durante la sua carriera, dal 1947 al 1964, ha giocato solo con il Burnley, collezionando 426 presenze e segnando 17 reti. Fu ingaggiato nel gennaio 1947 dopo aver militato nella squadra della sua città e aver assaggiato carbone nelle miniere. Lo scoppio della seconda guerra mondiale frenò la sua carriera sportiva, che venne interrotta come a molti altri della sua generazione dal servizio militare, svolto nel suo caso nella Royal Air Force, che rimandò il suo debutto in campo al Febbraio 1951, quando entrò nella partita in trasferta tra il Burnley e il Bolton Wanderers. Non fu mai convocato in nazionale, dovette accontentarsi solo di alcune partite nella rappresentativa inglese B. Ma la sua ragione d’essere, fu quella di indossare la fascia da capitano della squadra nell’anno della vittoria del 1960, mantenendola fino al 1962 quando il Burnley raggiunse la finale della FA Cup, persa contro il Tottenham Hotspur. In quell'anno arrivò anche la nomina di calciatore dell'anno. Adamson formava una coppia a centrocampo con Jimmy McIlroy, sulla quale era centrato molto del gioco creativo del Burnley. McIlroy invece era un irlandese del nord, nato nei pressi di Lisburn, dove il fiume Lagan trafigge, col suo corso, il distretto della cittadina, tagliandola in due dopo aver attraversato un paesaggio favoloso fatto di colli, campi coltivati e borghi contadini. Il tutto nel cuore della Lagan Valley, dove la cittadina di Lisburn si immerge nella natura senza disturbarla, assorbendo i ritmi lenti e piacevoli della campagna. Inizierà la carriera nel Glentoran a Belfast, poi nel 1950 a 19 anni, Frank Hill, lo porta al Burnley e lo fa esordire contro il Sunderland al Roker Park nell’ottobre di quell’anno. Assomiglia un po’ a uno di quei saltimbanchi di strada che trovi nelle vie delle grandi città e che provano a intrattenere i passanti con qualche numero di magia, insieme all’immancabile cagnolino al loro fianco. Stupisce che a distanza di anni riguardando le sue foto, sia certamente invecchiato, e i capelli diventati bianchi come la neve, ma non abbia assolutamente perso quella briosità e allegria che lo hanno sempre contraddistinto nella sua vita. In dodici anni ai “Clarets” segna qualcosa come 112 reti. Quando nel 1963 fu venduto allo Stoke City molti tifosi ci restarono male, anzi malissimo, non tanto per essersi sentiti traditi dal giocatore che tanto gli aveva dato, ma semplicemente perché vennero a sapere del trasferimento solo attraverso le pagine di un giornale. In ogni caso il Burnley che vinse il campionato del 1959/60 resta la squadra iconica di questo lembo d’Inghilterra. I semi del successo furono piantati su un humus di squadra già fertile in un freddo gennaio del 1958 quando a Turf Moor arrivò Harry Potts. Uno che aveva prestato servizio nella RAF in India, e che giocò per il Burnley per qualche anno, prima di intraprendervi la carriera di allenatore nel 1958 in sostituzione di Billy Dougall. Appena una stagione e siamo finalmente a quel fatidico 1960. C'e da dire, che forse una delle cose peggiori della vita, è il non sapere quando è l’ultima volta di qualcosa, o quando qualcosa che ci entusiasma si avvicina alla fine. Non abbiamo mai saputo al momento giusto che quello era l’ultimo romanzo di un certo scrittore, o quello l’ultimo film di un certo regista. Troppo spesso quel che è l’ultimo risulta esserlo senza che possiamo prevederlo, e arrivati alla fine abbiamo la sensazione che quel che è stato non sia sufficiente, e di non aver sfruttato a dovere le giuste occasioni successive, se avessimo saputo che non ci sarebbe stata un altra volta... In aspetto strettamente calcistico il fatto che Il Burnley nel 1960 sia diventato campione, sa tanto di canto del cigno, di un club che se avesse voglia di tornare a sedersi sul trono