Maggio 1984. Elton John, è nel pieno di un tour in Germania
per promuovere il suo ultimo album. Breaking hearts, infrangere i cuori. Il
cuore. Un muscolo involontario. Al cuore non si comanda. E allora nel bel mezzo
dei concerti tedeschi, c'è uno stop, una sosta prestabilita, una fermata
obbligatoria. Quanto basta per prendere l'aereo e tornare a Londra. Si, perchè
la storia aveva chiamato, fissando l'appuntamento. A Wembley il 19 maggio, il
Watford F.C. sarebbe stato protagonista della finale di coppa d'Inghilterra
contro l' Everton. Mai successo nè prima ne dopo.. almeno fino ad oggi. La
parabola era cominciata sette anni prima, quando lo stravagante cantante nato a
Pinner distretto di Harrow nel nord-ovest londinese, decide che è giunta l'ora
di provare a risollevare le sorti di quella che da sempre è la squadra per la
quale fa il tifo. Watford appunto. The hornets. I calabroni, per via del giallo
nero delle maglie. Il primo tassello si chiama Graham Taylor, inglese di
Worksop. Assomiglia a un ufficiale al servizio di sua maestà, sarebbe stato a
suo agio anche a prua della Victory accanto a Lord Nelson fra i gorghi di
Trafalgar, oppure in mezzo ai quadrati di Wellington a Waterloo a respingere i
poderosi assalti della vecchia guardia napoleonica. Stratega accanto a
strateghi. Ma le battaglie di Taylor sono sul campo di calcio. Da calciatore
veste le maglie del Grimsby Town e del Lincoln City, ed è proprio lavorando
come allenatore negli “Imps” che Elton John lo chiama e lo porta nel Watford,
nella feroce quarta divisione inglese, nella pioggia e nel fango di Vicarage
Road. Sarà una scalata senza precedenti. Solo il Wimbledon qualche anno dopo
sarà capace di fare qualcosa di simile. Nel 1982/83 i golden boys sono ai
nastri di partenza della massima serie, e sarà solo per lo strapotere del
Liverpool che i ragazzi di Taylor non si siederanno sul trono d'Inghilterra.
Certa nobiltà non ammette intrusioni al potere. L'anno seguente non sarà un
campionato felicissimo, ma c'è anche l'impegno europeo in coppa UEFA a limare
le energie. Un avventura che si chiuderà negli ottavi di finale per mano dei
cechi dello Sparta Praga. Ma è la F.A. Cup a tenere banco, a far sperare, a far
brillare gli occhi, e il sogno va vicinissimo dall' essere realizzato. Nell'
ordine cadranno gli Hatters, i cappellai del Luton Town, in due derby
infuocati. Poi è la volta di Charlton, Brighton, e Birmingham City. Il 14
aprile si aprono le porte del Villa Park per la semifinale, giocata di fronte a
43000 spettatori. C'è il Plymouth a contendere l'accesso ai fasti di Wembley.
Ci penserà “Hot cross” John Barnes a telecomandare un traversone per la testa
del biondo George Reilly che metterà a segno il goal sicuramente più importante
di tutta la sua carriera. Watford 1, Plymouth 0. Ci sono immagini di repertorio
che testimonieranno, la gioia, quasi l'incredulità dei tifosi all'indomani del
successo di Birmingham. I cartelli affissi davanti alla sede del club,
riportano: “FA cup final terrace tickets £ 5 -Queue”. Ma nessuno si lamenta,
tutti in fila ordinatamente, solo sorrisi di gente entusiasta in attesa di
mostrare l'agognato biglietto dove spicca in nero l'inconfondibile sagoma della
coppa più bella del mondo. Da Watford all' Empire Stadium la distanza è breve,
solo poche miglia più a sud, non si cambia nemmeno linea, una decina di
stazioni della Metropolitan (quella viola..) e si scende a Wembley Park.In un
pomeriggio di sole, il capitano Les Taylor ,con il numero 4, presenta i suoi
compagni alle autorità; Sherwood, Bardsley, Price, Terry, Sinnott, Callaghan,
Johnston, Reilly, Jackett, Barnes. Allineato a pochi passi da loro c'è l'
undici di Howard Kendall, forse l' Everton più forte di sempre, e che l'anno
successivo a Rotterdam contro il Rapid Vienna conquisterà anche l'ormai ahimè
scomparsa Coppa delle Coppe. Per pura nota di cronaca questa è la prima finale
giocata con maglie dove appare lo sponsor. “Iveco”, per il Watford su una
“Umbro” giallo rossa da favola, “Hafnia”, per l' Everton su una “Le coq
sportif”di un vivace blu, per niente male. Il contrasto cromatico delle divise
con il verde del terreno di gioco rende gloria al Dio del football. Nella prima
mezz'ora gli uomini di Taylor partono alla grande e si fanno anche piuttosto
pericolosi, ma due episodi li condannano. Il primo avviene al 38' del primo
tempo quando Greame Sharp intercetta un tiro di Stevens maldestramente sfiorato
da Barnes, che accarezza il palo e termina placidamente in rete.
Successivamente al 51' della ripresa, Andy Gray approfitta di un uscita-
diciamo non perentoria- di Sherwood per sospingere in goal di testa un cross di
Steven che sembrava non finire mai. Vinceranno i toffees 2-0. Per i gialli di
Watford rimarrà solo la sempre suggestiva consolazione di salire i gradini del
palco reale e ritirare la silver medal. I tifosi dell' Everton esporranno uno
striscione che recitava: “Sorry Elton- i guess that's why they call us the
blues !” Scusaci Elton immaginiamo che sia per questo che ci chiamano i Blues.
Eh si,.. è proprio il caso di cantarglielo Sir, ci avete davvero spezzato il
cuore.
Pagine
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domenica 29 luglio 2012
Once a Blue, Always a Blue.
Piove. E anche se non piove facciamo che piove lo stesso.
Nelle mie fantasie non riesco ad eludere il binomio pioggia Gran Bretagna. Una
pioggia leggera, intermittente, di quelle che bagnano tutto ma non disturbano,
e fanno quasi piacere. Il Goodison Park appare all' improvviso dietro le case
basse nella zona nord della città. « House of the Blues», c'è scritto su in
alto con delle grandi lettere radiose. La casa dell' Everton è un esaedro fatto
di mattoncini blu e bianchi. Qui abitano i Toffees, l'altra metà del cielo, i
figli di un Dio minore che gli ha regalato una genesi più antica ma meno
blasone rispetto ai cugini di secondo grado del Liverpool. Questa città è la
storia di un derby. Divisa a metà dalla passione per il pallone. Everton o
Liverpool? Blu o rosso? Una sfida che colora l'orgoglio e va avanti da più di
cento anni. L'abbiamo detto, è arrivato prima l'Everton. Everton è il quartiere
in cui si riunirono i fondatori, nel novembre del 1878. Una riunione svoltasi
all'hotel Queens Head, situato in Village Street, una via laterale di Everton
Road, a poca distanza dalla pasticceria The Ancient Everton Toffee House e
dalla Prince Rupert's, una torre che, guarda caso, figura ancora oggi nel crest
societario. Eccole le scintille che hanno acceso nome e soprannome. Everton e
Toffees, cioè dolcetti, in onore di questa antica logistica. A far nascere il
club furono i rappresentanti di una parrocchia metodista, la St. Domingo, che
diedero vita a una scuola, e successivamente alla squadra. Perché d'inverno è difficile
giocare a cricket, e in qualche modo bisogna tenersi in allenamento. La storia
inizia da lì. C' è anche un campo di calcio, l' Anfield.. La prima sfida
calcistica della neonata squadra si disputò nel 1879, e le maglie a strisce
bianco blu si imporranno per ben 6-0 sul St. Peter. I ragazzi hanno talento,
l'Everton si fa strada. Due anni dopo avviene un cambiamento di colori, per
evitare la confusione dovuta al fatto che a tutti i giocatori nuovi era stata
concessa la possibilità di indossare le divise delle loro ex squadre. Il che
aveva reso le partite dell'Everton una sorta di carnevale collettivo. Le magre
finanze del sodalizio impongono però di evitare l'acquisto di nuove divise.
Nasce un idea, una soluzione. Drastica, e grossolana. Le maglie verranno tinte
di nero (con successiva aggiunta di una striscia rossa), e nacque così un nuovo
nick name: Black Watch. Nelle stagioni successive la fantasia cromatica si
sfoga nella scelta del color salmone, da abbinare a pantaloncini blu, poi
maglie rosse con bordi blu e pantaloncini neri, fino ad arrivare alla livrea
attuale, stabile dal 1901. Intanto nel 1888 l'Everton venne ammesso come membro
fondatore della neonata Football League che vincerà tre anni dopo. Ma nel 1892
succede qualcosa di importante. Quattordici anni dopo la fondazione
dell'Everton, da una scissione interna, nasce il Liverpool. Che si prenderà
anche lo stadio perché il costo di utilizzò dell'Anfield si era mostrato troppo
alto. E poi si prenderà tutto il resto. Fama, gloria, successi. L’arrivo dei
Toffeemen a Goodison Park combacia quindi proprio con la nascita del Liverpool
F.C.. Ad Anfield fra le altre cose l'Everton aveva anche vinto come detto il
suo primo titolo. Ma le eccessive pretese economiche del propietario fanno si
che l’Everton saluti e parta alla ricerca di una nuovo impianto, che troverà a
poche yards di distanza. Basterà semplicemente attraversare il verdissimo
Stanley Park, il parco cittadino, che tutt’ora divide i due stadi. E la nuova
casa arriverà giusto in tempo per l’inizio del nuovo campionato. Vennero
costruite tre tribune di cui una coperta, che portarono subito il Goodison Park
ad un buon standard qualitativo, tanto da indurre la federazione a far
disputare qui la finale di F.A. Cup del 1894 tra Notts County e Bolton Wanderers.
