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giovedì 21 giugno 2012

L' Anno del Bue



Sono contento ed orgoglioso di pubblicare un nuovo meraviglioso racconto del nostro Sir Simon!!



Se improvvisamente vi trovate catapultati sotto guglie alte che si stagliano nel cielo sereno di una splendida primavera, fra torrette, muri e strade di pietra serpeggianti, antiche chiese e palazzi, in un luogo dove sembra quasi che il tempo si sia misteriosamente fermato, mantenendo l'aspetto fatato di una cittadina gotica, e siete circondati da gruppi di studenti con toga e berretto che discutono sulla soglia del portone di un College, non preoccupatevi, siete a Oxford. Dove trasuda ancora una certa essenza della vecchia Inghilterra. Dove tutto è magico. Dove si respira tradizione, cultura, e tranquillità, sebbene da qui in quasi mille anni di storia sia passato davvero di tutto. Rinnegati, inventori, geni, ciarlatani, benefattori dell'umanità, venditori di pozioni miracolose, e rampolli dell'alta società. Perfino quattro re inglesi e otto stranieri, quarantasette vincitori di premi Nobel, venticinque ministri, ottantasei arcivescovi e diciotto cardinali. Fu Mattew Arnold, poeta e critico letterario, a coniare il termine di “città dalle sognanti guglie” per descrivere l'armonica struttura architettonica degli edifici universitari. Ma la cosa che colpisce prima ancora di entrare in centro è il paesaggio: Oxford e' letteralmente immersa nel verde della campagna inglese e percorsa da numerosi canali. Qui il Tamigi si restringe e incontra il Cherwell, diventando cosi il palcoscenico ideale di numerose gare di canottaggio che vengono disputate in tutte le stagioni. Questo tratto del Tamigi viene chiamato the Isis. Ed è proprio in questa zona che durante il periodo sassone si parlava di "Oxenaforda", ovvero "ford of the ox", il guado del bue. E qui di buoi che hanno attraversato il fiume per dare vita a sodalizi calcistici che riflettono il nome e la storia della città c'è ne sono due. A dire il vero il football non è mai stato molto in alto nelle priorità di Oxford. Il calcio si è quasi sempre misurato con un ambiente abbastanza indifferente e di moderate aspettative. Uniche, parziali, eccezioni sportive sono riservate come già accennato in precedenza al canottaggio, esercizio dall'aura aristocratica, e al Varsity match di rugby. Il tutto però da contestualizzare sempre in ambito accademico nella sfida infinita con l'altra storica istituzione universitaria del paese e cioè Cambridge. Tornando al calcio gli archivi ci dicono che nel 1882 viene formato l'Oxford City, che nel 1906 si prese la soddisfazione di vincere l'Amateur Cup battendo 3-0 il Bishop Auckland, per poi adagiarsi per sempre su gradini inferiori della piramide inglese anche se a dire il vero nel 1979 ci fu un tentativo di rilanciare il club quando divenne una società per azioni e la direzione affidata al leggendario Bobby Moore assistito dal suo ex compagno al West Ham United Harry Redknapp. Ma non ci fu il successo sperato, anzi nel 1988 i “City” dalla deliziosa maglia a strisce orizzontali bianco blu, dovettero abbandonare la White House Ground per problemi di sfratto, riemergendo sportivamente solo nel 1990 quando si iscrissero alla South Midlands League insediandosi a Court Place Farm in Marsh Lane. Ma torniamo indietro perché non è questa l'Oxford calcistica che in questo momento ci interessa. 1893 allora. Headington. Un pugno di case a qualche chilometro dalla cittadina. Posizionato in cima alla collina che domina Oxford nella vallata dove scorre placido uno stretto Tamigi. Quattro anni prima nel villaggio era arrivato come vicario il Reverendo John Scott-Tucker figlio di un chierico del leicestershire. Se ne andò a vivere nella canonica di S. Andrew, un grande edificio in pietra dalle mura alte, i tetti aguzzi, e grandi comignoli fumanti. In quel fatidico 1893 insieme al medico locale Robert Hitchings decide di fondare l'Headington football club. Sarebbe dovuto servire semplicemente alla squadra di cricket per mantenere la forma durante il periodo invernale. Il gioco però si farà subito serio e l'anno successivo viene aggiunto il suffisso United e “the boys from over the hill” iniziano la partecipazione ai primi tornei fino a raggiungere nel 1921 l'Oxfordshire Senior League. Nel 1925 ci fu l'aquisizione del Manor Ground in London Road, impianto che fra i soliti rimpianti verrà abbandonato e demolito nel 2001. Nel 1954 ci sarà anche una virtuosa partecipazione alla FA Cup dove l'Headingdon United raggiunge