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giovedì 9 gennaio 2014

Scottish Football Tour - 2014

Racconto di Alex McGiro


 PROLOGO

Le cose più belle sono quelle che saltano fuori all'improvviso, senza che te lo aspetti, e che durano il tempo di scambiarsi un paio di sms. Era un giorno di Novembre, in ufficio avevo appena scoperto che l'agenzia sarebbe rimasta chiusa dal pomeriggio del 31 Dicembre fino al 7 Gennaio. Accendo il pc, aspetto che la lentissima connessione internet inizi a carburare e mi collego sul sito Ryanair: controllo i voli, le possibili destinazioni. Anche se la destinazione è sempre solo una. La Scozia. Glasgow. Celtic Football Club. C'è solo un problema: niente aerei per Glasgow fino a Marzo, Edinburgo con Easyjet costa oltre 200 €. Rimane l'opzione Manchester e conseguente spostamento oltre il Vallo di Adriano. Trovo una buona offerta con partenza il 1 Gennaio e ritorno il 6. Scrivo subito a Giuseppe, neanche un quarto d'ora dopo ho già preso i biglietti, nei giorni seguenti si aggiungo anche il fedelissimo Geometra, Gianluigi e Giorgio che arriverà da Messina. I giorni che mancano alla partenza sono un fremito di idee, posti dove andare, stadi da visitare, match a cui assistere. Perchè il British Football è un Dio generoso e in quei giorni di vacanza ha da offrire tanto. Mica come da noi che i calciatori devono andare ai caraibi con le loro sgallettate. E così si conclude questo prologo, con l'aereo del 1 Gennaio che ci porta a Manchester in serata, un kebab, qualche birra, poi a letto. Ah...Giuseppe dorme per terra perché come al solito hanno fatto casino con la prenotazione. La mattina sveglia alle 5.30, alle 7.15 il treno per Glasgow. Assonnati ma carichi.

ONE TEAM IN AYRSHIRE

E' il 2 Gennaio, è mattina ed è ancora buio là fuori. Siamo tutti sul treno diretto verso nord e il viaggio, almeno nella parte iniziale, procede lentamente con diverse fermate, tutte interessantissime. Assistiamo all'alba su Wigan e Preston, passiamo dalla bella Lancaster e poi una tirata dritta fino a Carlisle, città dove ebbe una certa importanza il ruolo svolto a favore di Edoardo Plantageneto da parte di Robert Bruce VI, Conte di Carrick e Signore di Annandale. Il padre di Robert the Bruce, futuro Re di Scozia. Segno che siamo vicini. Il treno procede e passiamo accanto allo stadio del Celtic Nation, team di Non-League di cui prendo l'impegno di approfondire la storia, anche perchè scopro che diversi tifosi del Celtic lo seguono organizzando degli autobus. Prima delle 10.30 siamo a casa. Finalmente Scozia. Finalmente Glasgow. Città che per quanto grigia e triste non riesco a non amare, a dimostrazione che il cuore non guarda all'aspetto esteriore ma alla bellezza interiore. Ci sistemiamo rapidamente in ostello, una razzia veloce e indolore al Celtic Store e un pranzo genuino da Burger King. Alle 13.30 siamo nuovamente su un treno in direzione Kilmarnock, Ayrshire. In stazione troviamo subito Joanna, incredibilmente puntuale ad accoglierci. Ha deciso di venire con noi a salutare un altro vecchio amico, il capitano dei Killie, Manuel Pascali che come al solito ci regala i biglietti della partita nonostante un bilancio non molto positivo in questi anni (0-0 con espulsione contro i Rangers nel 2009, 0-0 con suo gol annullato contro il Motherwell nel 2011, sconfitta interna 1-3 con l'Aberdeen nel 2012, sconfitta interna 2-5 col Celtic lo scorso Settembre). Vediamo come finirà col St. Mirren, o si svolta o si sbotta. Prendiamo posto a Rugby Park dopo aver fatto il pieno di birra e sidro al pub dello stadio. La partita non è proprio molto emozionante e sugli spalti fa un freddo cane. I padroni di casa nonostante l'ottima partita di Pascali traballano molto dietro e il St. Mirren la sblocca con Campbell. Pregustiamo l'ennesima sconfitta, quando una decina di minuti dopo McKenzie tira fuori il coniglio dal cilindro con un bel tiro dal limite e riporta il risultato sul 1-1. Nell'intervallo mi incazzo perché al bar hanno finito le Killie Pie e le Scotch Pie. Torno sconsolato a sedermi in tribuna. Nel secondo tempo il Kilmarnock gioca meglio, sbagliando anche due occasioni clamorose con Kris Boyd. Ma è proprio Boyd a regalare finalmente una gioia segnando il gol vittoria nei minuti di recupero. 2-1 e tutti a casa. Contento sono contento, ma di esultare a un gol di Kris Boyd non se ne parla. Mi limito a sorridere. Va bene così. Dopo la partita classico meeting con Pascali nella VIP Lounge di Rugby Park, dove non perdiamo occasione di ringraziarlo e di scambiare ancora qualche parere sulla partita e su quanto siano imbarazzanti tecnicamente alcuni suoi compagni di squadra. Ci incamminiamo poi verso la stazione, facendo prima una lunga sosta al pub dove Joanna insiste per offrirci da bere e farci conoscere il barista che è il sosia proprio di Kris Boyd (ma ci tiene subito a precisare di essere un tifoso del Celtic). Conosciamo anche il proprietario che ci regala subito delle spille e delle bandiere della Scozia. E' il 2014 in fin dei conti...