Nel 1907 venne costruito il quarto stand, quello che guarda verso il parco. Nel
1926 una tribuna di due piani sostituirà quella in legno datata 1895 su Bullens
road. Nel 1938 per celebrare l’ultimazione dell'ultima tribuna su Gwladys
Street, giunse in visita addirittura re Giorgio VI, ma pochi anni dopo i blitz
aerei tedeschi danneggiarono molto seriamente l’intera struttura. Al termine
del conflitto grazie a un contributo statale lo stadio riuscì a ridarsi un
aspetto decente e confortevole. Nel 1948 si tocca il record di presenze e non
poteva che essere in occasione di una sfida con la sponda rossa della Mersey. I
tornelli del Goodison park gireranno per oltre 78.000 volte. Il palmares dell'
Everton si impara a memoria abbastanza in fretta: nove titoli nazionali,
l'ultimo venticinque anni fa, cinque coppe d' Inghilterra, e una coppa delle
coppe. Quello del Liverpool è un' altra cosa. Eppure, qui la maggioranza tifa
per i Blues. Quelli che si sentono fieramente «The people's club», la squadra
del popolo. Il Liverpool, dicono, ha un appeal più nazionale. In Williamson
Square i negozi ufficiali dei due club, sono uno accanto all'altro, ennesima
dimostrazione del «The friendly derby», se si eccentua un piccolo incrudimento
fra le due tifoserie durante gli anni settanta quando il classico menù a base
di disoccupazione, droga e impari opportunità che sembrava venir offerto alle
masse di giovani dell'epoca iniziò a dar vita al fenomeno casuals, anche se a
Liverpool a differenza di Londra si parlerà di smoothies. E allora anche il
calcio diventò un pretesto per i violenti incontri tra le varie mobs. Uno dei
due periodi d'oro dell'Everton risale a cavallo tra gli anni Venti e anni
Trenta, quando i "Toffees" conquistarono tre titoli inglesi (1928, 1932,
1939) e una FA Cup (1933), portando alla ribalta le straordinarie doti di Dixie
Dean, per l'esatezza William Randolph Dean, il centravanti acquistato
diciottenne il 16 marzo del 1925 per 3000 sterline dal Tranmere Rovers, club
del circondario. Ragazzone robusto dalla faccia volitiva, potente e dal superbo
stacco, si fratturò il cranio e la mascella a seguito di un grave incidente
motociclistico ad Holywell nel 1926. I dottori gli dissero che non avrebbe più
potuto giocare a calcio, ed erano particolarmente preoccupati dagli effetti di
una pallonata nel caso di un colpo di testa. Ma Dean da autentico testardo,
sprezzante del pericolo, ignorò i loro consigli e, una volta ripresosi, fu il
capocannoniere dell’Everton nella stagione vincente 1926/27. Non gradiva molto il
nomignolo Dixie, in ogni caso Dean segnò 349 reti in dodici stagioni: il tipico
centravanti inglese dell'epoca, capace di sparare in rete la palla con ogni
mezzo.
Dixie Dean |
Ma ovviamente i grandi nomi non sono finiti qui. Ad esempio impossibile
non menzionare Tommy Lawton che fece parte di quella che venne riconosciuta
come "School of Science", l'Accademia delle scienze calcistiche, per
via del delizioso tipo di calcio giocato dai "Toffees" nel 1938/39.
Lawton fu acquistato nel dicembre del 1936 per una cifra di 6,500 sterline. Si
trattava di una cifra record per un giocatore nato nel 1919 e quindi
giovanissimo. Sembra che la firma sul contratto fu agevolata dalla volontà di
Tommy, che così aveva l’opportunità di giocare al fianco di Dean all'epoca
trentenne. Metterà a segno qualcosa come 218 reti in 206 partite. Ma adesso
partiamo da un risultato sportivo per parlare anche di folklore, perché alla
fine molto del fascino del calcio inglese deriva anche da un contorno
assolutamente unico e originale, che probabilmente a certi benpensanti farà
storcere la bocca, ma che indiscutibilmente ha sempre fatto parte di questo
mondo. Per l'Everton uno degli episodi più curiosi è senza dubbio questo:
Sabato 14 maggio 1966, stadio di Wembley. E' il giorno della finale della Coppa
d'Inghilterra. A sfidarsi sono lo Sheffield Wednesday e l'Everton di Harry
Catterick. Immerso, stipato, fra le centomila persone che affollano le tribune
dello stadio londinese c'è un uomo, un tifoso dei toffees, che segue la sua
squadra del cuore ovunque e con ogni mezzo, autostop compreso. Si chiama Eddie
Cavanagh. Faccia da spaccone, ma alla fine un tipo simpatico e di compagnia,
con qualche idea maldestra che ogni tanto gli affiora alla mente. Uno nativo di
Huyton, un sobborgo di Liverpool, non molto di più che una famosa stazione
ferroviaria, e una poesia di Thomas Arthur Lumley. Vive in un modesto cottage
con le pareti colorate di blu. Elemento cromatico che denuncia senza troppa
fatica che la sua vita ruota attorno all' Everton. Un autentico satellite
orbitante al Goodison Park, anzi più che altro dentro Goodison Park. Dove
addirittura aveva anche giocato per qualche anno nelle giovanili del club,
senza per altro aver ottenuto niente di particolare se non l'emozione di
vestire la sua maglia preferita. Ma quel 14 maggio del 1966 entrerà dritto e
definitivo, non solo nella storia dell'Everton, ma anche più in generale in
quella del football inglese. Come sempre al seguito della sua squadra, si
presenta agli ingressi di Wembley per assistere alla finale. Le cose in campo
per i Blues non si metteranno per il verso giusto. Andranno sotto due reti.
Eddie, come tutti i tifosi arrivati da Liverpool, è sconsolato. Ma non
cesseranno i cori, non diminuirà l'incitamento, e il tenace Everton di
Catterick in poco più di cinque minuti grazie a una doppietta di Mike
Trebilcock riporta le sorti del match in parità. I tifosi sono in visibilio e
Eddie non sta più nella pelle, il pubblico di fede Everton esplode. Eddie non
resiste, lo guida una gioia incontenibile. E' un attimo. Scavalca la cancellata
che lo separa dal campo e fa irruzione sul terreno di gioco. Nelle sue
intenzioni c'è solo la volontà di andare ad abbracciare e complimentarsi con
l'autore della doppietta. Corre, goffo, quasi barcollante, più che altro sorridente,
sicuramente divertente. Non per i poliziotti che iniziano a dargli la caccia.
Lo inseguono, lo braccano. Lui vuole Trebilcock, il suo eroe di quel
pomeriggio. Alla fine un poliziotto lo afferra per la giacca. Sembra finita.
Anzi no. Colpo di teatro. Cavanagh si lascia sfilare la giacca come in un
numero da prestigiatore e il pubblico ufficiale perde il contatto e
l'equilibrio, cadendo sulla sacra erba di Wembley con la giacca in mano. Boato.
Applaudono tutti, anche quelli delle Owls. Eddie nel frattempo prosegue la sua
folle corsa, ma ormai lo hanno circondato e un poliziotto lo atterra. A quel
punto anche i giocatori dell'Everton, increduli e divertiti al tempo stesso si
avvicinano al tifoso ormai afferrato dai poliziotti e lo abbracciano. Cavanagh alla
fine non verrà arrestato. Verrà solamente riportato sulle tribune, ovviamente
guardato a vista. L'Everton segnerà ancora con Derek Temple e vincerà la FA
Cup. Eddie, questa volta se ne rimarrà sulle gradinate. Esultante. Il giorno
seguente i giornali non mancheranno di dare spazio all' impresa di Cavanagh. I
titoli lo appelleranno ironicamente come "The First Hooligan".
Cavanagh è scomparso nel 1999 ma il suo nome rimarrà indelebile
nell'immaginario collettivo di tanti tifosi non solo di fede Everton. ". E
a proposito di tifosi dell'Everton, non possiamo non menzionare un aneddoto
relativo ai “big four” i quattro ragazzi più famosi della città: i Beatles. «No
way, man, I' m a bluenote». In questa maniera nel 1989 Paul McCartney smontava
le illusioni di quanti lo immaginavano accanito tifoso del Liverpool. Invece
propendeva per gli altri: quelli della zona nord di Stanley Park. Paul era
dell' Everton. E lo è stato almeno fino alla strana intervista concessa anni fa
a Radio Merseyside, durante la quale, forse dimenticando qualcosa della propria
biografia, o forse cercando nuovi consensi, ammise: “È vero che simpatizzo per
l' Everton, ma dato che a me della rivalità o delle questioni politico
religiose non me ne importa un fico secco se il Liverpool va in finale di
Champions io tifo per la squadra della mia città»”. I suoi amici di sempre,
quelli d' infanzia, gliela giurarono. Uno, noto come Dickie the Dick, minacciò
di riportarlo per le strade di Allerton con un barile di birra da svuotare come
penitenza. Goliardia. Il derby di Liverpool divide senza dividere. È sempre
stato così. «Mescola il rosso del Liverpool e il blu dell' Everton, e otterrai
il marrone della Mersey». Cinquant' anni fa i Beatles sembra si spartissero le
simpatie: Paul e George tifavano Everton, John e Ringo (cui andrebbe aggiunto
anche Pete Best, il primo batterista, ossia il batterista più sfigato della
storia) erano per i Reds. Poi ci sono altre versioni contrastanti e comunque il
dibattito è sempre aperto. In ogni caso di certo c'è che nessuno dei quattro
amasse particolarmente il football (John tirava qualche calcetto, Paul mai,
Ringo preferiva il rugby, e da ragazzino George era innamorato di auto mobilie
di Stirling Moss, e poi la Kop che intona "You' ll never walk alone"
era impressa su Meddle dei Pink Floyd...). Il loro manager Brian Epstein li
obbligò a non pronunciarsi mai in pubblico sulle loro simpatie sportive per
evitare di confondere i fans e rischiare di dividerli. Nonostante ciò si sa
però che il nostro Paul era a Wembley per la finale di Fa Cup del '68 (West
Bromwich-Everton 1-0). Sarà un caso?.. Tornando a faccende più squisitamente
calcistiche, due anni dopo l'Everton con ancora Harry Catterick in panchina
conquista la First Division. Fu il campionato che precedette i Mondiali del
1970. Ebbe iniziò il 9 agosto 1969 e dal gruppo delle prime si staccò alla
quarta giornata l'Everton, che fu poi raggiunto dal Wolverhampton e dai rivali
del Liverpool che all'ottavo turno presero la testa della classifica. Dopo due
giornate l'Everton riconquistò il comando della classifica per non lasciarlo
più nel corso della stagione: inizialmente tallonato dal Liverpool e dal Derby
County, alla diciottesima subentrò nel ruolo di inseguitrice il Leeds campione
in carica, che concluse il girone di andata a cinque punti dall'Everton.
