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domenica 11 novembre 2012

Fulham, tra sogni, utopie e una Finale di FA Cup


Affacciatevi sul Tamigi mentre attraversate Putney Bridge. Potreste vedere una maestosa famiglia di cigni scivolare elegante e silenziosa sulle acque del placido fiume. Provocazione emotiva. Perché fondamentalmente il romanticismo nella sua essenza è la condizione dell’uomo che si affida alle dolcezze del sentimento per sfuggire alle asprezze della ragione. Hanno abbattuto il vecchio Wembley e le sue torri, salvandone solamente l’apparenza e la parvenza. Le macerie di Highbury invece respirano ancora. E’ il progresso dicono. Sparisci storia, non sei più gradita. Sei anacronistica, senile, puzzi di rancido. E il fascino? Solo pelle raggrinzita di mille partite, maglioni di lana pesante e ridicoli palloni di cuoio scuro. Ma il carisma della leggenda? Vene varicose di vecchie tribune, buone solo per nostalgici come me. Quello era il calcio di una volta, stai invecchiando mi dicono. Vuoi per caso rimettere i riflettori degli anni settanta all’ Emirates Stadium? Lì ci vanno le famiglie. Sedute, comode, ordinate, pulite, sicure. Con attorno steward educati, discreti, che non si inquietano mai, perché l’immagine è importante, che scherziamo. Come le maglie. Ogni anno riviste e corrette in nome della legge di un merchandising sempre più prioritario. Malinconia. Una tristezza non chiara, non definita. Una voglia di solitudine, un senso di grigiore, di vuoto interiore. E allora cerco conforto dal vecchio poeta seduto sulle rive del Tamigi. Meglio se in autunno, quando la breve camminata in mezzo agli alberi e alle case in stile di Bishop’s Park si colora di ruggine e sa di salmastro. Un tempo c’era un casolare fatto costruire nel 1780 da un certo barone William Craven. Un alloggio per il ludico divertimento di bizzosi aristocratici inglesi nelle loro giornate di caccia. Ma non solo spari. Sembra che anche altre attività sportive si svolgessero nei boschi che circondavano il Cottage. Quando nel 1888 un incendio lo distrusse, il Fulham scelse questo luogo ameno per costruire il suo nuovo stadio. Forse per non privare l’ambiente dei divertimenti che lo avevano contraddistinto. I lavori cominciarono nel 1894 e dopo due anni nacque il Craven Cottage. Facciata edoardiana in mattoni rossi, frutto della mente geniale di Archibald Leitch. Oggi della struttura originaria resta soltanto proprio la Stevenage Road o Johnny Haynes Stand, dal nome del celebre calciatore soprannominato “il maestro” che regalò tutta la sua carriera agonistica al Fulham. Il Fulham, certo. Verrebbe subito da cantare, “There’s only one club in Fulham..”. E’ l’orgoglio delle origini. D’altra parte questo è il più antico club di Londra, i vicini del Chelsea arrivarono dopo. Ventisei anni dopo, quel fatidico 1879 quando un gruppo di fedeli alla chiesa anglicana fonda il club dei “Cottagers”. Ma stiamo divagando troppo, perché il filone originale di questo racconto doveva prevedere il riassunto di quell’unico viaggio a Wembley. Di quel giorno di maggio del 1975, quando il Fulham contese al West Ham la coppa d’Inghilterra. Esattamente il 3 maggio 1975. E lo fece da squadra di seconda divisione, ma si trattò di una cenerentola accompagnata al gran ballo da due principi azzurri d’eccezione: Il capitano Alan Mullery, per anni gloriosa colonna del Tottenham, e niente meno che l’iconico Bobby Moore, il condottiero del mondiale 1966, nonché irripetibile mito proprio degli avversari di quel pomeriggio. In panchina Alec Stock, amatissimo dalle parti di Loftus Road per aver sdoganato negli anni sessanta il QPR da un mediocre anonimato. Uno che ebbe anche una fugace esperienza con il calcio italiano a Roma nel 1957 ma che non riuscì mai ad adattarsi venendo esonerato dopo quattro mesi, in concomitanza con l’aver perso il treno per la trasferta di Napoli. Quel Fulham era una squadra tutta composta da inglesi, se si eccettua la mascella volitiva dell’irlandese Jimmy Conway. La FA Cup 1974/75 prende la sua forma definitiva nel tradizionale terzo turno, un appuntamento da sempre imperdibile, uno di quei momenti benedetti, in cui Dio non solo deve salvare la Regina, ma anche tutto il calcio inglese. Il 4 gennaio ci furono subito vittime illustri. Tottenham Hotspur, Wolverhampton Wanderers, e Manchester City: i londinesi