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I 7 COLLI DI EDINBURGO

C'è una città che, proprio come Roma, sorge su sette colli. Ma qui la potenza di Roma non arrivò mai, anzi Roma preferì tutelarsi chiudendo l'accesso da e per la terra che chiamava Caledonia con un muro o meglio un vallo. Sveglia con calma al mattino. Il viaggio in bus è piacevole e non troppo lungo, attraverso la campagna scozzese e passando di fianco a Murrayfield, il tempio del rugby scozzese. Ad accoglierci troviamo pioggia battente e un vento maledetto, che ti gela le ossa e fa volar via cappelli e ombrelli ai passanti. Le differenze con Glasgow sono enormi: dalla quantità di negozi di souvenir capisci subito di essere in una città turistica, ma vedere in vetrina tutti quei kilt e tartan, tutte quelle bandiere e clan crest ti fa di respirare un po' di tradizione scozzese nonostante il tutto sia una semplice trovata commerciale. Giuseppe ci fa da guida fino al Deacon Brodie's un bellissimo e affollatissimo pub dove ci fermiamo a pranzare a base di pie e fish & chips, placando la nostra sete con un'ottima Dark Island Ale, probabilmente la birra migliore che abbia mai bevuto. Riprendiamo la strada verso Castle Hill e il relativo castello. La pioggia è cessata e il vento è meno violento, il che rende la camminata più piacevole. Ho modo di apprezzare ogni scorcio di questa città che ha davvero tanto da offrire in termini culturali e artistici. Arrivati in cima apprezziamo il bellissimo panorama che domina la città, prima di infilarci in un negozio-museo di kilt lì accanto prima e alla Scotch Whisky Experience poi. Ammiriamo il meglio che la Scozia ha da offrire in termini di kilt e tessuti e ci facciamo ammaliare dal profumo di whisky prima di iniziare la discesa verso il parlamento scozzese e Holyrood Park. Sulla nostra sinistra scorgiamo Calton Hill che ci saluta, regalandoci l'ennesimo scorcio indimenticabile che rende il tutto davvero magico. Magico come la Toolboth Tavern, stupendo pub tradizionale in cui ci fermiamo a bere l'ennesima birra di questo viaggio. Ambiente tranquillo, niente turisti e un bel gruppetto di allegri pensionati scozzesi a farla da padrone. L'ora si fa tarda ed è ora di lasciarci tutta la raffinatezza di Edinburgo alle spalle per fare rientro a Glasgow, dove ceniamo velocemente prima di dirigerci in quella che davvero è la nostra casa: Gallowgate. Sentiamo della musica live provenire dall'Emerald Isle Pub e ci infiliamo subito dentro. È il solito tripudio di abbracci e strette di mano. Alcuni si ricordano di noi, altri non li avevamo mai incontrati, tra tutti spiccano un vecchio con la moglie più brutta del pianeta e il sosia di George Best. La serata prosegue velocemente tra brindisi e canzoni, finchè il proprietario suona la campana dell'ultimo giro prima di accompagnarci gentilmente fuori, con la promessa di una sfida a calcio tra gli Italian Celts e la sua squadra del pub la prossima volta che ci incontreremo.