All'inizio del girone di ritorno i Toffees ebbero un calo di rendimento che
consentì al Leeds United di avvicinarsi alla vetta, che riuscirono a
raggiungere alla ventottesima giornata. Ma dopo sei giornate l'Everton riprese
il comando della classifica e fece il vuoto, portandosi in tre giornate a +7
dai bianchi di Elland Road. Grazie a questo vantaggio ottenuto anche grazie ai
23 centri di Joe Royle, l'Everton poté laurearsi campione d'Inghilterra con due
giornate di anticipo e con otto punti di vantaggio sul Leeds, che divennero
nove all'ultima giornata. Facciamo ora un salto temporale, saltiamo i settanta
e i primi anni ottanta che puzzano di vittorie del Liverpool e che da altre
parti alimenterebbero complessi d'inferiorità di cui nessuno però dalle parti
di Goodison Park pare soffrire. Andiamo direttamente al 15 maggio del 1985. Una
data storica. l'Everton vince la Coppa delle Coppe, il suo primo trofeo
europeo, battendo nella finale di Rotterdam gli austriaci del Rapid Vienna. Fu
una stagione entusiasmante quella della squadra allenata da Howard Kendall.
Anche perché insieme alla splendida avventura europea si abbinò una nuova
vittoria in campionato. Quest' ultimo conquistato con 90 punti, 13 di distacco
dai vicini in maglia rossa che in quel periodo continuavano ad andare alla
grande. Maggior numero di vittorie, minor numero di sconfitte e migliore
attacco con 88 reti di cui 23 dello scozzese Greame Sharp. E' la squadra di
Howard Kendall. Arrivò all' Everton da manager nel 1981 dopo che fra il 1967 e
il 1974 sempre qui aveva collezionato da giocatore 229 presenze e 21 centri.
Inglese del nord, nato nella contea di Durham, due guance paonazze e un sorriso
allegro. L'avventura europea prende inizio il 19 settembre 1984 dalla vicina
Dublino. Al Tolka Park gremito di oltre 10 mila persone, i Toffees affrontano
la UCD, l'University College di Dublino. Partita tirata, anche un po' tesa se
vogliamo. Finirà zero a zero. Due settimane dopo a Goodison Park basterà un gol
del solito Sharp in apertura di gara per chiudere i conti. Negli ottavi di
finale i "Kendall Boys" affrontano l'Inter Bratislava. Andata
nell'allora Cecoslovacchia il 24 ottobre 1984, in un periodo dove si
incominciava ad andare all'est con meno timore e con più conoscenze di chi si
doveva realmente affrontare. L' Everton si porterà a casa un importante
successo per 1-0 grazie a una rete di Paul Bracewell. Il ritorno del 7 novembre
è pura accademia: Heat, Sharp e Kevin Sheedy firmeranno un 3-0 senza storia.
Terminata la consueta pausa invernale, L'Everton incrocia nei quarti gli
olandesi del Fortuna Sittard. Prima gara a Liverpool, mercoledì 6 marzo 1985.
Gli olandesi in giallo verde sono avversari ostici, il campo è visibilmente
allentato, dovunque si alzano piccole zolle di terra. Ma quando Andy Gray
approfitta di un incertezza del portiere ospite per ribadire in rete un tiro di
Reid, la tensione si scioglie e diventa festa. Le paure della vigilia vengono
spazzate via e Gray firmerà la tripletta del trionfo: 3-0. Corre, anticipa
tutti, esulta, alla fine sembra non crederci nemmeno lui. Lui, il ragazzo di
Glasgow che alla fine di quella stagione farà piangere tutti i tifosi
dell'Everton che volevano non se ne andasse. Ma d'altra parte stava arrivando
dal Leicester un certo Lineker e i suoi 40 goal stagionali, stavano arrivando
le sue prodezze messicane, e in ultimo arrivarono anche i soldi del Barcellona.
Il ritorno in Olanda non avrebbe dovuto far nascere troppe preoccupazioni ma a
scanso di equivoci questo Everton non concederà nulla agli avversari e si
imporrà con le reti di Peter Reid e Greame Sharp. I Toffees vengono così
inseriti nell'urna delle semifinali dove, fra le pretendenti al ballo finale si
aggirava minaccioso uno spauracchio che tutte le altre tre volevano evitare: il
Bayern Monaco di Jean Marie Pfaff, Dieter Hoeness, Klaus Augenthaler, e Lothar
Matthaeus. Un rullo compressore che aveva schiacciato tutti gli avversari. Dai
norvegesi del Moss, fino alla Roma, battuta sia in casa che in trasferta. E il
genietto dello spettacolo non poteva esimersi dall'abbinare i blues ai
tedeschi. Il 10 aprile 1985 sono in oltre settantamila al vecchio Olympia
Stadion. La squadra di Kendall soffre l'emozione scenica, e la pressione dei
bavaresi si fa insistente. Sembra che da un momento all'altro i rossi possano
passare. Ma quelli in maglia blu resistono. Sopratutto quello in maglia verde:
Neville Southall, il portierone gallese con i baffi da druido. La sue doti
funzionano. Dirrà di no anche a un certo Rumenigge, che dopo l'ennesima parata
si mette le mani fra i capelli. Quando finisce l'assedio il tabellone dice 0-0.
Primo pari per il Bayern in coppa. Il 24 aprile in un Goodison Park da brividi
sono quasi in cinquantamila a gremire l'impianto. Un'atmosfera unica. “We Are The
Famous EFC, e poi di seguito, When The Blues Go Marchin' In...” brividi, e
potere arcano che si sprigiona. Sprazzi d'incanto di serate dove qualcosa di
prodigioso era nell'aria, prima che il calcio moderno spazzasse via
insolentemente ogni forma di magia. I nuovi inquisitori non perdonano, guai ad
ammettere che preferivate il calcio di una volta. Vi rinchiuderanno in una
cella legati con una catena fatta di smart card. Al muro della prigione,
spugnato con le stelle della Champions, appenderanno il loro bando che dichiara
fuorilegge ogni forma di licenza poetica, per lasciare spazio e gloria solo
alla concretezza economica. L'unico dogma che per loro conduce al successo. La
semifinale di ritorno si presenta comunque difficile. Il pari raccolto in
Germania non può e non deve far stare tranquilli. Quando poi Dieter Hoeness, al
37° minuto, porta in vantaggio i tedeschi sembra davvero che le speranze siano
ridotte a un esile lumicino. Ma ecco quella magia di cui parlavo poco fa. E'
ora di farlo. Qui nel sottosuolo scorrono energie misteriose, questa è terra di
antichi riti, la bacchetta magica di Kendall può funzionare. Durante
l'intervallo nessun rimprovero, nessun urlo in faccia. Kendall ordina molto
semplicemente di ascoltare quei cori che giungevano distintamente anche nel
chiuso degli spogliatoi. E' quella la sua bacchetta magica. Lo sa. L'Everton
che riappare in campo lotta su ogni pallone, pressa, non da respiro al Bayern
che appare frastornato. E appena iniziata la vera grande notte del Goodison
Park. Sharp, Gray, Stevens: 3-1. Una rimonta strordinaria. I toffees sono in
finale. Rotterdam sarà letteralmente invasa dal popolo blu. Saranno all'incirca
in 25 mila. Molti di loro pregustano addirittura il "treble". Una
stagione da incorniciare insomma. Un dominio assoluto. Ma adesso l'ostacolo si
chiama Rapid Vienna che arriva in finale seguito da scorie polemiche. Infatti
nel corso della gara di ritorno degli ottavi di finale contro il Celtic, i
bianco-verdi viennesi, che avevano vinto 3-1 la gara d'andata in casa, si
trovavano sotto di 3 gol nel ritorno a Glasgow, quando il difensore Rudolf
Weinhofer si gettò a terra, sostenendo di essere stato colpito da una bottiglia
lanciata dagli spalti dai sostenitori dei Bhoys. Sulla falsariga di quanto
deciso in occasione di Borussia Monchengladbach - Inter, l'UEFA decise di
annullare la partita, e di farne giocare un'altra in campo neutro. Questo
nonostante le immagini televisive dimostrassero che Weinhofer non fosse stato
minimamente sfiorato.. Come pena aggiuntiva, al Celtic fu comminata una multa
di 17.000 sterline e la squalifica del campo per una partita. Nella
ripetizione, disputata all'Old Trafford di Manchester, il Rapid si impose per
1-0 e guadagnò il passaggio del turno. Ma il 15 maggio 1985 l'Everton si prese
quindi anche la briga di vendicare gli scozzesi e la sportività. Il Rapid cadde
sotto i colpi dei “soliti noti” ,Andy Gray, Trevor Steven e Kevin Sheedy per un
perentorio 3-1 finale. L'Everton campione d'Inghilterra saliva anche sul podio
europeo in un annata che non divenne leggendaria solo perchè un'invenzione di
un ragazzotto nordirlandese di nome Norman Whiteside regalò tre giorni dopo la
FA Cup al Manchester United. Ma la parabola di quella squadra non era finita.
Nel 1987 Kendall riporta l'Everton a vincere il campionato. Un torneo che vide
subito in testa squadre atipiche come il West Ham, e il neopromosso Wimbledon,
ma la non abitudine ai vertici fa soffrire di vertigini e blocca il proseguo
della scalata, lasciando strada al Nottingham Forest. Quest'ultimo si staccò
dalla vetta alla settima giornata e condusse la classifica fino alla
quattordicesima, tallonato dai canarini di Norwich che addirittura alla decima
giornata presero provvisoriamente il comando della classifica. L'alternanza
sembrò non conoscere soste. Al quindicesimo turno l'Arsenal, rinnovato
dall'avvento in panchina di George Graham, prese il comando in solitario e
allungò sulle inseguitrici, concludendo il girone di andata a +4 dall'Everton,
rimasto fino a quel momento solo a ridosso delle prime. All'inizio del girone
di ritorno i gunners allungarono di un punto il vantaggio sull' Everton, ma
subito dopo accusò un vistoso calo permettendo la rimonta dei Blues, che alla
ventiseisima giornata superarono i londinesi e tentarono la fuga inseguiti dai
rivali del Liverpool. I Reds rimontarono lo svantaggio sulla capolista,
prendendo la testa della classifica alla trentesima giornata, ma l' Everton
riuscì a recuperare lo svantaggio dopo quattro giornate e allungò sui rivali
acquisendo un distacco sufficiente ad assicurarsi la vittoria del campionato
con due giornate di anticipo, in uno dei tornei più combattuti e incerti di
sempre. L'ultimo squillo al campanello della sala delle vittorie del Goodison
Park e datato 1995. A suonare con la FA Cup in mano è Paul Rideout, ad aprire e
poggiare la coppa in bacheca Joe Royle, uno che qui è sempre stato di casa.
Andate al «The Abbey». E' un pub tutto rosso ma dentro batte un cuore tutto
blu. Potreste trovarvi dei tipi con la maglia dell' Everton e sulle braccia
tatuato il motto del club: «Nil satis nisi optimum». Nient'altro che il meglio
è abbastanza. Oppure perché no, fare la conoscenza di una di quelle ragazze che
prima della partita fanno il giro del campo lanciando caramelle agli
spettatori. Si lo so, non bisognerebbe accettare dolcetti dagli sconosciuti, ma
qui potrebbero offendersi, d'altra parte siamo non o non siamo fra i toffees?
di Sir Simon
giovedì 12 luglio 2012
Celtic, Rangers, e il caso Mo Johnstone.