clamorosamente il quarto turno dopo aver eliminato squadre del calibro di Millwall e Stockport, per poi arrendersi non senza aver venduto cara la pelle al Bolton Wanderers. Ma l'incrocio della storia stava già per arrivare. La prima curva era stata svoltata nel 1950 quando i colori originali arancio-blu erano stati abbandonati per passare ad una tonalità giallo ocra con rifiniture nere la cui scelta non è stata ancora del tutto chiarita. Nel 1960 ecco anche la nuova denominazione. Oxford United Football Club. Trasferimento breve e apparentemente indolore per dare maggiore risalto e profilo alle imprese sportive di un club che ora si accollava l'onere e l'onore di rappresentare l'antica e famosa città. Nel 1962 aderiscono alla Football League dopo aver vinto la Southern subentrando al posto dell'Accrington Stanley in bancarotta, e nel 1968 sono già in seconda divisione, dalla quale retrocederanno solo nel 1976. Crisi e debiti investono però il club in apertura degli anni 80. Il contenzioso con la Barclays Bank viene sedato grazie alle sterline dell'imprenditore Robert Maxwell che nel 1982 rileva la società militante allora in terza divisione. Ma dopo il sospiro di sollievo a Manor ground arriva il delirio del potente. Maxwell propone la fusione con i vicini del Reading per fondare un sodalizio fra il ridicolo e il farsesco dal nome Thames Valley Royals. Solo grazie a una massiccia levata di scudi dei tifosi il progetto fortunatamente si arenò. Alla guida degli Us era arrivato nel 1981 Michael James Smith detto Jim nato a Sheffield nel 1940 fra le sirene e le deflagrazioni dei bombardamenti tedeschi. Ha la faccia del mite allevatore dello Yorkshire e la passione per lo Sheffield Wednesday. Ma ironia della sorte non lavorerà nel campo di una fattoria, ma in quello di uno stadio e tanto per iniziare non in quello delle amate Owls, bensì in quello dei rivali cittadini dello United. E' il 1959. Ma alle Blades l'avventura durerà poco e le soddifazioni maggiori arriveranno negli anni seguenti con l'Halifax Town e il Boston United, tanto che quest'ultima squadra lo richiamerà nel 1969 come player manager. All'Oxford United compie un mezzo miracolo. In poco meno di due anni porta la squadra in First Division con due promozioni consecutive. Una statua in High Street direte voi, o per lo meno un contratto migliore. No. Robert Maxwell e Jim Smith non troveranno l'accordo per il nuovo contratto. “The bald eagle” si accasa al QPR e al Manor Ground il nuovo manager è Maurice Evans, faccia rubizza e sorniona, uno nato nelle vicinanze di Oxford, a Didcot, ex membro della RAF, e con alle spalle solo una breve esperienza nei settori giovanili. E qui il destino compie uno di quegli incroci che difficilmente si ipotizzano a inizio stagione. I due infatti non solo si dovranno affrontare due volte nella First division 1985-86, la prima dopo i fatti dell'Heysel, ma anche in una storica finale di coppa di lega, che la federazione per ragioni di sponsorizzazione riempie di latte “pregiato”. La Milk Cup. Quell' Oxford United si classificò al diciottesimo posto finale della classifica a pari punti con il Leicester City, lasciando l'onta della retrocessione a Ipswich, Birmingham City, e WBA. Su tutti spiccano Ray Houghton e John Aldridge. Houghton è nativo di Glasgow ma grazie al padre irlandese giocherà in nazionale proprio per il team di Dublino. E forse non è un caso. Occhi vispi e fisico robusto, non molto alto di statura, sorridente e goliardico, con un cappello a punta in testa e la maglia verde d'Irlanda appare più un folletto che un membro di un clan scozzese. In ogni caso tatticamente parlando è un centrocampista dalle spiccate doti offensive che arriva a Oxford dopo tre stagioni da incorniciare al Fulham con 129 presenze e 16 reti. Aldridge invece nasce a Liverpool nel 1958, elegante col baffo curato da ufficiale, fiuta il goal come pochi. Inizia la sua carriera nel 1978 con il South Liverpool, squadra militante in Northern Premier League. L'anno successivo ottiene il suo primo contratto da professionista, passando al Newport, in Fourth Division per 3500 sterline. La prima stagione è molto promettente: il ragazzo realizza qualcosa come 14 gol in 38 partite, risultando determinante per la promozione in Third Division e per la vittoria in Coppa del Galles. Nella stagione successiva segna 7 reti in 27 partite, contribuendo al fenomenale cammino europeo in Coppa delle Coppe, dove il Newport riesce a raggiungere niente meno che i quarti di finale. Nella stagione 1981-1982 segna 11 gol in 36 partite, poi nel 1982-83 fa ancora meglio con 17 gol, con il Newport che sfiora la promozione in Second Division. Nella stagione successiva, nonostante la partenza del suo compagno d'attacco Tommy Tynan disputa un'altra ottima stagione segnando 26 reti. Nel 1984 si trasferisce a Manor ground per 78.000 sterline. Il suo debutto con la nuova maglia è datato 7 aprile 1984 nella vittoria per 1-0 contro il Walsall mentre il primo centro arriva nella vittoria per 5-0 contro il Bolton.