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COME ON YOU SONS!

Altro giro altra corsa. Oggi sarà di nuovo football. Quello vero. Quello genuino. Quello che piace a noi. Nei giorni precedenti la scelta era caduta sul Dumbarton Football Club e sul suo bellissimo stadio, sovrastato dalla Dumbarton Rock e dal castello da una parte, accarezzato dallo scivolare delle acque del Clyde dall'altra. La squadra è impegnata nel "derby dello stretto" col Greenock Morton. Saliamo sul treno, una ventina di minuti di viaggio e ci siamo. Arriviamo allo stadio abbastanza presto, scattiamo qualche foto ma è ancora tutto chiuso e decidiamo così di tornare verso il centro per mettere qualcosa sotto i denti. L'unica cosa che troviamo aperto è un McDonald's quindi la scelta è obbligata. Usciamo ed arriva subito la pioggia ad accompagnarci lungo tutto il tragitto per lo stadio. Ora è finalmente aperto, paghiamo l'ingresso (purtroppo non ci lasciano un biglietto cartaceo alla cassa) e ci fiondiamo subito al bar interno che ospita anche un piccolissimo shop, che vende solo sciarpe e cappellini smorzando subito il mio desiderio di acquistare una maglietta ufficiale della squadra. Dovrò accontentarmi del match programme. Qualcuno si accorge che abbiamo una parlata strana e inizia a fare domande e in poco tempo diventiamo l'attrazione del giorno. Anche qui sono abbracci e strette di mano, coi tifosi locali incuriositi da cosa ci facessero cinque italiani a vedere una squadra di Championship (Serie B) Scozzese. Vanno subito a chiamare il fotografo ufficiale del club e fino al kick off fanno il possibile per farci sentire parte della loro piccola famiglia raccontando aneddoti e spiegazioni sulla storia del club. Finalmente arriva il momento della partita e ci posizioniamo insieme alla parte calda della tifoseria che ci coinvolge nel suo tifo incessante. Il loro modo di sostenere la squadra è molto goliardico e sentito. A ogni fallo degli avversari tutti in piedi a urlare "OFF! OFF! OFF!" poi come un mantra interminabile parte il coro "COME ON YOU SONS!". La partita è piacevole, il Dumbarton gioca un bel calcio rapido palla a terra sfruttando molto le sovrapposizioni nei terzini, in particolare quello destro che sembra molto ispirato e vincerà poi il premio di Man Of The Match. La punta Colin Nish, con un importante passato neanche troppo lontano in Scottish Premiership con le maglie di Kilmarnock, Hibernian e Dundee Utd, gioca molto bene di sponda per favorire gli inserimenti dei due trequartisti che giocano alle sue spalle. Ci sono tante occasioni da gol non concretizzate, finchè sul finire del primo tempo viene concesso un rigore per un fallo di mano e i padroni di casa passano finalmente in vantaggio. Nell'intervallo il Geometra manda tutti fuori di testa mettendosi a petto nudo come un true scottish venendo platonicamente nominato dai locali nuovo capo ultrà. Nella ripresa il Dumbarton amministra il vantaggio nella prima parte, per poi dare il colpo di grazia negli ultimi minuti chiudendo la partita sul 2-0. Bella vittoria e situazioni in classifica tranquilla adesso, il che ci permette di rientrare a Glasgow con la coscienza pulita. Cena neanche troppo veloce a base di Haggis, Neeps and Tatties al Crystal Palace dove veniamo raggiunti da Joanna che è impaziente di incominciare la serata a Gallowgate. Serata ovviamente memorabile, prima al Bar '67, poi all' Hoops Bar, dove incontriamo nuovamente il sosia di George Best e il nostro vecchio amico Allan di ritorno da Carlisle dove era andato a guardare la partita del Celtic Nation FC, per poi concludere tutto con il tragico karaoke al Cabin, sempre aperto a oltranza quando tutti gli altri chiudono. Accompagnamo, per Km e Km la nostra amica Joanna a prendere l'autobus e rientriamo in ostello, stanchi ed esaltati per la stupenda giornata trascorsa. Consapevoli che il giorno seguente, finalmente, andremo a seguire il nostro Celtic.