Non cercate termini di paragone. Non lì troverete. Questo è
un affare per stomaci forti. Noi galleggiamo sulla superficie liscia del
semplice antagonismo sportivo, l'Old Firm scende in profondità, giù fino ai
cromosomi di un popolo, fino alle ragioni di una comunanza forzata decisa dalla
fame e dalle opportunità. Il trionfo delle conseguenze non volute. In filosofia
l'eterogenesi dei fini. A Glasgow c'è una data d'inizio a tutto questo.
Iniziate a cercarla a Gallowgate nel sud est della città. Edilizia popolare e
negozietti a buon mercato che sventolano bandiere irlandesi. Sui pub troneggiano
scritte in onore dei “Lisbon Lions 1967” , l'anno in cui il Celtic vinse la
Coppa dei Campioni a Lisbona contro l'Inter di Helenio Herrera e contro i
pronostici. Prima squadra non latina a farlo. Prima, sopratutto degli inglesi,
che marceranno d'invidia e dovranno aspettare la stagione successiva per
festeggiare, nella notte di Wembley, di Bobby Charlton e del Manchester United.
“Qui troverete ovunque questa scritta”, ti dicono. Qui, si riversarono navi di
emigranti provenienti dall'Irlanda, a seguito della penosa carestia delle
patate scoppiata nella metà del XIX secolo e che causò la morte di quasi un
milione di irlandesi. Ad attrarli il grande porto di Glasgow, i suoi moli, i
suoi cantieri navali. Da qui, e non solo da qui, il Regno Unito è partito per il
mondo e se lo è portato a casa. In breve l'afflusso immigratorio definì ancora
meglio la fisionomia della città. Operaia, proletaria, e laburista.
Un giorno fratello Walfrid, nome religioso di Andrew Kerins,
irlandese nato a Ballymote nel 1840 e anche lui emigrato nella cittadina
scozzese viene convocato dal suo arcivescovo che ha in mente di creare ciò che
ha già preso piede a Edimburgo. Ciò che già funziona con l'Hibernian. Una
squadra di calcio che raccolga fondi da devolvere in beneficenza ai bambini più
sfortunati: Poor Children's dinner table.
Walfrid è entusiasta del progetto. Si darà subito da fare;
affitta per 50 sterline un lembo di terra accanto al cimitero di Janefield,
proprio nella zona di Gallowgate, e lo trasforma in un empirico campo da calcio.
Nel 1888 partorisce la sua “creatura”, al grido di “viva San Patrizio”. E' nato
il Celtic Football Club. E' nata una “banda di straccioni” che gioca accanto
alle lapidi sbrecciate di un camposanto, con una maglia bianca e verde e un
quadrifoglio come emblema. Diventerà icona, simbolo, rifugio, e eccellenza
sportiva.
Ma intanto la massiccia iniezione di manodopera irlandese
non poteva non provocare reazioni in città. Dell'altra faccia della città.
Quella protestante, e presbiteriana, quella dei sermoni infuocati di John Knox
a una platea che lo ascolta ma non si muove. Perché farsi il segno della croce
è da fanatici, da adulatori del Papa e delle sue politiche d'interesse, da
fondamentalisti cristiani, da superstiziosi cattolici. Le “braccia locali” si
vedono sfilare posti di lavoro e stipendi. Irlandesi e scozzesi. Cugini di
genesi celtica. Troppo simili per non odiarsi. La religione, la politica, ma
non solo. Ne nasce un attrito che il tempo provvederà ad accrescere e
amplificare.
Nel 1872 erano nati i Rangers, anche se alcune cronache non
collimano con questa data. Quello che è certo e che nascono dalle idee di
quattro padri fondatori. I fratelli Moses e Peter McNeil, Peter Cambell e
William McBeath. I primi due sono figli di un giardiniere che lavora presso la
residenza estiva di John Honeyman, un mercante di grano. Per il nome si
ispirano a un team inglese di rugby, per i colori al blu scozzese che gli anni
a venire macchieranno di una britannicità palesemente ostentata da venature
bianche e rosse. I colori della Union Jack. Mentre i cori racconteranno della
battaglia di Boyne e di quando Guglielmo d'Orange sconfisse il re cattolico
Giacomo II. Prima partita contro il Callander FC con pareggio finale a reti
inviolate. Sedi vacanti e provvisorie per i primi anni, poi dal 1899 arriva
definitivamente il quartiere di Ibrox e uno stadio progettato del celebre
architetto Archibald Leitch. Diventerà il tribunale del popolo. Ibrox, Govan,
South Side, anche qui i brividi umidi del Clyde, i cantieri navali di Gorbals,
e cieli neri per il fumo costante delle ciminiere. Assolutamente e ruvidamente
“working class”. Sarà il riflesso opposto a Gallowgate. Oggi Govan è mestamente
fatiscente ma la zona adiacente di Pacific Quay è stata oggetto di uno
straordinario lavoro di rinnovamento, dal Glasgow Science Centre, al Riverside
Museum, agli studi della BBC. Dalla fondazione dei due giganti calcistici della
città, dal loro primo match ufficiale disputato nel maggio del 1888 (un
amichevole si noti bene) malgrado numerosi segnali di distensione, la rivalità
è cresciuta costantemente. Dissidi, rancori, incidenti e un episodio fra i
tanti che ha destato l'attenzione di tutto il mondo. Bisogna ritornare a oltre
vent'anni addietro. Alla stagione 1989/90. Maurice John Giblin Johnstone, per
tutti Mo, nasce a Glasgow il 14 aprile 1963. Rosso di capelli, qualche
lentiggine, e lo sguardo di uno di quelli che conosce la strada, le sue risse e
i suoi pericoli. E' cattolico, e anche un calciatore promettente. E per uno
nativo di quelle parti il Celtic sembra la destinazione naturale. Ci arriverà
nel 1984 dopo esperienze prolifiche con il Partick Thistle e il Watford in
Inghilterra. In tre anni collezionerà 140 presenze e metterà a segno 52 reti.
Poi arrivano le sirene francesi e il calciatore proverà l'esperienza
continentale andando a giocare nel Nantes. Nella Loira non smarrirà le sue doti
di bomber regalando al club giallo verde 22 centri in due stagioni. Sembra che
non voglia tornare più in patria, anzi no, rilancia il suo amore per il Celtic
e dice che rivuole Parkhead e che il Celtic è l'unico club in cui vuole
giocare. Intanto Frank Mc Avennie il suo sostituto durante il biennio francese
se ne ritorna al West Ham United. E allora Johnstone tornerà a Glasgow, ma
incredibilmente nella parte blu della città. E' un fatto di soldi. I Rangers
sotto la pressione sopratutto di Greame Souness vengono meno alla loro regola
storica di non tesserare giocatori cattolici. Lo stesso Souness risponderà alle
domande pressanti di stampa e tifosi dicendo: “Sono scozzese e protestante,
capisco certe cose, ma nel calcio come nel mondo moderno non devono contare, io
ho il dovere di scegliere i più bravi, e poi ho sposato una cattolica
figuriamoci se avrò problemi ad allenarne uno”. Anche il neo presidente David
Murray avalla la scelta del “padrino di Edimburgo”. I tifosi no. Di ambo le
parti. Per quelli del Celtic è semplicente un “Judas” un maledetto traditore. E
mentre dall' East End volano offese e minacce, sui cancelli di Ibrox bruciano
le sciarpe dei Rangers e vengono stracciati gli abbonamenti. Edminston Drive
viene presa d'assalto. Il 13 luglio fu una notte infinita, urla, rabbia e tanta
polizia. Nemmeno una subdola regia occulta avrebbe fatto meglio, siamo infatti
nel bel mezzo delle marce orangiste a Belfast. Benzina sul fuoco. Johnstone fu
costretto a difendersi da tutti. Da quelli dei Rangers, e da quelli del Celtic.
Per muoversi avrà bisogno di tre guardie del corpo. Stessa storia per la moglie
e i quattro figli. Fu persino costretto a prepararsi da solo la divisa da gioco
in quanto anche il magazziniere dei gers si rifiutava di farlo. A dirla tutta
negli archivi dei Rangers pare ci siano stati precedentemente al “rosso” altri
15 giocatori cattolici nelle loro fila come per esempio il sudafricano Don
Kitchenbrand, ma l'impatto del profilo di Maurice Mo Johnstone non era certo
eguagliabile. Billy McNeill l'allenatore del Celtic non avrà mezze parole: “
Non lo posso perdonare e credo che nemmeno i fans lo faranno mai perché ha
mancato di rispetto a tutti a noi e alla nostra causa”.
Ma nonostante tutto Johnstone dimostrerà una forza di
carattere notevole. Sterline o meno giocare in quella situazione sarebbe stato
impossibile per molti. Invece se ne andrà da Ibrox Park solo nel 1991 dopo aver
segnato 46 reti, qualcuna applaudita, qualcuna no. Naturalmente con il passare
del tempo le cose migliorarono ma un certo imbarazzo dei tifosi sugli spalti
rimase palpabile. Oggi le cose sono cambiate, i muri confessionali valicabili,
e addirittura l'italiano Lorenzo Amoruso è diventato il primo capitano
cattolico dei Rangers. Quei Rangers di cui nel momento in cui scrivo non se ne
conosce l'esatto futuro. Ma in ogni caso se giocate nell'una o nell'altra
squadra di Glasgow evitate di segnarvi o di mimare flauti orangisti, non si sa
mai.
di Sir Simon
Le Rose Bianche di Leeds
A Leeds l'inverno è talmente egocentrico, che ogni anno
pretende di essere il più freddo di sempre. Scatena un vento pungente che ti
sferza la faccia, duro, come le vocali strette degli inglesi del nord. Un
inverno così lungo, che sembra nessuno si ricordi cosa c'era prima, a parte
quella breve parentesi autunnale che piega gli alberi e riempe le strade di
foglie morenti. Il sole? Una band d'apertura che si sgola qualche minuto e poi
cede il passo al protagonista. A precipitazioni prive d'indulgenza che si abbattono
al suolo tramando contro l'eroismo di piccoli fiori sbocciati nei giardini di
Bramley, di Horsforth o di Roundhay. Ma, no. Non spaventiamo nessuno. Lo
scenario non è così cupo. Anzi. La città brulica di vita e di attività, essendo
uno dei centri finanziari più importanti dell'intero paese. Affollatissime le
zone pedonali, piene di negozi, ristoranti, gallerie, pub che chiudono a tarda
ora, e locali alla moda pieni di studenti in Erasmus. Su tutto si erge, lungo
l’argine del suo canale anche l’imponente ed austero edificio della Royal
Armouries. In ogni caso benvenuti a Leeds, la porta d'ingresso dello Yorkshire,
dove le brughiere si alternano ai villaggi, in un coloratissimo patchwork di
colture e vegetazioni diverse.
