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domenica 1 luglio 2012

L'EPOPEA DEI TRACTOR BOYS


L'ultima luce del giorno comincia a calare, sotto un cielo basso, plumbeo. I contorni delle cose scompaiono nella penombra. La linea dell'orizzonte si serra piano. Scende la notte sul Suffolk. Non si vede più nulla. Gli uccelli tacciono. Là dove si udiva gorgogliare un usignolo nella boscaglia, adesso non si percepisce alcun suono, alcun segno di vita. Solo silenzio. Villaggi, fiumi, alberi, vecchie cattedrali nascoste da querce secolari. C'è molta letteratura, in questa contea. Ce n'è nei bow-window ordinati e composti, nelle minuscole, innumerevoli sale da tè, nei cottage tirati a lucido, nei negozietti di antiquariato in puro stile Miss Marple, nei pub col camino acceso in piena estate. C'è letteratura, nel senso del decoro, dell' amore per l'arte. L'idea che in fondo la natura stessa sia espressione culturale. Eppure qui il paesaggio può avere tratti corruschi, se non brutali. Qui è nato George Orwell. A Lowestoft sbarcò per la prima volta in Inghilterra il riservato capitano di marina polacco Jozef Korzeniowski, divenuto qualche anno dopo il più celebre Joseph Conrad. Penelope Fitzgerald vi ambientò il suo delizioso romanzo- rivelazione, 'La libreria'. Ci veniva anche Winston Churchill in vacanza: scendeva nel candido e rilassato Swan Hotel, il migliore della zona. E dopo i fatidici anni thatcheriani, anche qui la svolta: Ed è ancora il turno dell'intellettualità, quella che a Londra vive a Islington e ama mangiare pane, olio e una tonnellata di aglio. Così negli anni scorsi è arrivato buon ultimo Gordon Brown, attirando riflettori mediatici molto poco amati da queste parti. La costa poi è uno scorcio di paradiso, anche quando il tempo è freddo, segretamente luminoso e il mare del nord appare minaccioso. Potreste avere l'impressione di trovarvi in un teatro a cielo aperto e rischiereste di non sorprendervi se davanti a voi il sipario naturale si aprisse, e compaia, dalla nebbia sospesa sul mare, la flotta olandese che il 28 maggio 1672 aveva aperto il fuoco contro le navi inglesi radunate nella baia di Soutwold. Ma il Suffolk è anche Ipswich. La città ha svolto un ruolo importante nella storia d’Inghilterra per quasi 1500 anni ed è stata il centro del paese per tutto il XVII secolo per chi voleva emigrare verso il nuovo mondo. Non solo, Ipswich ha saputo conservare tutte le traccie del passato, con i suoi splendidi edifici vittoriani, e altri ancora più datati in stile Tudor. Tanta storia insomma, e un centro pieno di vita con i suoi tanti bar, pub, cinema, teatri, chiese, e torri medievali dove antiche presenze fluttuano senza pace. E se avete qualche sterlina da spendere ecco il quartiere commerciale di Buttermarket. Ma impossibile scindere Ipswich dalla sua campagna. E campagna significa anche agricoltura, significa anche cavalli. Il più nobile e bello fra gli animali. E allora non poteva essere che un cavallo a rappresentare la locale squadra di calcio. Una razza autoctona come simbolo del Ipswich Town Football Club: Il Suffolk Punch. Fu adottato nel 1972 a seguito di un concorso vinto da John Gammage il tesoriere del club, che nel tempo ha avuto vari restyling mantenendo però sempre la stessa conformazione a "scudo merlato" con la tonalità di blu preminente alternato dal giallo oro o dal rosso. L'unico cambiamento grafico consistè nella resa grafica del cavallo, reso più somigliante appunto all'equino regionale. Il sodalizio muove i suoi primi passi nel 1878 come semplice squadra amatoriale con il nome di Ipswich A.F.C., ricevendo nel 1892 la gradita visita di una delle squadre più in voga in quegli anni ovvero il Preston North End, seguita sei anni dopo da quella dell' AstonVilla. Nel 1888 arriva la denominazione definitiva di Ipswich Town F.C., in occasione della fusione con l'Ipswich Rugby club. Si susseguiranno annate di tornei locali puntellati da qualche alloro, fino a che nel 1936 arriverà la consacrazione dello status di professionismo e nel 1938 l'iscrizione nel registro dei grandi della Football League. Ma ci stiamo dimenticando della casa, dello stadio che dal 1884 ospita i Tractor Boys: Portman Road. Dove la polvere del tempo ne avrebbe di storie da raccontare. Fascino vecchio stile, sfuggente e arcano, un impianto che ha visto tutto e ancora anela alla gloria. Come quella grande, unica e sorprendente, del 1962 quando con Sir Alfred Ramsey in panchina qui arrivò niente meno che il titolo di campioni d'Inghilterra. Fu un autentica sorpresa. Sull' onda emotiva della promozione in First Division i Tractor Boys non reciteranno nessun ruolo da comprimario, saranno loro gli attori