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FANS NOT CRIMINALS

5 Gennaio, cielo grigio e gonfio di pioggia che potrebbe iniziare a precipitarci addosso da un momento all'altro. Viaggio in treno breve e tranquillo per raggiungere Paisley poco fuori Glasgow. Prima di tutto va fatta una premessa: il biglietto lo abbiamo comprato tra mille difficoltà, ma visto il sold out nel settore ospiti siamo stati costretti ad acquistarlo in uno dei settori del St. Mirren, nella Main Stand per l'esattezza. Siamo quindi usciti in tenuta casual, tristemente abolito il colore verde e qualsiasi cosa possa far sospettare steward e tifosi di casa che siamo un gruppetto di sostenitori dei Bhoys. Dicevamo di Paisley quindi. Scendiamo alla stazione centrale per fare una camminata lunghissima fino allo stadio, una bella piazzetta e poi il nulla più assoluto. Il New St. Mirren Park vale la fatica però perché si tratta di un vero e proprio gioiellino. Ritiriamo i biglietti al ticket office e, a testa bassa e volto coperto dalla sciarpa entro dentro seguito da Giuseppe, Geometra e Gian, mentre Giorgio rimane indietro a scattare qualche foto e per farsi controllare lo zaino dalla polizia come spesso avviene in UK. I nostri posti sono fantastici, coi nostri idoli che fanno riscaldamento a poco più di 2m da noi. Come dei bambini eccitati iniziamo a scattare foto, anche agli avversari per non farci beccare. Tutto sembra procedere bene ma Giorgio ancora non si vede. A un certo punto un addetto alla sicurezza si avvicina a noi sorridendo, iniziando in maniera tranquillissima a chiederci come mai facciamo foto ai giocatori del Celtic con tanta insistenza. Noi gli spieghiamo che siamo turisti italiani appassionati di calcio scozzese e che c'è anche un altro amico fuori che sta per entrare. Fin qui sembra essere tutto a posto. Poi la situazione diventa tragica: maliziosamente il tizio ci chiede se siamo tifosi del Celtic e Giuseppe con un'ingenuità che abbiamo rischiato di pagare molto cara gli dice di sì e che siamo lì perchè purtroppo non abbiamo trovato i biglietti per il settore ospiti. Lo steward sorride, sembra averla presa bene e ci chiede gentilmente di seguirlo un attimo. Per un secondo, vista la sua gentilezza e simpatia, ci illudiamo che ci faccia entrare nel settore biancoverde. Arrivati fuori troviamo invece Giorgio bloccato da un altro addetto, perché nello zaino gli hanno trovato un sacchetto del Celtic Store. Ci dicono che dobbiamo andarcene, che non possiamo assistere alla partita e che non abbiamo neanche diritto al rimborso dei biglietti perchè non avevamo diritto a comprarli essendo tifosi del Celtic. Noi gli spieghiamo che non siamo criminali ma gente per bene, che ci interessa solo guardare la partita senza creare casini. Gli diciamo che abbiamo già assistito ad altre partite in questi giorni senza problemi ma lui non vuole sentirci. Dopo un quarto d'ora buono di suppliche e spiegazioni decide di andare a chiedere a un responsabile del servizio di sicurezza. Siamo ormai rassegnati ad andarcene quando torna dandoci una buona notizia: possiamo entrare ma saremo tenuti sotto osservazione e se oseremo anche solo applaudire a una bella azione del Celtic ci porterà fuori una volta per tutte. Veniamo anche a scoprire che a dei tifosi del Celtic provenienti da Elgin è stata sequestrata una bandiera irlandese solo perchè al centro era raffigurato Che Guevara. Questi di Paisley ce l'anno per vizio di rompere le scatole. Passiamo quindi la partita seduti immobili ai nostri posti come delle statuine, con la pioggia che ci cade finalmente addosso, sostenendo i ragazzi solo mentalmente. Alla fine la partita finisce 4-0 per noi e ogni volta che si segna si 'esulta' solamente urlando dei poderosi "VAFFAN***O" che tutti pensano siano rivolti al Celtic ma che noi sappiamo essere rivolti a tutta la società del St. Mirren Football Club, dal presidente all'ultimo dei magazzinieri. Finito il supplizio torniamo a Glasgow, direzione Brazen Head dove fanno come al solito il concerto di Gary Og. Qui torniamo a essere noi stessi e idoli incontrastati della popolazione locale. Un signore ci fa fare prima una foto con la replica della Coppa dei Campioni vinta dal Celtic nel 1967, poi col pellerossa mascotte del locale. La serata prosegue bene, come sempre quando si è in mezzo al popolo biancoverde. Poi si fa tardi, arrivano le 23.40, ora dell'autobus per Manchester. Alle 04.30 siamo in Inghilterra, treno per l'aeroporto e volo alle 12.45. Stanchi e distrutti ma completamente appagati dalle grandissime emozioni che la buona Scozia ci ha saputo regalare anche questa volta. Sempre più consapevoli di essere parte integrante della Celtic Family.