d’Inghilterra dovrebbe di soppiatto entrare sotto le imponenti arcate di Westminster e implorare gli inservienti. Anche se a onore del vero due anni dopo la vittoria del 1960 arrivarono secondi a tre punti dal sorprendente Ipswich Town. Ma torniamo a quel campionato, che prese il via il 22 agosto 1959. Il Burnley non andò mai in testa alla classifica in quel campionato. Come no, direte voi, come diamine ha fatto poi a vincere. In realtà la squadra di Poots il primato solitario in testa al torneo lo raggiunse, ma solo all’ultima giornata, a Manchester contro il City, al Maine Raod, in un atmosfera carica d’adrenalina. La prima squadra ad uscire dal gruppo fu il Blackburn, gli odiati vicini di casa, che mantenne il primato solitario fino alla settima giornata, quando fu superato dal Tottenham, dal Wolverhampton e dallo stesso Burnley. Furono gli Spurs comunque a staccarsi in maniera importante e a condurre la classifica nelle giornate successive, tallonati dal Wolverhampton e dal West Ham e dal Preston. Queste ultime due squadre però sorpassarono il Tottenham alla diciassettesima giornata e condussero a braccetto fino al diciannovesimo turno, quando il Preston prese solitario la vetta, terminando il girone di andata in testa con un punto di vantaggio sul Tottenham. Alla prima giornata del girone di ritorno gli Spurs riprendono il comando della classifica allungando su un Preston in vistoso calo, mentre si candidò come rivale dei londinesi proprio il Burnley, secondo dalla ventiseiesima giornata con tre punti di ritardo sulla capolista. Il distacco rimase invariato alla trentesima giornata, quando il Burnley cedette il posto al Wolverhampton nel ruolo di rivale del Tottenham. Alla trentaseisima giornata il Wolverhampton raggiunse il Tottenham per poi staccarlo al quarantesimo turno. I Wolves conclusero il campionato al primo posto, ma furono superati dal Burnley, che, vincendo il recupero del match contro il Manchester City, si issarono in testa alla classifica vincendo il loro secondo agognato titolo con un solo punto di vantaggio, 55 contro i 54 dei rivali. Non possiamo esimerci dallo sfuggire dalle partite del “pathos” e del successo, contro le diretti concorrenti. Come ad esempio quella giocata in casa il 7 novembre 1959, quando un ispiratissimo e brillante Jimmy McIlroy, dispensò idee, rese concrete dai goal di Ray Pointer detto “Bombshell Blonde”, uno capace di sostenere una media da un goal ogni due partite, e John Connelly un altro che dava del “tu” alla porta avversaria e che probabilmente se non avesse speso troppo tempo a pettinarsi i capelli avrebbe anche segnato qualche rete in più. Quando arrivo al Burnley stava facendo l’apprendista falegname e aveva 18 anni. Nel 1964 per 56000 sterline si accasò a Old Trafford, e dal Manchester United arrivò nella nazionale campione del mondo di due anni dopo. Quel Burnley era un gruppo che meritò davvero di vincere il titolo. Lo dimostrò anche il 1 marzo con un'altra diretta pretendente, il Tottenham Hotspurs. Il Burnley si impose per 2-0 con due reti nella ripresa. Parole e musica del solito John Connelly. L’ultima giornata è però quella che è passata alla storia. E’ il 2 maggio 1960. Una folla di 65981 persone si accalcò sugli spalti. Fuori dai cancelli, anche un nutrito gruppo di sostenitori dei Wolves accorsi per tifare i citizens. Un lunedì di speranza e di paure. Sarà il giorno di Trevor Meredith e Brian Pilkington. Fu un inizio nervoso da parte di entrambe le squadre, non facilitato nemmeno nel controllo della palla, dalla difficoltà di indirizzare un passaggio preciso, a causa di un campo gibboso e con poca erba. Durante la mattinata era stato innaffiato ma evidentemente non in quantità sufficiente per garantire una morbidezza soddisfacente. Tuttavia il Burnley va in vantaggio