Benvenuti nella città del Leeds United AFC. Ma non iniziamo
subito ad associare questa squadra con quella che per circa un decennio, a
cavallo fra gli anni 60 e 70, visse un autentico periodo da protagonista sia in
Inghilterra sia in Europa, raccogliendo trofei importanti, ma anche beffarde
sconfitte e conosciuta con il celebre sopranome di dirty Leeds. Si è vero, non
erano una comitiva di santi, ma alla fine, nel calcio l'aggettivo “sporco” o
“cattivo” potrebbe fare compagnia a molte altre squadre che si vantano di avere
una fedina penale pulita e che invece di misfatti dentro e fuori il rettangolo
verde ne hanno combinati diversi. Non ci distraiamo, torniamo alle origini
allora. Fumi, rumori, abitazioni povere e umide. E' la Leeds del 1904. Quando
all'anagrafe cittadina questo club aveva un nome diverso. Leeds City. Ma il
sodalizio venne radiato dalla Federazione nel 1919 a causa di certi pagamenti
illegali compiuti per l'acquisto di alcuni giocatori durante il periodo del
primo conflitto mondiale. Tra i coinvolti anche il futuro tecnico dell'Arsenal
Herbert Chapman che successivamente se la cavò grazie a un amnistia. Ma non si
poteva restare senza calcio. E quasi subito si decise di formare un nuovo club
che rappresentasse la città, ed ecco il Leeds United. Primi anni nella Midland
Football League, un campionato di seconda fascia dove spesso giocavano le
squadre giovanili delle formazioni della prima divisione. E fu proprio grazie
al posto vacante lasciato dalla formazione riserve del Leeds City che la neonata
formazione poté iscriversi al torneo. Nel 1920, la squadra venne riconosciuta a
tutti gli effetti, acquisendo così il diritto di partecipare ai campionati
nazionali. In quello stesso anno il club venne acquistato da Hilton Crowther,
ricco proprietario di un lanificio nonché dell' Huddersfield Town, deluso dalla
scarsa partecipazione del pubblico dei Terriers, e a quanto pare invece
affascinato dalla grande passione della gente di Leeds. Non ci fu la fusione
tanto temuta dai tifosi di Huddersfield. Alla fine le due compagini rimasero
ben distinte e Crowther si dedicò esclusivamente allo United.
L'esordio ufficiale avviene in seconda divisione il 28
agosto 1920 contro il Port Vale, terminato con una sconfitta per 2-0, ma quello
che più contava in questo caso non era il risultato ma il ritorno all'attività
sportiva per i bianchi del West Yorkshire, che nell'anno di grazia 1923/24
faranno la loro prima apparizione nel massimo campionato. Ho volutamente
commesso un errore cromatico. Quel Leeds non giocava in bianco. Fino al 1934 le
divise presentavano un disegno a strisce verticali bianco blu. Richiamo voluto
al momento dell' aquisizione della squadra da Crowther nel tentativo poi andato
a vuoto di unire le due società. Nel settembre del 1934, arrivò l'adozione di
una maglia blu e oro simile all'emblema cittadino, e il nick name di "The
Peacocks". Intanto due anni prima nel 1932 nello storico impianto di
Elland Road l'attesa per la gara con l'Arsenal fu talmente febbrile e
coinvolgente che quattro ore prima il pubblico era già al suo posto ad
aspettare il fischio d'inizio. Era il 27 dicembre, e sotto le tribune
gocciolanti ai piedi di Beeston Hill, ci sono 56796 cappotti e probabilmente
altrettanti berretti. Il loro record d'affluenza resisterà per 35 anni. Gli anni
seguenti la seconda guerra mondiale si fanno luce giocatori come Willie
Edwards, Ernie Hart, e Wilf Copping, con quest'ultimo che si prende anche la
soddifazione di vestire la maglia della nazionale inglese. La storia a alti e
bassi del Leeds non conosce soste, nel 1947 ecco l'ultimo posto in campionato e
la conseguente retrocessione. Ma il sorriso dalle parti di Elland Road non
tarda a tornare. Al timone della squadra in quegli anni c'è Frank Buckley. Anzi
a dirla esattamente il Maggiore Frank Buckley. Nasce a Urmston nel Lancashire
nel 1882. Calciatore e soldato, farà della disciplina e del rigore morale la
sua filosofia preferita. Ma lo sguardo burbero non riesce nascondere una
malcelata gentilezza che lo renderà benvoluto e rispettato da tutti. Nel 1948
scova un colosso gallese dalla fisicità dirompente e dall'aspetto bonario. Si
chiama John Charles e gioca nello Swansea. Nel gennaio del 1949 firmerà il suo
primo contratto da professionista con il Leeds United. Centromediano dinamico e
sicuro, travolgente negli inserimenti offensivi con un colpo di testa a dir
poco strepitoso, ben presto si guadagnerà l'appellativo di “King John”. Un
idolo assoluto che nella stagione 1953/54 vincerà il titolo di capocannoniere
con l'invidiabile bottino di 42 reti. Ciò nonostante la squadra non toccherà i
vertici della classifica, a differenza degli anni successivi che vedranno il
club tornare prepotentemente in prima divisione. E' il 1956, ancora con
Charles, che questa volta metterà la sua sigla su 30 centri. Il gigante gallese
non risentirà nemmeno la differenza del salto di categoria. Nel torneo seguente
infatti le reti saranno 38. Ma quel campionato sarà segnato da un episodio che
la storia del Leeds e di Leeds non potrà mai dimenticare. L'incendio di Elland
Road del 18 settembre 1956. L'odore acre del fumo avvolge l'intera cittadina,
le fiamme iniziano a divorare la West End, per poi spargersi ovunque.
Ingoieranno palloni, divise, trofei, le attrezzature, gli spogliatoi, le stanze
degli amministratori, l'ufficio stampa e i generatori per il sistema di
illuminazione. Alla fine tutto era un enorme ammasso di macerie fumanti. Il
fuoco sembrò portarsi via non solo lo stadio ma anche il futuro stesso del
Leeds United. Ma qui abita gente orgogliosa, tenace. Nessuno vuole abbandonare
Elland Road. Nessuno vuole lasciare la casa in cui questo club è cresciuto.
Pochi giorni dopo l'incendio, in uno scenario quasi post bellico, gruppi di
spettatori si sistemerammo alla meglio fra i resti contorti e anneriti dello
stadio per assistere al match contro l'Astonvilla e al goal vincente del solito
Charles. Ma adesso bisogna rimboccarsi le maniche, e tirare fuori qualche
sterlina per la ricostruzione. “Qualche” non è il termine esatto, ne serviranno
130000. Un impegno economico che fra qualche lacrima di disappunto, non può
prescindere dalla cessione del calciatore di spicco del club. John Charles si
accaserà in Italia alla Juventus per 65000 sterline. A Torino con la coppia
Sivori, Boniperti, darà vita a un ciclo leggendario per i bianconeri. A Leeds
il contraccolpo è forte. Nel 1960 la squadra retrocede ancora in seconda
divisione.
Il vuoto della partenza di John Charles viene colmato con
l'arrivo di Donald George Revie. Uno nato a Middlesrough e che a 14 anni ha già
lasciato la scuola per giocare a calcio. Alle spalle una discreta carriera con
Leicester City, Hull City, Manchester City, Sunderland, prima di arrivare nello
West Yorkshire come giocatore nel 1958. In campo è incisivo e preciso, e dotato
di una buona visione di gioco. Come uomo assomiglia più a un commissario di
Scotland Yard, basette lunghe, capello ondulato, e una faccia rotonda con un
mezzo sorriso accennato, che prima ti legge dentro e poi chiude il tuo file in
un cassetto della memoria. Forse insieme a quello di qualche arbitro e
dirigente della federazione. Preparazione maniacale o tentativi di corrompere
l'avversario? Ad ogni modo la carriera di manager di Don Revie a Elland Road
parte nel 1961. Vuoi per emulare il grande Real Madrid dell'epoca vuoi per un
voto di scaramanzia in seguito a una salvezza rocambolesca, il nuovo tecnico
decide di modificare i colori ufficiali del club. Si passerà a un completo
totalmente bianco, dove negli anni a venire campeggieranno, gufi, acronimi
l.u.afc, rose, fino all'attuale crest moderno. Don Revie, aprirà un epoca. Come
successo in altri casi, dove una squadra aveva vinto poco o niente nel suo
passato, non appena nel 1964 fa ritorno nella massima serie, riesce a mettere
in fila una serie inaspettata di risultati. Non si tratta di poche brillanti
stagioni, non una meteora passeggera, ma di ben due lustri nei quali fu
recitato sempre un ruolo da protagonista. Dopo aver raggiunto il secondo posto
nei primi due campionati e una finale dell’ allora Coppa delle Fiere, nella
stagione 67/68 ci fu la conquista della Coppa di Lega e la stagione successiva
il tanto sospirato titolo di Campione d’ Inghilterra, con 67 punti. A sei punti
il Liverpool, a 10 l'Everton terzo classificato. Maggior numero di vittorie,
minor numero di sconfitte. In ogni competizione il Leeds riusciva ad arrivare
quasi sempre a contendere il titolo all’ avversario di turno. Ma
paradossalmente questa tenacia nel voler conseguire ogni traguardo impedì alla
squadra di Revie di vincere ancora di più. Spesso la squadra arrivava alle
partite decisive letteralmente spremuta, così si spiegano le numerose e
talvolta inaspettate sconfitte. Venne conquistata l’ unica FA Cup della propria
storia nel 1972 ma contornata da tre finali perse e non sempre contro avversari
di livello, due Coppe delle Fiere nel 68 e 71, la finale della Coppa delle
Coppe persa in maniera quantomeno sfortunata contro il Milan, e una serie
infinita di piazzamenti, nelle zone di prestigio del campionato. L' ultimo
acuto fu la conquista del secondo titolo inglese nel 73/74. La chiamata della
nazionale chiude anticipatamente l’era Don Revie, e il nuovo ciclo affidato
all’ emergente ed ex-nemico Brian Clough proveniente dal Derby County che però
termina mestamente dopo appena 44 giorni con un flop clamoroso. Nel mezzo la rissa
di Wembley fra il capitano storico Billy Bremner e Kevin Keegan del Liverpool.