Alex McGiro


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martedì 7 gennaio 2014

Il libro "Il Preston North End per me" di Sergio "Conor Adam"

Sarà in uscita nel mese di gennaio 2014 il libro scritto da Sergio Tagliabue "Conor Adam" dedicato al PNE ed intitolato "Il Preston North End per Me", editore Urbone Publishing, un libro che parla della passione per questo Club, ma anche della sua gloriosa storia fin dalle sue origini.
Un libro di quasi 500 pagine, ogni riga scritta con grande passione, un lavoro faticoso, ma piacevole, un libro il cui obiettivo non sarà quello del numero di copie vendute, ma piuttosto quello di far conoscere questo meraviglioso Club anche in Italia e soprattutto quello di trasmettere un tifo ed un amore totale verso il glorioso Preston North End FC.
La speranza è quella di riuscire a trasmettere qualcosa di positivo e sincero, non è certo un compito facile dato che si tratta spesso di emozioni difficilmente descrivibili a parole, e di far capire come un italiano possa essersi appassionato ad una squadra inglese, tra l'altro, nemmeno così famosa e vincente.
L'intento è anche quello di poter realizzare una versione scritta in lingua inglese, ma attualmente non è ancora certa, dato che sarebbe senza dubbio molto bello che anche i tifosi inglesi del PNE potessero leggere questo libro e capire quanto Conor ed i GBS siano realmente appassionati alla loro squadra, ma anche perchè, comunque, si tratta di un libro nella quale viene narrata dettagliatamente la storia del North End e che soprattutto parla proprio di loro, dei tifosi.

Per ulteriori informazioni e per come poter acquistare il libro seguiranno dettagli il prima possibile.


Di seguito la presentazione del libro:


"La nascita di una passione, la crescita di un tifo, il tifo per una squadra di calcio, anzi, per una squadra di football britannico, il Preston North End FC, attraverso il racconto delle emozioni vissute nel personale “When Saturday Comes” dell’autore, dai pomeriggi solitari passati davanti al PC ad ascoltare le radiocronache delle partite della squadra del cuore, alle splendide esperienze vissute dal vivo nel leggendario Deepdale e durante il Gentry Day a Londra in compagnia dei tifosi, quelli veri, quelli che ci sono sempre, tra le note di “Can’t Help Falling in Love” e la follia per un gol all’87° minuto nella partita più importante, il derby contro il Blackpool FC.
Ma anche la storia dettagliata del Club, dalle sue origini, fino ai giorni nostri, attraverso il racconto, anche un po’ sognato ed immaginato, di quella splendida stagione, quella del 1888/89, quella degli Invincibili del Preston North End, passando dalla FA Cup del 1938 alla Leggenda di Sir Tom Finney.
E poi l’incontro con Will Hayhurst, giovane emergente della squadra attuale, un rapporto che va oltre il football, la sua storia, le sue speranze, e per finire un saluto a tutti i Northenders ed ai G.B.S., i Gigli Bianchi Supporters, il Fans Club Italiano Ufficiale del Preston North End.
Un libro per tutti gli appassionati di football, un libro per i tifosi, quelli che ancora sanno emozionarsi."



Questa invece è la prefazione del libro scritta da Simone Galeotti:



"Aggrappati alla storia. Cullati dalla leggenda, entrati di diritto nel mito, per sempre. Oltre le distanze e il tempo. Perché il tempo alla fine come spiegano bene fisici antichi e moderni non è una linea retta, ma un moto circolare, contingente al tempo stesso. La teoria dell’eterno ritorno. Ora, a essere sinceri, che il Preston North End torni a vincere il campionato inglese per due volte consecutive sembra però teoria fin troppo azzardata e complessa. Che questo club invece abbia esercitato e continui a farlo un fascino straordinario è attualità stretta. Occorrono elementi per sviluppare la formula, questo è chiaro. Serve passione, serve romanticismo, serve la volontà dettata da un impulso interiore, che prima sbircia in Great Queen Street a Londra il 26 ottobre 1863 dove dentro la Taverna dei Framassoni, i rappresentanti di undici club fondano la Football Association, e scrivono le regole del calcio, e poi, rimbalza a nord verso il Lancashire, a Preston, dove sempre in quell’anno viene fondato un primo sodalizio sportivo di cricket originariamente in maglia bianco-blu, ma che successivamente vincerà trasformato in entità calcistica, i primi due tornei ufficiali disputati in Inghilterra. Elementi e doti che Sergio “Conor Adam” possiede da sempre nel suo ardente interesse e vibrante sostegno, per il club di questa cittadina e nell'amore per il calcio britannico più in generale. Che cosa spinga un ragazzo di Lecco ad affezionarsi a tal punto al Preston North End, a fondare un Blog su Internet sempre aggiornato e vivace, a spendere dei soldi per fare qualche viaggio nel profondo nord ovest inglese che sa di brughiera e di cotone, alla ricerca di questo humus di desiderio, al punto, adesso, anche di cimentarsi nella scrittura di un libro che attraversa la storia dei Lilywhites, è argomento difficile da spiegare. Sono quelle tesi su cui argomentare davanti a un’aula di scettici “italioti” miscredenti, rende difficile l’assoluzione finale della corte. Ma, se si parte dal concetto che in democrazia si legifera che la libertà nei termini consentiti è sacra e inviolabile per tutti, allora dovrebbe esserlo anche il tifo nello sport, nella disciplina che più di ogni altra ha scatenato pulsioni e letteratura: il calcio. Anzi il football, perché ci tengo che i padri fondatori mi strizzino l’occhio se tendo a usare termini più confacenti alla terra d’Albione. Esserlo nell’accezione che ognuno si senta libero di sostenere qualunque squadra rientri nella sua sfera di grazia, senza obbligatoriamente fermarci sulle frontiere della nostra nazione di nascita. Sergio l’ha fatto. Ha avuto un’illuminazione, signori, folgorato, non sulla via di Damasco come San Paolo, ma su quella di Preston. In fondo la capitale del Lancashire, una cittadina di appena 130 mila abitanti, con la religione pare abbia un rapporto stretto. Il nome sembra derivi dal toponimo “priests town”, la città dei preti, coniato quando la zona era dominata da un’importante priorato, e il coat of arms locale a sfondo religioso rappresenta un agnello che porta una croce. Lo stesso mistico stemma della squadra di calcio. E quando il Signore chiama, la sua volontà non conosce ostacoli.. Chi ha chiamato Sergio non sarà forse un entità divina, o meglio, sportivamente potrebbe benissimo esserlo. Lui è il maggiore William Sudell, un personaggio assai poco ortodosso, padrone di una manifatturiera, cui va ascritto il merito attraverso un abile lavoro diplomatico di aver convinto la Federazione che nel frattempo si era presa la briga di squalificare il North End, a retribuire i giocatori, e a legalizzare il professionismo. Non solo. E’ lui che decide chi comprare e chi vendere, è lui che gestisce arbitrariamente i soldi del club ed è sempre lui che supervisiona gli allenamenti decidendo poi la formazione da mettere in campo. Tutto ciò senza la minima interferenza decisionale del comitato dirigenziale. Dopo aver vinto anche questa battaglia, Sudell riuscì a creare la chimica giusta per dare forma ad una squadra quasi imbattibile, non a caso soprannominata The Invincibles che dalla stagione 1888-89 adotterà le splendide maglie bianche. Lui, forse, è stato il primo a chiamare Sergio, e insieme a lui si sono presentati alla porta le leggende successive. Il leggendario portiere Alan Kelly, Tom Finney, il più grande di tutti, il classico ragazzo della porta accanto, passato alla storia come “for his genius and gentlemanly conduct”; e poi l’iconico scozzese Billy Shankly. Quando ti chiama certa gente, non puoi resistere al richiamo. In questo suo libro sulla storia del PNE, Sergio sovrappone, i perché della sua passione e l’evolversi della storia generale del PNE, i dettagli su alcuni momenti indimenticabili e importanti, gli Invincibili, ma non solo, la FA CUP vinta nel 1938, e le finali purtroppo perse nel 1954 e nel 1964, il già citato Finney, insieme ai racconti delle partite che personalmente ha visto in quel delizioso stadio che porta il nome di Deepdale, e che lo ha accolto in maniera sorprendente.. certamente non potranno mancare i riferimenti alla nascita del fans club italiano e alle sue attività. E così, la passione di Sergio si alimenta, vorace, cercando di fagocitare anche quello che forse ancora non conosce, quel poco o tanto che magari ancora non ha scoperto, gli è sfuggito, ma che lui indomito continuerà a cercare. Lo farà sicuramente in quelle zone lontane, oscure e nebbiose, di fine ottocento, che oggi aleggiano di mistero, ma nelle zone d'ombra se ci sono, ti si crea intorno ancora più spazio, per farci entrare dei sogni interi. Sogni, come quello che un giorno o l’altro, i gigli bianchi tornino a sedersi sul trono d’Inghilterra. Per adesso mettetevi comodi e leggetevi una fiaba inglese. Auguri Sergio, e Preston North End till we die!  "   