subito. Dopo appena quattro minuti, Jimmy Robson serve il “tozzo” ma velocissimo Brian Pilkington che batte Trautmann. Il City non ci sta e perviene al pareggio con Harvey che non da scampo a Adam Blacklaw, il portiere che dopo aver vissuto per anni all’ombra di Colin McDonald aveva trovato posto da titolare proprio in questa stagione. Ma il Burnley vuole, e deve tornare avanti, e così in seguito a un fallo pesante di Ewing su Pointer, guadagna un calcio di punizione. Lo batterà Tommy Cummings e la sua traiettoria va a scovare proprio il punto in cui si nascondeva quel piccolo opportunista di Trevor Meredith, nella mischia, in bilico, fra leggenda e oblio. Andrà a segno e quel goal regalò la vetta della classifica e la coppa di campione d’Inghilterra al Burnley. Quando smise di giocare Meredith si dedicò a fare l’insegnante in una scuola primaria a Preston e chissà se ai suoi allievi ha mai raccontato la storia di quella notte. Una notte dove i tifosi all’unisono si lamentarono delle luci troppo forti di Maine Road che impedivano di seguire a pieno le evoluzioni di quella palla bianca, e allora tutti gridarono spazientiti, e si decise così per la sostituzione della sfera. Oggi la strada adiacente al Turf Moor si chiama Harry Potts Way, una delle stand è dedicata a Jimmy McIlroy. Impossibile dimenticarli, impossibile dimenticare quel Burnley."Pretiumque et causa laboris", Il premio è il risultato delle nostre fatiche.

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di Sir Simon

Quando il "Paisley" era di moda.


Ha smesso di piovere. Il vento ora spinge velocemente le nubi, crea ampi spazi al sole desideroso di scaldare questa terra che fatica a conoscere l’estate. L’orizzonte si è ridisegnato con la sagoma neogotica dell’Abbazia cluniacense dove a qualche metro scorrono le acque grigie del fiume Cart. Il pub è accogliente e il nome è tutto un programma: The Wallace. Causeyside Street, Paisley. Davanti a me una pinta di Tennent’s Super con le sue sfumature di rame e la sua schiuma non eccessivamente compatta che tende a sparire dopo qualche minuto. L’esterno è di un blu anticato, l’interno è elegante e spazioso, un misto di vecchio e nuovo con il bancone in legno come si conviene, e con lo stesso legno usato per l’arredo. Tavolini rettangolari o quadrati con quest’ultimi un po’ più bassi, divanetti imbottiti di un color marrone scuro, e sedie con la seduta in pelle, fissata con chiodi d’ottone dalla testa semisferica. La tappezzeria non poteva eludere il celebre tessuto dal nome della cittadina ovvero il “Paisley”, disegno dalle origini orientaleggianti che rappresenta il germoglio della palma da dattero, che s'impose nella moda, e regalò notorietà e lavoro alle industrie tessili della zona nei secoli scorsi. Luci soffuse, con lampade in stile e pavimento in legno a lisca di pesce e qualche delicata moquette nei punti giusti. Non ci sono i vetri istoriati, e qualcos’altro di troppo moderno c’è, ma oddio alla fine sono peccati veniali, e poi basta non farci troppo caso. Beviamoci la nostra birra, appoggiando delicatamente il bicchiere alle labbra, come per un tenero bacio. Non a caso dobbiamo andare a Love Street. Tappa obbligata se vogliamo conoscere meglio il St. Mirren FC e la sua squadra di calcio. A Love Street c’erano i campi di Fullerton Park e il vecchio stadio dove i “Buddies” hanno giocato la loro ultima partita il 3 gennaio 2009 contro il Motherwell. Finì 0-0 ma a vincere fu la palpabile tensione emotiva degli oltre diecimila presenti sulle tribune, che davano l’addio alla casa di una vita. Un impianto costruito nel 1894 e che per ben 115 anni ha accompagnato le gesta dei bianconeri del St. Mirren. Come quella volta contro il Celtic in Coppa di Scozia il 20 agosto 1949 quando le presenze registrate furono 47.438. Oppure