impattarono dapprima 1-1 al City Ground di Nottingham, per poi venire estromessi dal Forest fra le mura amiche di White Hart Lane per 1-0. I Wolves invece andarono direttamente fuori senza passare dal replay battuti in casa 2-1 dall’Ipswich Town. Stessa sorte per i citizens che crollarono a Maine Road, contro il sempre ostico Newcastle per 2-0. I detentori del Liverpool si imposero 2-0 sui vasai di Stoke, mentre il West Ham espugnò Southampton 2-0. Non mi sono scordato del Fulham. Per i bianchi fu un terzo turno più complicato del previsto. Ci vollero ben tre partite per piegare la stoica resistenza dell’Hull City. Tre settimane dopo è già tempo dei sedicesimi di finali, anzi da purista preferisco chiamarlo per quello che in realtà è, ovvero il quarto turno. Fu terreno di caccia per giant killer, che fecero due scalpi illustri. Il piccolo Walsall fece fuori davanti al suo pubblico il Newcastle per 1-0, e l’Ipswich Town che cominciava a scintillare di futura bellezza andò a violare il tempio di Anfield con il medesimo punteggio. Fu dura anche per gli Hammers, costretti da un brillante Swindon Town al replay che però si vide spegnere dai londinesi i sogni di gloria in casa propria. Assurdo, (ma solo se si esce dall’ottica inglese), l’impegno del Fulham contro il Nottingham Forest. Quattro partite quattro, dal 28 gennaio al 10 di febbraio, con ultimo decisivo successo per 2-1. Poche le emozioni invece che riservò il quinto turno, anzi no, perché i Cottagers andarono a sbancare Goodison Park contro un Everton che in quel momento veleggiava nella prima posizione della massima serie. E non scordiamoci che lo fecero da squadra di categoria inferiore. Nel derby del Boleyn Ground invece vittoria sofferta del West Ham sul QPR. Un successo quest’ultimo che entra in scia con la stracittadina del turno successivo di sabato 8 marzo dove il favoritissimo Arsenal, dovette fare i conti con l’irriguardosa ispirazione dei claret&blue di Upton Park. Alan Taylor in giornata di grazia mise a segno una decisiva doppietta che cancellò i gunners dal tabellone della coppa. L’Ipswich continuò il suo stato di grazia facendo fuori in due incontri il Leeds United di Allan Clarke e John Giles. Per il Fulham l’insidia si chiama Carlisle United, ma una rete di Les Barrett in trasferta scacciò ogni dubbio e ogni timore. Gli accoppiamenti per le semifinali del 5 aprile mettono di fronte West Ham- Ipswich Town al Maine Road, e Fulham- Birmingham City a Hillsborough. A Manchester la contesa si chiude a reti inviolate, mentre a Sheffield sarà ugualmente pareggio ma con goal. Mitchell per i cottagers, Gallacher per i “nasi blu”. Mercoledi 9 aprile si rigioca. Prassi di una liturgia consolidata e bellissima, persa nella frenesia inutile e asettica della coppa moderna. A Stamford Bridge ancora due goal di Taylor mandano avanti i martelli, al Maine Road che stavolta ospita Fulham e Birmingham finirà al 120esimo minuto dei supplementari grazie all’eroe di queste semifinali per gli “whites” John Mitchell. La finale. Wembley e i suoi centomila. La prima volta per il Fulham. L’emozione e qualche sbadataggine di troppo, tra il buffo e il grottesco, come quella degli accompagnatori della squadra che si erano dimenticati i parastinchi nei magazzini del Craven Cottage, e ci fu bisogno di ridurre con un seghetto quelli acquistati in un negozio nei dintorni dello stadio. Un Fulham che scese in campo con la consueta tenuta bianca dai baveri neri con il raffinato acronimo del club sulla maglia sottolineato dal ricordo dell’evento, altra tradizione meravigliosa e tutta british. I ragazzi di Stock non erano i favoriti anche se in campo la qualità non mancava e l’approccio alla gara non fu dei più timidi. Certo dall’altra parte oltre al già citato Taylor, spiccavano l’emergente Trevor Brooking, l’imperturbabile capitano Billy Bonds, e Frank Lampard, padre del futuro giocatore del Chelsea. E lentamente lo West Ham dopo un primo tempo incolore, incomincia a macinare gioco, fino a che nella ripresa la solita doppietta di Alan Taylor indirizza la coppa nel popolare east end. Al fischio finale del signor Pat Partridge, si chiude il sogno di quel Fulham, nell'attesa fin troppo paziente, di una chimerica prossima volta.

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di Sir Simon

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