INTRODUZIONE

Questo libro è dedicato ai tifosi.
Ai tifosi che ancora sanno emozionarsi dopo un gol, un gol segnato non per forza durante una finale di una competizione importante, un gol segnato in un qualsiasi campo di calcio, un gol che per molti non significa nulla, ma che per quel tifoso significa tutto, un gol che forse non decide campionati e coppe, ma questioni più importanti come onore, orgoglio e passione.
Ai tifosi che ancora sanno emozionarsi per il solo fatto di essere lì, lì in uno stadio semplicemente a tifare e quindi a soffrire, gioire, piangere, esultare, cantare, sperare, pregare, incitare, imprecare.. essere lì per questione di fede verso la propria squadra.
Ai tifosi che ancora sanno emozionarsi per la gioia di stare insieme e condividere la passione per la propria squadra, stare insieme in uno stadio anche scomodo magari, anche sotto la pioggia, anche in una fredda sera invernale di martedì, in una trasferta per un turno infrasettimanale..
Ai tifosi che ancora sanno emozionarsi per una bella giocata, per una parata spettacolare, per la grinta e l’impegno messo in campo dai propri giocatori e non necessariamente per il risultato finale, continuando a supportare sempre la squadra anche nei momenti difficili.
Ai tifosi che ancora sanno emozionarsi a sognare. Sognare una vittoria in una partita di non league, una vittoria che vale un giant killing in Fa Cup, una vittoria in un derby; o sognare di andare a Wembley a giocarsi tutto, sognare un gol nei minuti di recupero ed esultare come dei matti, sognare e immaginare.
Ai tifosi che ancora sanno emozionarsi nei ricordi. Ricordare vecchie emozioni, vecchie partite rispettando la storia, vecchie gioie, vecchi dolori, vittorie e sconfitte, ma sempre ricordi piacevoli se si ama la propria squadra.
Ai tifosi che ancora sanno emozionarsi a vedere foto, video, oppure a leggere racconti ed articoli riguardanti la storia del proprio Club e del football in generale, dalle origini fino ad oggi, perché è giusto rispettare ed onorare chi ha contribuito a far diventare grande questo sport, chi ci ha regalato nel corso degli anni emozioni e storie da vivere e da raccontare.
A questi tifosi grazie ai quali il football non morirà mai, almeno fino a quando queste emozioni continueranno a vivere nei loro cuori, fino a quando ci sarà anche solo un tifoso pronto a viverle queste emozioni nonostante nel calcio moderno, purtroppo, sembra che contino di più i soldi, il business, le vittorie prestigiose.
A questi tifosi spero che potrà piacere questo semplice ed umile libro; un libro senza troppe pretese, un libro che in pochi leggeranno, ma che parla di loro, dei tifosi, perché le emozioni che vivo io e che ho cercato di trasmettere attraverso queste pagine sono le stesse che vivono loro.
Squadre diverse, situazioni diverse, storie diverse, ma emozioni simili, passioni vere. E non si tratta solo di football, in queste pagine si parla della voglia di appassionarsi e di lasciarsi trasportare da emozioni sincere che portano una persona a dedicarsi ad esse con impegno e dedizione.
Spesso mi trovo inadeguato, fuori posto e allora mi tuffo istintivamente in questa passione nella quale mi dedico con tutto me stesso dimenticando per qualche momento i problemi della vita quotidiana, le preoccupazioni ed i dolori.
Un libro che non vuole soltanto celebrare la mia squadra, ma piuttosto i tifosi, la gente comune che si appassiona a qualcosa in cui crede fortemente, un libro che vuole cercare di trasmettere passione ed emozioni.
Un libro che non otterrà successo nelle vendite o nelle recensioni, ma che spera di entrare dritto nei cuori di queste persone, persone semplici come me, ma persone che ancora sanno emozionarsi ed appassionarsi.