trent’anni dopo, ancora contro i cattolici di Glasgow nel replay del quarto turno sempre della coppa nazionale, con il più ridotto dato di 27166 paganti, ma che mandò comunque completamente in tilt gli organizzatori, con la formazione di enormi code all’ingresso. Nel 2007 la terra è stata venduta alla Tesco per la creazione di un supermercato, e con i proventi il St. Mirren si è costruito un nuovo stadio qualche miglia più a ovest. Siamo ad appena 12 km dal centro della grande Glasgow, nel cuore delle Lowlands scozzesi, a nord delle verdi colline di Gleniffer Braes. Sembra che le origini dell’abitato siano di genesi monastica. Fu infatti il monaco irlandese San Mirin a edificare una prima cappella a cavallo tra il VI e il VII secolo accanto alla suggestiva cascata del Cart. San Mirin, St. Mirren, accostamento inevitabile ed il gioco è fatto. In tutti i sensi. Infatti nel 1877 un gruppo di gentiluomini dediti a Cricket e Rugby fondano anche un sodalizio calcistico che sarà battezzato proprio con questo nome, e che debutterà il 6 ottobre di quello stesso anno contro il Britannia Shortoods vincendo per 1-0. A questo punto accavallare date e aneddoti diventa dispersivo e forse nemmeno completamente esauriente, meglio concentrarci su uno degli episodi che hanno contraddistinto il dipanarsi della storia di questo club. Senza però tralasciare il fatto che nel 1890 il St.Mirren, divenne uno dei soci fondatori della federazione calcio, un dato ancora più significativo alla luce dei nostri tempi se si considera che oggigiorno solo cinque dei membri originari sopravvivono nella massima serie. La stagione che vorrei prendere in considerazione è quella relativa al 1986/87 ovvero l'anno dell’ultimo successo della squadra di Paisley in coppa di Scozia. Una delle poche vittorie nella bacheca del club, ma a dirla tutta alla resa dei conti a nord del Vallo di Adriano, battere l’egemonia dell’Old Firm è impresa di non poco conto. Si trattò del terzo successo nella manifestazione dopo quelli ottenuti nel 1926 e nel 1959. Ma prima scivoliamo un attimo nell’aneddoto, solo per cercare di chiarire la nascita sempre importante e affascinante dei colori. La prima maglia del club si presentava con una tonalità blu- scarlatto, ma fin da subito nel 1883, si passò alle strisce bianconere, dapprima orizzontali, poi verticali. Se non ci sono dubbi sugli anni del cambiamento cromatico, resta una simpatica disputa sul perché della trasformazione. Una teoria sostiene che le strisce rappresentino i due nomi del corso d’acqua che attraversa l’abitato, vale a dire il “White Cart” e il “Black Cart”. Negli ultimi anni però si è fatta strada l’ipotesi che siccome i monaci della locale abbazia indossavano un abito talare esattamente di questi colori, ecco svelato il motivo della scelta societaria. Meno dibattuto, è ben riconoscibile invece il crest dei bianconeri, che rappresenta la caratteristica coat of arms cittadina che fece la sua prima comparsa sulle maglie durante la seconda guerra mondiale. Nel 1987 il St. Mirren era allenato da Alex Smith, occhi a fessura e sorrisetto malinconico, uno nato a Cowie un villaggio di minatori non molto distante da Stirling. E sarà proprio giocando per le giovanili dell’Albion che stringerà amicizia con Billy Bremner la grande futura colonna della nazionale scozzese e del Leeds United. Quando Bremner si sposò Alex fu invitato al matrimonio come testimone di nozze. Stirling segnerà una buona parte della sua carriera e sarà da lì che nel dicembre del 1986 a stagione in corso approda a Love Street. Sembrava una stagione come tante altre quella per i “Buddies”, l’ennesima da consegnare agli annuali senza niente di speciale da segnalare se non una modesta e tranquilla salvezza in prima divisione che Rangers e Celtic si stavano ancora