Una squadra che annoverava nomi quali, John Charles, Jack Charlton, il regista
John Giles, Peter Lorimer, Norman Hunter; ed era etichettata come rude, sleale,
esibendo tali doti agonistiche in campo tanto da essere etichettata dagli
avversari a torto o a ragione come il Dirty Leeds. Raggiungerà in ogni caso la
finale di Coppa dei Campioni a Parigi guidata in panchina da Jimmy Armfield, ma
il Bayern Monaco si imporrà per due reti a zero.
Cominciano gli anni bui
caratterizzati dal ritorno in seconda divisione. Agli inizi degli anni 90, dopo
essere tornata nella massima serie, arrivò un inaspettato titolo grazie
soprattutto all’ innesto del talento di Eric Cantona. Cantona è un marsigliese,
istrionico, e ruvido. Nel gennaio 1992, andò in Inghilterra per effettuare un
provino con lo Sheffield Wednesday, allenato da Trevor Francis. Gli venne
offerto un secondo provino, ma ciò provocò il risentimento del giocatore, che
si ritenne offeso e decise di firmare per il Leeds United, diventando una
colonna della squadra che vinse il titolo nel 1992 sotto la guida saggia di
Howard Wilkinson. L'avvio del torneo, iniziato il 17 agosto 1991, fu favorevole
al Manchester City che vinse le prime tre partite. Alla giornata successiva i
rivali cittadini del Manchester United presero il via libera e tentarono la
fuga, tallonati dal Chelsea, dal Liverpool, e infine dal Leeds, che al
tredicesimo turno prese il comando solitario della classifica. Nelle successive
cinque giornate si alterarono al comando della classifica il Leeds, e i Red
Devils, che al termine del girone di andata erano con due punti di vantaggio
sui rivali. Il testa a testa tra le due squadre continuò anche all'inizio del
girone di ritorno e sembrò arrivare ad un punto di svolta quando, alla
ventottesima giornata, il Manchester United si portò a +4 sul Leeds. A partire
dalla trentesima giornata il Leeds recuperò lo svantaggio sui Red Devils
conquistando la vetta dopo due giornate. Al trentacinquesimo turno il
Manchester United riprese il comando solitario della classifica, ma dopo
quattro giornate i bianchi conquistarono definitivamente la vetta del
campionato, assicurandosi la vittoria con una giornata di anticipo e
concludendo con quattro lunghezze di vantaggio sugli uomini di Ferguson. Non
solo Cantona, quella era la squadra del portiere John Lukic, del terzino Tony
Dorigo e dei suoi ricci sempre perfetti, della grinta dell'Irlandese Gary
Kelly, del povero Gary Speed e delle sue scorribande, dell'esperienza di Gordon
Strachan, dello scozzese Mc Allister, delle due punte, Lee Champan, (inglese
barcollante ma puntuale sotto porta), e del velocissimo colored Rod Wallace.
Eric Cantona se ne andrà da Leeds nel gennaio del 1992. Troppo acute le sirene
dorate del Manchester United. All'Old Trafford arrivarono reti e successi e
anche un episodio negativo. Troppo brutto per essere vero. E Allora cancellate
il 25 gennaio 1995, scordatevi il Selhurst Park di Londra, togliete dalla
storia Crystal Palace-Manchester United. Eric Cantona forse finì il suo ciclo
nel sud della capitale inglese. Era il simbolo del Manchester, fu espulso per
un fallo su Richard Shaw. Protestò con l’arbitro, poi se ne andò. Nervoso,
verso gli spogliatoi. L’urlo dagli spalti, l’insulto. Lui parte: un colpo di
kung-fu con entrambi i piedi, i tacchetti di ferro sul petto di Matthew
Simmons. Uno che non doveva esserci quel giorno allo stadio: non tifava Crystal
Palace, ma Fulham. Era un ex carcerato, ex affiliato a un movimento di estrema
destra. Un violento. Il grido: “Fottuto francese di merda e deficiente”.
Assalto. Vergogna. Tutti scatenati contro il calciatore pazzo: “Cantona deve
essere cacciato per sempre dagli stadi di calcio”. “E’ indifendibile”. Eric
oggi non si difenderebbe neanche da solo. Sarebbe forse il primo a fare il
parallelo, a raccontare con voce impostata la solita parabola del campione che
gioca con la vita. Matto, sregolato, cattivo, sbagliato. Quelli su cui è sempre
bello e facile sparare: se le cercano. “Non è un vero attore, non può fingere,
non è un cialtrone”. Né calciatore, né attore. Eric, punto. Come se fosse
un’entità, uno spirito trasversale, un artista completo. Gira con la sua Laika
a pellicola. Fotografa il mondo per sapere dove vive, ritrae la gente per
capire chi è: “Scatto in bianco e nero, perché il bianco e nero, per me,
rappresentano la vita e la morte”. Bianco e nero. Come la continua altalena del
club di Leeds. George Graham sostituì Wilkinson sulla panchina; il suo arrivo
fu causa di diverse controversie da parte della stampa e dei tifosi. Graham
alle spalle aveva subìto una lunga squalifica da parte della Federazione, per
via di alcuni pagamenti illegali versati ad alcuni agenti di giocatori.
Ad ogni modo il nuovo allenatore mise a segno alcuni astuti
acquisti, grazie ai quali il Leeds riuscì a qualificarsi per la Coppa UEFA.
Nell'ottobre del 1998, Graham lasciò i Whites ed al suo posto venne ingaggiato
l'ex gunners David O'Leary come direttore tecnico, coadiuvato da Eddie Gray.
Grazie a questa coppia e alla sua politica di rinnovamento il Leeds, introdusse
moltissimi giovani talenti, come il difensore Jonathan Woodgate, il
trequartista Alan Smith ed il centrocampista Stephen McPhail, il loro talento
contribuì a trascinare la squadra alle semifinali della Coppa UEFA ed al terzo
posto in classifica, grazie al quale il Leeds ottenne l'accesso per la UEFA
Champions League.
Nella semifinale di andata della Coppa UEFA, gli inglesi si
trovarono di fronte ai turchi del Galatasaray. Disgraziatamente prima
dell'inizio di quella partita persero la vita due tifosi del Leeds, Christopher
Loftus e Kevin Speight, vittima della violenza di alcune frange di tifo estreme
della squadra turca. Nella partita di ritorno venne osservato un minuto di
silenzio, che da allora viene ripetuto ogni volta che il Leeds gioca un
incontro in prossimità della data della tragedia. Era il 9 aprile 2000. Le
risorse finanziarie non erano però state gestite adeguatamente, ed una nuova
crisi colpì nuovamente il club. I giocatori più quotati vennero venduti e i
risultati scarseggiarono pesantemente, facendo precipitare il Leeds fino in
terza divisione nel giro di poche stagioni. Non senza patemi d’ animo, il Leeds
è riuscito al termine della stagione 2009/10 a far ritorno in seconda divisione,
nella speranza di poter rivivere altri momenti d’oro. Un altro Eldorado. Ma il
presente ci parla di più bassi che alti. Ad ogni modo, comunque, questa resterà
una squadra che ha segnato un epoca nel panorama del calcio inglese, ma per
favore, alla fine, non chiamatelo sporco, non chiamatelo maledetto, chiamatelo
solo e più semplicemente Leeds United. Marching on together....
di Sir Simon
I Vasai di Stoke
Un testo drammatico, crudo, che parla di amore e di morte.
Una donna porta alla perdizione il suo uomo sconvolgendolo coi sensi e poi lo
tradisce. Lui la scopre, si sente ferito, perduto, e la uccide in lacrime. E'
il 1968, quando Tom Jones, ex minatore gallese, aitante e vigoroso, porta al
successo la canzone Delilah. Ne rende credibile la storia attraverso parole
semplici e d'effetto, accompagnate da una musica dolente che colora
efficacemente la vicenda. Fino a qui niente di strano. Una canzone come tante
altre, più triste di tante altre, forse troppo, ma nulla di più. Un singolo che
raggiungerà i primi posti delle classifiche in diversi paesi, Inghilterra
compresa, ma pensare che un giorno venisse associata a un club calcistico per
farne una vera e propria lirica sembrava davvero poco credibile. Succederà in
un pub di Derby. Ma non ai Rams. Succederà allo Stoke City. Siamo negli anni
settanta, i mitici seventies. I potters sono impegnati in trasferta al Baseball
Ground e un gruppo di sostenitori biancorossi è alle prese con l'ennesimo
“rounds” i celeberrimi giri di bevute, dove tutti offrono da bere a tutti in
modo da dividere il conto. Parte l'ennesimo coro. E con il coro qualche
parolaccia di troppo. Indecente. Vietato, non si può. La polizia interviene e
fa abbassare i toni. Bene, non possiamo cantare le nostre canzoni? Nessun
problema, canterà il Juke box per noi, e canterà la canzone più mesta e
malinconica che ha in dotazione. La monetina la inserisce un certo Anton Booth,
poi non appena partono le prime note di Delilah, si alza su un tavolo e tutti a
poco a poco lo seguono nel ritornello: “ My, my, my Delilah, Why, why, why
Delilah..” Fu un trionfo, goliardico, e inaspettato. Da quel giorno Anton Booth
responsabile della società d' assicurazioni Newcastle-based Booth AD &
Sons, sarà per tutti TJ, e Delilah l'inno riconosciuto dello Stoke City
Football Club. La terza squadra più antica al mondo. Anno di nascita 1863 con
il nome di Stoke Ramblers, e con il padre fondatore Henry Almond della Charterhouse
School, che sarà il primo capitano e il primo marcatore della squadra. Uno e
trino. Nel 1888 i biancorossi avranno l'onore di essere tra i dodici club che
daranno vita alla Football League. Siamo a Stoke on Trent per l'esatezza,
Midlands Occidentali .Città terza nel calcio, prima nell’industria della
ceramica. Questo grazie a una zona ricca d'argilla e carbone nonché di sale e
piombo. Nel 1769 Josiah Wedgwood costruirà uno dei primi stabilimenti della
gran Bretagna ancora oggi famoso e in funzione. Un nick name del club, quindi,
scritto nel destino, nel sottosuolo dello Staffordshire. Accoppiamento
inevitabile: Potters, i vasai. Ma partiamo da un giocatore. Il primo. Il primo
giocatore europeo a vincere il Pallone d’Oro. Anno domini 1956. Sir Stanley
Matthews. A essere sinceri il riconoscimento non gli venne assegnato per gli
allori conquistati in quella stagione, quanto piuttosto come omaggio alla
carriera, oltre che alle sue indubbie doti di atleta. Quando France Football
gli consegnò il premio, infatti, The Magician aveva già 41 anni. E nessuna
intenzione di appendere le scarpette al fatidico chiodo. Giocò infatti fino
alla stagione 1964/65, fino a 50 anni, un età impensabile per tutti a certi
livelli, altalenandosi tra la First e la Second Division. Matthews nasce il
primo (e non poteva essere altrimenti) di Febbraio del 1915 a Henley, proprio
nei dintorni di Stoke on Trent. E proprio al Victoria Ground, casa dello Stoke
City, mosse i primi passi della sua carriera, firmando il primo contratto da
professionista nel 1932. Due anni più tardi, diciannovenne, esordiva in
nazionale contro il Galles. Risultato 4-0, e la sua firma su un gol.