principali. Il capocannoniere del torneo vestirà proprio la maglia blu, si chiama Ray Crawford e forse un po' di blu lo porta da sempre nel cuore visto che è nato a Portsmouth. Metterà a segno qualcosa come 33 reti, coadiuvato dalla prolificità offensiva di Ted Phillips che raggiungerà anche lui un eccellente bottino personale fatto di 27 centri. Ma non stupitevi. Erano anni strani quelli, che profumavano di novità. Mary Quant stava progettando la minigonna, esplodeva la pop art, i Beatles dopo il periodo tedesco iniziavano a raccogliere meriti e attenzioni, e il sogno di Martin Luther King conquisterà il nobel per la pace, nonostante in Vietnam esplodano i primi bagliori di una guerra crudele. Ad Alfred Ramsey a Ipswich hanno dedicato una statua, una via, e una tribuna. La sua era si concluse l'anno successivo alla vittoria in campionato. Dopo l'esperienza europea in Coppa dei Campioni che terminò contro il Milan di Rocco, che poi avrebbe vinto la manifestazione a Wembley contro il Benfica. Quell' Alf Ramsey che quattro anni dopo regalò per la prima e unica volta la coppa del mondo al suo paese. Fotogrammi impressi a fuoco nei ricordi degli inglesi. Tasselli lucenti nel mosaico della memoria. Le maglie rosse, l'eleganza e la raffinatezza di Bobby Moore che quando giocava sembrava davvero un obelisco egizio in un recinto di barbari, l' “in or out” di Geoff Hurst, e perché no, anche un cagnolino dal nome simpatico: Pickles. In marzo mentre Scotland Yard sta impazzendo a causa del furto della coppa Rimet, ritroverà il trofeo nascosto in un cespuglio di un parco londinese. Per trovare la statua di Ramsey e Portman Road basterebbe semplicemente scendere alla stazione e fare qualche passo a piedi, oppure se siete dall'altro lato del fiume, superare l' Orwell, affiancare il Punch&Judy, un pub familiare e pittoresco in Grafton Road, proseguire senza lasciarvi tentare da una pinta di birra, immettersi in Princes Road, e appariranno i riflettori dello stadio e la sua struttura. E' apparirà anche un altra statua, altro bronzo, altra sagoma, altre lettere scolpite nel marmo, altri momenti magici per l'Ipswich Town. E' quella di Robert William Robson per tutti Bobby, nato a Sacriston a poche miglia da Durham il 18 febbraio 1933. Robusto, tenace, un sorriso sempre accennato, due occhi chiari che prima ti penetrano l'anima e poi si allontanano indefinitamente. E' il quarto di cinque figli di una famiglia operaia. A pochi mesi dalla nascita si trasferisce a Langley nel profondo nord inglese, gente dura e orgogliosa, raffiche di vento, pioggia, ferro e miniere, dove il padre Philip aveva trovato un posto di lavoro. Si innamorerà del calcio e il sabato con qualche sacrificio si farà accompagnare a St. James's Park a vedere il Newcastle. Il ragazzo ha classe, nel 1950 arriverà il primo contratto da professionista con il Fulham, ma nonostante le prime sonanti sterline il padre voleva che continuasse a lavorare come elettricista. Perché non si sa mai, ed è sempre bene avere un mestiere in mano. E per po' riuscì a far convivere palloni e fili elettrici. Ma alla fine ovviamente si dedicò al calcio a tempo pieno. Fulham, quindi, ma anche WBA, e poi ancora Fulham, più 20 presenze e quattro reti con la nazionale di sua maestà. Il contatto con Ipswich arriva nel gennaio del 1969 dopo che l'anno precedente c'era stata una prima infarinatura nel ruolo di manager a Craven Cottage. Arriva a sostituire Bill Mc Garry che la stagione precedente aveva avuto l'onore di riportare i Tractor Boys nella massima serie. Dopo quattro stagioni mediocri, Robson condusse l'Ipswich Town al quarto posto nella First Division e al trionfo nella Texaco Cup nella stagione 1972-1973. Ma le ciliegine sulla torta della sua esperienza a Portman Road dovevano ancora arrivare. La prima è datata 1978. La data esatta, 6 maggio 1978. L'Ipswich vince la sua prima FA Cup. Un Ipswich Town che era stato bollato dai media come gli ingenui cugini di campagna, e che prima della finale sembrava avesse davvero ben poche possibilità di battere un Arsenal, che vantava Supermac, il micidiale attaccante Malcolm Macdonald. Eppure, Bobby Robson guidava una squadra che aveva concluso l'anno precedente al terzo posto in campionato e che nel cammino verso la finale aveva dimostrato carattere e buone geometrie, e che nel sesto turno si era presa l'ardire di fare sei reti al Den al cospetto degli sguardi torvi del pubblico di fede Millwall. Poi a Highbury contro il WBA venne guadagnata la chiave per le porte dorate di Wembley con un perentorio 3-1. E' la squadra di Paul Mariner, capelli lunghi, faccia da pirata, malizia da vendere. Al 10' un suo tiro a botta sicura colpisce la traversa . Entrambe