una volta contendendo disturbati solo dallo straordinario periodo del Dundee United di Jim McLean, che incredibilmente quell’anno raggiunse la finale di Coppa UEFA, battuti con molte recriminazioni dagli svedesi dell’IFK Goteborg. Ma quando il 31 gennaio inizia la Coppa di Scozia si intuisce subito che il cammino verso Hampden poteva portare qualche soddisfazione. Il St. Mirren veleggiava in una comoda posizione di metà classifica senza causare problemi a quelli del “piano di sopra”, ne tantomeno averne da quelli dei bassifondi. Le notizie più importanti che caratterizzarono le discussioni nei pubs di Paisley prima del match casalingo contro l’Inverness Caley erano sostanzialmente due. La prima era appunto la curiosità dell’arrivo di Alex Smith al posto di un altro Alex, Alex Miller che si era accasato all’Hibernian dopo comunque aver plasmato un ottima squadra e lasciato il dolce ricordo di una bella vittoria europea a Love Street per 3-0 contro lo Slavia Praga nel 1985. L’altra notizia erano i 3 cartellini rossi rimediati da Billy Abercromby in una partita di campionato con il Motherwell che gli valsero ben 12 giornate di squalifica. Episodio disdicevole per un giocatore che in pratica ha regalato tutta la sua carriera a questo club, ma che evidentemente qualche piccolo problema caratteriale ce l’aveva se si considera che negli anni successivi è stato coinvolto in pesanti problemi di alcolismo. Alex Smith ebbe la grande capacità di leggere dentro la testa del ragazzo e di riportarlo alla tranquillità. Abercromby era un centrocampista robusto dal baffetto accennato, che comunque in coppa avrebbe potuto giocare, e ripagò le attenzioni del manager con prestazioni di ottimo livello. Contro l’Inverness finì 3-0 grazie ai goal di Kenny McDowall, Frank McGarvey e Ian Ferguson. Il sorteggio del quarto turno accoppiò il St. Mirren ai rivali di Greenock. A quel Greenock Morton che sull’ estuario del “Firth of Clyde” stava aspettando i bianconeri per tentare di festeggiare quello che poteva divenire un evento da ricordare. La partita si sarebbe giocata il 21 febbraio al Cappielow Park. Un goal di Paul Chalmers su un errore piuttosto pacchiano di un difensore del Morton, porta i Saints in vantaggio quasi subito, ma la squadra di casa ovviamente non ci sta. Reagisce e trova la parità con Rowan Alexander poco prima della chiusura del primo tempo. L’atmosfera è ovviamente meravigliosa. I tifosi di casa cantano “Hullo, Hullo, we are the Morton boys” mentre nella terrace riservata a quelli arrivati da Paisley si intona “The Buddies Came Roaring Back”. Su tutti incombe l’immancabile cielo grigio di Scozia che non prometteva niente di buono. Come il goal su rigore del Morton realizzato da McNeil che in apertura di ripresa porta in vantaggio i “ton”. Ma arriva un altro penalty e questa volta è a favore del St. Mirren. Dal dischetto pareggia Ferguson, dopodiché sarà ancorà Chalmers l’attaccante nativo di Glasgow dalla fronte alta e dall' iconico capello anni ottanta, a dare la gioia della vittoria nel derby in trasferta ai propri tifosi con conseguente passaggio del turno. Per i quarti di finale sarebbe occorso ancora un viaggio lontano da casa, nel Fife per affrontare il Raith Rovers che in quel momento conduceva la classifica della seconda divisione. Il calcio d’inizio allo Starks Park ritarda di un quarto d’ora per consentire il completo afflusso della folla sulle gradinate. E il pomeriggio del 14 marzo 1987 e l’attesa vale la pena soprattutto per i tifosi ospiti. Dopo appena 17 minuti Peter “basil” Godfrey centrocampista tenace e dalla scorza dura, con una vaga assomiglianza con l’attore Peter Sellers porta I “santi” in vantaggio. A un minuto dalla fine arriva la certezza della semifinale quando il solito Chalmers siglà il raddoppio. L’11 