Ciononostante le pagelle del Daily Mail lo etichettarono incapace di reggere la
pressione nelle partite più importanti, quelle di cartello. Si sbagliarono.
Matthews era un ala destra, in un ruolo che diventerà un marchio di fabbrica
della scuola inglese. Faccia rugosa, la stempiatura ed i capelli pettinati
all’indietro con la brillantina, rapidissimo con il dribbling nel sangue, tanto
da essere soprannominato The Wizard of the Dribble. I suoi cross erano
pennellate di genio per quegli armadi semoventi che erano gli attaccanti
inglesi del suo tempo. Eppure, in carriera raccolse molto meno di quanto
seminato, limitato forse da squadre non alla sua altezza, e dall'arrivo della
Seconda Guerra Mondiale, che rubò i suoi anni migliori nei quali prestò
servizio nella RAF a Blackpool. Una ridente cittadina turistica bagnata dal
Mare d’Irlanda e meta preferita dei vacanzieri inglesi di fine Ottocento che
volevano fuggire dal grigiore delle città industriali inglesi. Fatto sta che a
Blackpool giocherà 15 anni, per un totale di 391 partite e 17 gol, tutti in
First Division e scriverà le pagine più belle della storia dei Seasiders,
compresa naturalmente quella storica finale di FA Cup contro il Bolton. Ma
torniamo a Stoke e da lì che siamo partiti ed è lì che dobbiamo tornare. Perchè
nel 1961 Matthews accetta di fare ritorno a casa. Il merito del rimpatrio va
essenzialmente a un manager caparbio, bravo a saper sfruttare al meglio
l'esperienza di giocatori all'apparenza troppo in là con gli anni. Si tratta di
Tony Waddington, su cui torneremo fra un po'. Lo Stoke City intanto è
retrocesso in Seconda Divisione nel 1953. Con Matthews riconquisterà la
promozione nel 1963 e due salvezze consecutive negli anni a seguire. Nel 1965
gli arriva il titolo di Cavaliere dell’Impero Britannico per meriti sportivi,
(anche qui il primo sportivo a ricevere quest’onore) poi in febbraio l’ultima
apparizione in campionato, contro il Fulham, a 50 anni suonati. Un uomo e un
calciatore di Stoke. Il più importante ma naturalmente non il solo che ha messo
in luce la città dei vasai. Avevamo parlato di Tony Waddington, nato a
Manchester nel 1920. Come calciatore toccò quasi 200 presenze con la maglia del
Crewe Alexandra, per poi lasciare l'attività agonistica in seguito alle
conseguenze di una ferita al ginocchio mentre prestava il servizio militare in
marina durante la guerra. Uomo ordinato e attento arriva a Stoke nel 1960 e,
dopo la già citata promozione del 1963, focalizzerà la sua attenzione
sopratutto su centrocampo e difesa. Costruirà una linea difficilmente
valicabile che sarà ribattezzata “Waddington Wall”. Nel 1964 giungerà a
disputare la finale di Coppa di lega, ma dovrà arrendersi al Leicester City. In
quel Leicester giocava un giocatore che due anni dopo arriverà a Victoria
Ground da campione del mondo. Non uno qualsiasi. Uno dei più grandi portieri di
sempre del calcio inglese e non solo. Gordon Banks. Uno che se lo guardi
capisci che ha sofferto. La vita lo segna da subito. Portatore di carbone,
muratore, e nel tempo libero per divertirsi una squadra di minatori che dava
calci a un pallone. Ma la sua tecnica non può restare nei campetti del
dopolavoro. Ottimi riflessi, freddezza, buona capacità di guidare la propria
retroguardia. A notarlo il Chesterfield che lo farà esordire nel 1955, fino a
che nel 1959 per 7000 sterline si accasò nella tana delle volpi di Leicester.
Nè difenderà la porta per 293 partite. In nazionale protagonista per quasi un
decennio vincerà la coppa Rimet del 1966, e sarà protagonista di un episodio
passato alla storia. Una parata. Il suo mestiere. Accadde a Guadalajara, nei
mondiali messicani, nell'ormai lontano 1970: il nazionale verdeoro Edson
Arantes do Nascimento, in arte Pelé, si elevò per colpire di testa un cross
indirizzato dentro l'area di rigore dell'Inghilterra dal compagno di squadra
Jairzinho, abile a sfuggire alla marcatura di Cooper, il suo dirimpettaio su
quella fascia. Era goal. Anzi: sembrava fosse goal. Mentre il fuoriclasse
brasiliano stava per esultare Gordon Banks, l'estremo difensore britannico, una
volta compreso che non si trattava di un tiro diretto alla sua porta bensì di
un traversone schizzò da un palo all'altro, riuscendo incredibilmente a deviare
la sfera oltre la linea del campo. "Quando Jairzinho ha calciato il
pallone, ho cominciato a indietreggiare verso la porta. Poi ho valutato la
traiettoria: era impossibile che qualcuno potesse raggiungerla. A quel punto ho
visto Pelé. Sembrava arrampicarsi verso il cielo sempre più in alto, finché ha
raggiunto il pallone e lo ha colpito con tutta la forza che aveva in corpo. E
io sono andato a prenderlo". Lo Stoke City aveva 109 anni nel 1972 ma la
loro sala trofei presentava tristemente più polvere che coppe. E nessuno si
sarebbe aspettato di vincere la finale di Coppa di Lega. Al Victoria Ground,
Waddington aveva portato per 35000 sterline l'intramontabile e inossidabile
George Eastham, centrocampista di 34 anni. Ex Newcastle, ed ex Arsenal.
Settanta goal in dieci anni e una battaglia in tribunale per i diritti dei
giocatori che all'epoca fece scalpore. Con lui gente del calibro di Mike Pejic,
John Ritchie, e Jimmy Greenhoff. Per arrivare alla finale di Wembley lo Stoke impiegherà
11 partite comprensive della storica semifinale con lo West Ham, terminata solo
al terzo incontro in campo neutro all' Old Trafford di Manchester e finito 3-2
per i Potters. In finale si sarebbe scontrato con un nome che in quel momento
faceva tremare molti: Il Chelsea. I blues inizieranno forte. D'altra parte la
squadra di Dave Sexton poteva permettersi gente come Peter Bonetti, Ron
“Chopper” Harris, Peter Osgood, e Alan Hudson. Loro che erano espressione di un
quartiere alla moda, che portavano basette lunghe e folte e con i pantaloni a
zampa d'elefante pulivano i marciapiedi di Fulham Brodway. Ma lo Stoke in
contropiede punge subito dopo cinque minuti con Terry Conroy che di testa in
mischia porta lo Stoke City in vantaggio. Ovvio, il Chelsea non ci sta e Osgood
pareggia le sorti del match proprio in chiusura di primo tempo. Nell'ultima
azione del primo tempo. Un goal che moralmente poteva spezzare le gambe. Gordon
Banks nella ripresa venne chiamato agli straordinari, con salvataggi cruciali.
Ma al 73 ' Bonetti è costretto a una respinta corta sul tiro da centro area di
Jimmy Greenhoff scaturito dal cross radente di Conroy. Sulla palla vagante si
fionda Eastham, e il vecchio leone mai domo regala il trofeo ai Potters. Su un
rinvio di Banks l'arbitro Burtenshaw fischia la fine dell'incontro. E' il
momento degli abbracci e della gioia, fra il calore dei migliaia di tifosi
arrivati da Stoke, e il momento del giro d'onore tra le bandiere e le sciarpe
biancorosse sugli spalti. Sembrava una festa di famiglia scrisse Hugh
McIlvanney nel Observer.
Una festa i cui echi il tempo sta allontanando e che
sarebbe il momento di rivivere. Vero Delilah?..
di Sir Simon
domenica 8 luglio 2012
I più vecchi di Scozia
Il Queen's Park, noto come "The Hoops" o "The
Spiders", viene fondato 9 luglio 1867 ed è il più vecchio club della
Scottish League.
Il Queen's Park rappresenta nella storia una delle influenze principali per lo
sviluppo del calcio in Scozia, con particolare attenzione al lavoro di squadra.
Il club è stato due volta finalista nella FA Cup inglese, sconfitto sempre dal Blackburn Rovers nel 1884 e 1885.
Agli inizi della sua storia il club non ha concesso una rete per ben 8 anni, fino al 16 Gennaio 1875.
Il Queen's Park aveva sviluppato un proprio regolamento per
giocare a calcio, il Club ha resistito al professionismo e non veniva permesso ai
giocatori professionisti di vestire la maglia del Queen's Park che nel 1890 rifiutò di aderire alla neonata Scottish League.
Il Club temeva che questa lega potesse provocare la rovina dei Club più piccoli ed infatti sei dei membri fondatori da li a poco scomparvero.
Il Queen's Park nel
1900 fece comunque domanda per entrare nella Lega pur mantenendo lo stato di "squadra dilettante".
Favori speciali vennero concessi dalla Lega; non solo era
l'unico membro dilettante, ma vennero anche protetti dalla retrocessione alla Second
Division fino al 1922.
Raramente il club ha giocato in categorie superiori e quando
lo ha fatto non ha certamente brillato.
Solo negli anni '90 è stato concesso ad ex giocatori
professionisti è stato concesso di giocare per il club. Sotto la guida di John
McCormack, il club ha concesso ai giocatori professionisti di venire in
prestito. Sebbene ancora dilettanti, i direttori ricevono un onorario.
La loro permanenza nella Second Division è durata una sola
stagione, nel 2000/01 sono retrocessi.
McCormack ha perso molte delle sue stelle ed è stato
costretto a puntare su molti giovani per affrontare la Division Three. Gli
Spiders non sono riusciti a vincere nemmeno un incontro, fino a Novembre, quando
vinsero 1-0 al Firs Park contro East Stirling, grazie ad una rete del giovane
John Gemmell.