La League Cup per gli Us parte con un doppio confronto contro il Northampton Town e una doppia vittoria, per 2-0 in casa e per 2-1 in trasferta. Il 30 ottobre 1985 arriva subito lo scoglio bianco nero del Newcastle United. Ma gli uomini di Evans non si lasciano intimidire e battono le gazze per 3-1. I sorteggi favoriscono l'Oxford anche nei due incontri successivi regalandogli l'opportunità di giocarseli entrambi di fronte al proprio pubblico. Cadranno nell'ordine Norwich City e Portsmouth anche loro come il Newcastle per tre reti a uno. La prima semifinale si gioca al Villa park il 4 marzo 1986 contro l'Astonvilla e sarà proprio John Aldridge con due reti di cui una su rigore a far si che i gialli di Oxford portassero a casa un rassicurante 2-2 finale. Al Manor Ground la settimana successiva è un autentica battaglia. Alla fine i padroni di casa la spunteranno per 2-1, con i goal del gallese Jeremy Charles e di Les Phillips. Il 20 aprile 1986 in un pomeriggio di sole si aprono le porte di Wembley per la finale di Milk Cup. Oxford United contro Queen's park Rangers. Oltre 90000 i biglietti venduti. I tifosi Hoops stipati nella “tube” hanno la sensazione di esserci solo loro. Stavolta sono i padroni della metropolitana. Due anni prima l'avevano dovuta condividere per ben due volte con quelli degli spurs e a dire la verità si stava un po' “stretti”..E alla fine la coppa, la FA Cup, era anche andata a White Hart Lane. Adesso si sentivano il trofeo in tasca. Ma chi erano alla fine questi di Oxford? Non avevano il pedigree, non potevano impensierirli. Ma appena si aprono le porte, sulla Wembley Way è una marea gialla. Cori collettivi e altri separati ma legati alla solita unica passione:“Siamo i ragazzi di Didcot, siamo quelli di Bicester, Siamo di Watlington, di Witney..”. In trentamila vocianti e rigorosamente in giallo e nero. Quelli del QPR non si aspettavano un pubblico avverso del genere. In fondo la squadra da battere era la loro quel giorno. E loro erano quelli di Londra, quelli della capitale delle avanguardie, quelli del Loftus road, quelli di Rodney Marsh e Stan Bowles. E a guidare sul campo il QPR in quella finale c'era Jim Smith, chi meglio di lui poteva conoscere gli avversari e batterli senza problemi. E c'era anche Terry Fenwick, quello del momentaneo pareggio contro il Tottenham nella prima finale del 1982. Ma il destino aveva deciso diversamente. Il primo goal per l'Oxford arriva al 40° del primo tempo quando il pallone rilanciato da Paul Barron il portiere del QPR innesca una velocissima manovra degli Us che mette in condizione il numero dieci Trevor Hebberd di eludere nettamente la guardia di Alan McDonald e poi di battere rasoterra sul primo palo Barron per l'uno a zero. Dopo appena sette minuti dall'apertura della ripresa Ray Houghton metterà il sigillo a un contropiede magistrale siglando il 2-0. Braccia al cielo, corre alla ricerca di qualcuno o qualcosa da abbracciare. Il primo che trova è il terzino John Trewick, poi il mucchio di maglie gialle festanti si infittisce come la consapevolezza di avercela quasi fatta. Certezza che arriva a quattro dal termine quando un tiro in corsa di Aldridge ribattuto a stento da Barron finisce nei piedi dell'accorrente Jeremy Charles, barba incolta e furia leonina, che su un pallone con scritto spingere non può esimersi dal realizzare un facilissimo 3-0. 



Esplode la gioia sugli spalti e sulla panchina dello United. Il capitano Malcom Shotton guida i suoi sui 39 scalini del royal box per ricevere la coppa, stringe mani, sorride, abbraccia il presidente, mostra al mondo quella bellissima maglia gialla con la testa del bue sul petto che la luce di un mite pomeriggio londinese fa brillare ancora di più, e alza al cielo la coppa. A fine gara Maurice Evans deciderà di regalare la propria medaglia a Ken Pesci, 72 anni e una vita nello staff degli Us. Un bel gesto e qualche lacrima. Quelli di Oxford si sono laureati.



Milk Cup header


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di Sir Simon

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