aprile a Hampden Park, dopo 28 anni dalla finale persa con i Rangers nel 1962, il St. Mirren si sarebbe giocato la possibilità di accedere alla finale contro la vincente del “discovery city derby” fra Dundee Fc e Dundee United, che nel frattempo si stavano dando battaglia al Tyncastle di Edimburgo. Lo scoglio non era dei più semplici. In semifinale la squadra di Smith aveva beccato gli Hearts che nel quarto turno avevano estromesso il Celtic. I Rangers dal canto loro si erano invece incredibilmente arresi subito nel primo impegno a Ibrox, piegati 1-0 da un frizzante Hamilton. In 15000 si mossero da Paisley per sostenere i propri beniamini. Al 33° del primo tempo l’eccentrico e ossigenatissimo nonché scaramantico Ian Ferguson segna per i “Buddies”. Ferguson aveva infatti il vizio di giocare con un lembo della maglia sul lato destro fuori dai pantaloncini. Ma quando sembrava che le cose ormai fossero indirizzate per il verso giusto arriva la doccia fredda, in fin dei conti siamo pur sempre in Scozia. E così Gary MacKay dei “Jambos” va a segno impattando la gara con un tiro da breve distanza che prima accarezza il palo e poi si deposita alle spalle della porta difesa da Money Campbell. E il momento della paura, si insinua una sensazione strana nella mente dei tifosi del St. Mirren, una sorta di “deja Vu” il ricordo di aver perso ben quattro semifinali nei primi anni ottanta. Ma questa volta il destino non si accanirà. Mentre su Hampden brilla un tiepido sole e le ombre lentamente incominciano ad allungarsi, e i supplementari bussano spazientiti, Frank McGarvey raccoglie a centro area una spizzicata di testa di un suo compagno e chiude la partita. McGarvey aveva mantenuto la promessa. Lui e i suoi ricci scomposti avevano incominciato a Love Street la carriera segnando in quattro campionati la bellezza di 52 reti. Nel 1979 Paisley è nel suo destino, ma non si tratta della cittadina alle porte di Glasgow, bensì questa volta di Bob Paisley l’allenatore del Liverpool che si infatua del ragazzo e lo porta ad Anfield per 270000 sterline. Al Liverpool però McGarvey non riesce a farsi spazio in mezzo a tanti, troppi campioni. Dopo dieci mesi sulle rive della Mersey tornerà in Scozia al Celtic che nel frattempo si era interessato a lui. Cinque anni a Parkhead e 78 sigilli, per poi tornare nel 1985 là dove tutto era iniziato, a Paisley nel St. Mirren, con la promessa di vincere qualcosa d’importante. Billy Abercrombie è il capitano che accompagna in campo i ragazzi di Alex Smith il 16 maggio 1987 all’Hampden Park di fronte a 51782 spettatori. Maglia sostanzialmente bianca griffata adidas con impercettibili striscioline nere e sponsor rosso “Clydeside”. Il Dundee United fa paura, i tangerines vanno addirittura in vantaggio con David Bowman, ma il goal viene annullato per un discutibile fuori gioco, scatenando un nugolo di proteste intorno al signor Kenny Hope. Per il resto del tempo l’incontro si trascina senza troppe emozioni e questa volta l’epilogo dei supplementari è inevitabile. E così mentre i Simple Minds cantavano “Live in the City of Light” e guadagnavano per un periodo la vetta della hit parade britannica, nel secondo tempo supplementare ad accendere le luci su Paisley ci pensa Ian Ferguson che sfugge di forza alle maglie della difesa dello United e spara un bolide su cui Billy Thompson non può far niente. St. Mireen 1, Dundee United 0. Gli ultimi attimi sembrano interminabili, lenti, quasi infiniti come gli inverni scozzesi. Al triplice fischio è il tripudio. Billy Abercromby diventa il nuovo capitano a sollevare al cielo di Glasgow la Coppa di Scozia, dopo David Lapsley nel 1959. Un giorno storico, il 16 maggio 1987, il giorno dell’ultimo miracolo dei santi di Paisley.

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di Sir Simon