le compagini sono state perseguitate da infortuni, lo stesso Macdonald dei gunners ha lottato con un infortunio al ginocchio che successivamente lo indurrà addirittura a una fine prematura della sua carriera. L' Ipswich continua a attaccare. Vuole scrollarsi di dosso l'etichetta di perdente sicuro. Pat Jennings portiere dell' Arsenal compie un salvataggio incredibile sul giovane terzino destro George Burley. Sembra davvero stregata la porta dei londinesi tanto che John Wark centrerà per ben due volte il legno del montante. Wark è scozzese di Glasgow. Fu scoperto dal talent scout George Findlay che dopo un provino fallito a Manchester lo portò a Ipswich. Grinta, baffo incolto, e sguardo di chi la sa lunga. Segnerà valanghe di reti. Non in quella finale, però. A risolvere il match ci penserà Roger Osborne su invito di David Geddis e a dirla tutta con la complicità del difensore in maglia gialla Willie Young. La sua gioia fu talmente incontrollabile che un minuto dopo fu sostituito da Mick Lambert. Aneddoto curioso di una giornata indimenticabile per il club del Suffolk. Ma la gloria di quel pomeriggio di Wembley, sarà affiancata tre anni dopo da una soddisfazione che ancora oggi viene ricordata con grande affetto e un briciolo di stupore mai sopito dalle parti di Portman Road, ovvero la straordinaria vittoria nella Coppa UEFA del 1981. Il pass per la manifestazione continentale era stato acquisito grazie a un eccellente terzo posto in campionato alle spalle del Liverpool campione, e del Manchester United ottimo secondo. Non era cambiata molto la squadra rispetto a quella che aveva trionfato in FA Cup tre anni prima. Il fascino del calcio totale olandese aveva portato due tulipani alla corte di Robson: Frans Thijssen e Arnold Murhen. Entrambi arrivano dal Twente. Entrambi centrocampisti. Sembrano due pittori fiamminghi della scuola di Van Eyck. Occhi luminosi e goliardia innata. Non dipingono a olio su tela, non hanno pennello e colori, ma porteranno ugualmente, sebbene su un rettangolo verde, la stessa visione e spazialità degli artisti di questa corrente pittorica. Si consolideranno Terence “Terry” Butcher, e Alan Brazil. Butcher “il macellaio” è un difensore centrale che nasce calcisticamente proprio a Ipswich. Un autentico colosso ghignante di quasi due metri. Sembra uscito da un corridoio della torre di Londra, dopo un intrigo ordito da Enrico VIII. Alan Brazil invece è un attaccante nato nel 1959, ricci clowneschi e la faccia da bravo ragazzo. Ma gli avversari non rideranno, nemmeno un po'. Segnerà 70 goal in 154 presenze con i blues. Il cammino europeo miete nei primi turni, Aris Salonicco, Bohemians Praga, e Widzew Lodz. Poi a provare a intralciare la strada ai Tractor Boys ci prova Monsieur Michel Platini con il suo Saint Etienne. Non ci riuscirà. Anzi sarà una disfatta per i francesi, come a Crecy come a Agincourt come a Trafalgar. Perderanno in casa e fuori, e sonoramente. Quattro a uno in Francia, Tre a uno in Inghilterra. In semifinale l'ostacolo si chiama Colonia. Le caprette. E vuoi che nelle campagne del Suffolk si tema un piccolo gregge di undici uomini in bianco? Anche qui doppio successo. Uno a zero fra le mura amiche, uno a zero al Mungerdorf. I pastori? John Wark e Terry Butcher. Arriva la finale, arrivano gli olandesi del AZ 67 di Alkmaar. I tornelli di Portman road nella gara di andata lasciano passare ufficialmente 27532 spettatori. Le porte difese da Eddy Treijtel, estremo difensore dell' AZ invece lasciano passare tre palloni. Sul primo c'è la firma di Wark sul secondo quella di Thijssen, sul terzo quella di Paul Mariner. Sembra fatta ma la gara di ritorno da giocare in Olanda potrebbe rivelare comunque qualche insidia. Sarà una partita tirata giocata allo stadio olimpico di Amsterdam, dove le marcature dei soliti Thijssen e Wark renderanno meno aspra la sconfitta per 4-2 ma che sopratutto garantiranno la vittoria, e una folla in delirio a Ipswich. Era il maggio del 1981. Io ero solo un bambino. Oggi Bobby Robson non c'è più, se l'è giocata fino alla fine. Non sempre le cose vanno come si vuole ma bisogna accettarlo. Ma quella foto in cui sorridente solleva la coppa è sempre un ricordo dolce. Così lontano, eppure ancora così presente, vivo. Sarà che sto invecchiando, che le mie memorie calcistiche sono come un romanzo. Sarà che è difficile far capire ai giovani la bellezza di quel calcio, e la nostalgia mi fa parlare più del dovuto. Ma c'è sempre bisogno di bellezza, di bellezza e di poesia, di aria fredda e di una sigaretta. Peccato che ho smesso di fumare.



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di SIR SIMON

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