Dopo un pareggio per 1-1 in casa del Dumbarton nell'ultima
giornata di campionato, il Queen's Park è finito in fondo alla classifica di
Third Division, un'umiliazione per un club dalla storia illustre
La Stagione 2002/03 è iniziata alla grande, 1-0 contro il
Gretna in Challenge Cup, nel 1°Turno, iniziando una cavalcata strepitosa.
Al secondo turno viene superato il Forfar Atletic, la corsa
finisce per mano del Brechin Ciy che si impone per 4-3 ad Hampden.
Il Manager John McCormack è andato via a Novembre,
sostituito dalla coppia Paul Martin e David Hunter, che hanno condotto il club
ad una bella stagione, togliendoli dall'ultima posizione.
In Scottish Cup al 2°Turno viene superato l'Albion Rovers al
Cliftonhill grazie alle reti di Willie Martin e Jimmy Allan.
Il nuovo Manager, Kenny Brannigan è entrato in carica a
Febbraio e i risultati sono un pò calati, il suo primo incontro è terminato con
una sconfitta 4-3 ad Hampden contro l'East Stirling, nonostante John Gemmill abbia segnato due reti nei primi cinque minuti.
I Queen's hanno recuperato la forma e concluso la stagione
all'ottavo posto.
Nella Stagione 2003/04 si è iniziato con la speranza di
raggiungere la promozione. Kenny Brannigan ha convinto ex giocatore Frankie
Carroll a ritornare da Hampden insieme ai nuovi acquisti Ally Graham e Stevie
Reilly.
Frankie è stato subito vitale all'esordio, agguantando 1-1
contro il Gretna al '95. In League Cup, viene eliminato Inverness Caley Thistle
per 2-1 con le reti di Graham e Reilly.
I risultati continuano ad essere positivi, fino al 4 ottobre
quando vengono sconfitti per 2-0 dal Peterhead, ed è l'inizio di una crisi che
hanno visto gli Spiders, riconquistare la vittoria il 6 Dicembre, vincendo per
3-0 contro gli Shire, due reti di McAulay e una di Graham.
La seconda metà della stagione è stata molto povera, l'unico
punto luminoso è stata esplosione della punta 16 enne Derek Carcary, che ha
segnato cinque reti, portando gli Spiders al 7°posto.
Nella Stagione 2004/05 Kenny Brannigan si è dimesso ad Agosto dopo
una discussione con un tifoso, al termine della partita persa contro Elgin per
1-0.
Al suo posto è arrivato Billy Stark, prima della partita contro il forte
Gretna.
Ad Hampden a 10 minuti al termini il Gretna conduce 2-0, ma
eccoti arrivare l'impossibile, in pochi minuti vanno a segno Frankie Carroll,
Bryan Felvus e Stuart Kettlewell, i tifosi sono in delirio, gli Spiders contro
ogni pronostico portano a casa un secco 3-2.
Durante la settimana, i Spiders vengono eliminati dalla
Challenge Cup, ai rigori dal Forfar, però esprimendo un ottimo calcio.
A fine stagione arriva la sconfitta a Cowdenbeath per 1-0,
che li fa allontanare dal secondo posto e finire il campionato 4°. Frankie
Carroll con le sue 19 reti è il bomber degli Spiders.
Carroll |
La Stagione 2005/06 è iniziata alla grande, gli Spiders sono in
piena zona play-off grazie al loro 4°posto, ma alla fine chiude al 6° lasciando
i sogni promozione. Arrivano anche due sconfitte che fanno male, 3-2 in
Scottish Cup dagli Spartans(Non League) e un pesantissimo 6-0 in casa del
Cowdenbeath
Nella Stagione 2006/07 gli obiettivi sono di promozione, la
stagione inzia male con una sconfitta per 3-0 in casa con Arbroath, ma in CIS
Cup supera al 1°Turno il club di Division One del Hamilton Accies.
Gli Spiders prendono un filotto di 5 partite utili,
superando Elgin City, Dumbarton ed eliminando in CIS Cup Aberdeen, ai rigori
per 5-3, dopo che i tempi regolamentari erano conclusi 0-0.
C'è stato un netto calo, ma gli Spiders sono ritornati in
corsa il 14 ottobre, vincendo per 2-1 contro Arbroath. Arrivano cinque vittorie
consecutive Elgin (3v0), Berwick (1v0), Albion Rovers (2v1) e Montrose (3v0).
La crisi sembra esser ancora nell'aria, quando in Scottish
Cup al 2°Turno vengono eliminati ad Hampden dal Brechin City per 2-1. Dopo una
vittoria per 2-0 con East Stirling, il Queen's ottengono 9 vittorie
consecutive, concluse con la sconfitta per 1-0 dall'East Fife, il 7 Aprile
2007.
I Queen's Park raggiungono i play-off ed in semifinale
eliminato East Fife.
In Finale affrontano Arbroath, la gare di andata ad Hampden
finisce nei migliori dei modi 2-0 con le reti di David Weatherston e rigore al
'96 di Alan Trouten.
Il ritorno in casa dell'Arbroath regala una vittoria comoda,
2-1 segnano ancora loro David Weatherston e Alan Trouten, il Queen's Park è
promosso in Second Division.
Tra la fine della stagione e l'inizio di quella nuova, il
Queen's Park ha totalizzato 11 vittorie consecutive (8 in campionato).
Sebbene Billy Stark, ha rinnovato nell'estate 2007, ha
dovuto lasciare la panchina, per dedicarsi all'Under 21 scozzese.
Nel Febbraio 2008 è arrivato sulla panchina, Gardner Speirs, che è riuscito a salvare la squadra, portandolo ad un tranquillo 8°posto.
Nell'estate del 2008, gli Spiders hanno perso molti giocatori, avendo una
struttura amatoriale, non tutti sono disposti a rimanere.
Nel Febbraio 2009, al 5°Turno di Scottish Cup, ha perso solo
2-1 contro il Celtic.
Dopo aver terminato la stagione al 9°posto, gli Spiders
hanno dovuto affrontare i play-off, sono usciti per mano dello Stenhousemuir,
il Queen's è retrocesso in Third Division dove attualmente milita.
UN PERIODO DA RICORDARE
Il Queen's è da considerarsi il pionere del calcio in Scozia,
molti club hanno iniziato prendendo come esempio gli Spiders.
Sono stato proprio il Queen's ha fondare la Scottish Cup,
proprio la prima edizione è finita nella loro bacheca senza subire nessuna
rete.
Il loro avversari purtroppo non esistono più, ma rimarrà un
ricordo.
E' passato oltre mezzo secolo e il Queen's è rimasto ancora
un club dilettante, sommerso da molti club professionistici.
Un altro grande cammino è avvenuto nella Scottish Cup
1927/28, dopo aver eliminato avversari veri, l'avventura si conclude in semi
finale contro il Celtic
SCOTTISH
CUP 1873/74
1
TURNOQueen's Park-Dumbreck 7-0
QUARTI DI
FINALEQueen's Park-Eastern 1-0
SEMI
FINALEQueen's Park-Renton2-0
FINALEQueen's
Park-Clydesdale2-0 Spett: 2,500
SCOTTISH
CUP 1927/28
1
TURNOQueen's Park-Arthrulie 2-0
2
TURNOQueen's Park-Morton 4-1
3
TURNOKilmarnock-Queen's Park4-4
REPLAYQueen's
Park-Kilmarnock1-0
QUARTI
FINALEQueen's Park-Partick Thistle1-0
FINALEQueen's Park-Celtic1-2
Dopo la fine del Third Lanark e il trasferimento del Clyde a
fuori Glasgow, sono rimaste Queen's Park e Partick Thistle, per offrire
qualcosa che non sia Old Firm.
Prima della Seconda Guerra Mondiale, Glasgow poteva vantare
fino a sei club nella massima serie.
In molte occassioni gli altri derby di Glasgow, hanno
portato anche pubblico di 30,000 spettatori
Anche oggi, vengono attirati 4,000 in categorie dove in
media si viaggia a centinaia di spettatori.
Il Queen's Park, offre un alternativa ai tifosi a Glasgow,
per chi vuole tuffarsi in un Mondo dove il calcio con veri valori vive ancora
1947Queen's
Park-Partick Thistle 2-6Spett: 7,640
1948Queen's
Park-Partick Thistle 1-2Spett: 20,651
1957Queen's
Park-Partick Thistle 1-1Spett: 10,633
1958Queen's
Park-Partick Thistle 0-6Spett: 7,403
1971Queen's
Park-Partick Thistle 1-1Spett: 2,793
1983Queen's
Park-Partick Thistle 1-4Spett: 2,320
1983Queen's
Park-Partick Thistle 0-1Spett: 1.627
2001Queen's
Park-Partick Thistle 0-1Spett: 4,019
2001Queen's
Park-Partick Thistle 0-2Spett: 3,938
TIFOSI
Gli "Spiders" hanno un sostegno molto caloroso in
trasferta, un tifo leale, nonostante la squadra vinca, perda o pareggia.
Nonostante una squadra piccola, in trasferta i tifosi si
muovono in massa.
E' nata una bella amicizia con i tifosi del SG Wattenscheid
09, club tedesco, che ogni anno invita in pre-ritiro il Queen's
Pur essendo a metà strada tra il Celtic e Rangers, non
avendo uno status professionista, sono pochi i loro incontri.
Sono nate nuove rivalità tra cui spicca il Partick Thistle,
Clyde e Albion Rovers
ALBO D'ORO
Scottish
Football League First Division:
o Winners
(2): 1922/23, 1955/56
Scottish
Second Division:
o Winners
(1): 1980/81
Scottish
Third Division:
o Winners
(1): 1999/2000
o Play-off
Winners (1): 2006/07
Scottish
Cup:
o Winners
(10): 1874, 1875, 1876, 1880, 1881, 1882, 1884, 1886, 1890, 1893
o
Runners-up (2): 1892, 1900
Glasgow
Cup:
o Winners
(4): 1889, 1890, 1899, 1946
o
Runners-up (7): 1896, 1898, 1929, 1932, 1940, 1965, 1985
FA Cup:
o
Runners-up (2): 1884, 1885
Sheriff of
London Charity Shield
o Winners
(1): 1899
Glasgow
League:
o Winners
(1): 1897
o
Runners-up (1): 1898
Charity
Cup:
o Winners
(8): 1877, 1878, 1880, 1881, 1883, 1884, 1885, 1891
o Runners
up (19): 1889, 1890, 1894, 1896, 1906, 1908, 1917, 1919, 1920, 1922, 1923,
1926, 1928, 1931, 1933, 1935, 1937, 1953, 1957
STADIO
Proprietario dell'immenso e stupendo, Hampden Park, questo
impianto da 52,000 posti viene utilizzato anche dalla federazione, per le
finale di coppa e le partite della Scozia.
di Hibees1875