E allora non resta che ringraziare alcune di queste persone che ho avuto la fortuna di conoscere e con le quali ho avuto il piacere di condividere queste passioni. Senza di loro, senza il loro supporto e appoggio non sarei probabilmente riuscito a coltivare questa passione con la stessa convinzione .



venerdì 3 gennaio 2014

Manchester e Liverpool: essenza british

Racconto di G. "Old Football Lover"


Dopo vari viaggi a Londra e tappe in Scozia ed Irlanda, finalmente riesco a vedere un altro pezzo di Inghilterra che da tempo era nei miei progetti: Manchester e Liverpool. Scusate se è poco. Da Venezia c’è un collegamento diretto per Manchester e seppur l’orario del volo non sia dei migliori (8 pm) l’aeroporto di Manchester è soltanto a 15 minuti di treno dal centro e così si riesce ad arrivare in tempo per la pinta della buonanotte. Seppur sia un giorno feriale in giro c’è una miriade di gente, soprattutto giovani e visto che ho l’albergo nella zona universitaria sono molti anche i locali aperti fino all’alba. 

La mattina seguente mi tuffo con la mia ragazza nella visita alla città. Subito noto la diversità con Londra. Meno turismo, atmosfera british al 100 % e mi sento finalmente a mio agio. Il centro non è grande e si gira a piedi senza problemi. Visto il periodo la zona del municipio è piena di mercatini di Natale e banchetti con pietanze da tutto il mondo che si riempie all ‘ora di cena nonostante la pioggia. In mattinata visitiamo il Museo del Football (stupendo a dir poco)la John Ryland Library, la zona della cattedrale, la Town Hall e dintorni e poi nel pomeriggio la zona di Castlefield con il Museo della Scienza. Prima di cena facciamo tappa all’Arndale Shopping Centre (vera mecca dei dressers degli anni ’80).

Visto il poco tempo preferiamo andare soltanto all’Old Trafford e non allo stadio del City. Senza saperlo il giorno seguente ci sarà la sfida tra Australia e Nuova Zelanda di Rugby e vedere i pali da rugby sul manto erboso è abbastanza suggestivo e strano. Stadio che affascina per la storia del MUFC e passare sotto al Munich Tunnel con l’orologio a ricordo delle vittime della tragedia aerea è stato emozionante. 























Vista la pioggia mi concedo una pinta al Trafford Arms, pub di casa e poi ritorno verso il metrolink passando accanto allo stadio del cricket dove gioca il Lancashire Cricket Club. In giro avevo letto che il venerdì sera in terra mancuniana è alquanto movimentato ma è davvero dura entrare nei locali anche solo per bere una pinta con la zona di Canal Street viva più che mai ma è comunque in generale che Manchester mi ha dato l’idea di una città che per quanto possa sembrare grigia esteriormente sia viva e offra molto svago e vita per tutti.


Il giorno seguente è il turno di Liverpool, distante neanche un ora da Manchester. E’ una giornata primaverile e scendere le scale di Lime Street mi fa pensare a tutte le scorribande che hanno visto le zone limitrofe negli eighties.
Come a Manchester anche Liverpool si può girare tranquillamente a piedi e il centro ha bancarelle e stand gastronomici come avevo visto il giorno precedente. Tappa nella zona del Cavern Club e poi passeggiata sulle rive del Mersey con vista su Birkenhead e i traghetti della Stena Lines in partenza per Belfast. 




Breve tour al Museum of Liverpool, alla zona dell’Albert Dock e alla cattedrale che è già ora di pranzo e torniamo in zona Lime Street dove vedo i primi gruppetti di Potters arrivati in città per il match contro l’Everton. Dopo pranzo ci dirigiamo verso Anfield Road e facciamo un breve giro dello stadio prima di incamminarci verso Goodison Park e la sua splendida atmosfera. 















Giro allo shop e in Goodison Road prima di prendere posto in Main Stand per il match contro lo Stoke City. Più di 35000 presenti sugli spalti e vengo rapito dalla passione e dall’atmosfera dei tifosi blues. Ho visto altre partite in Uk, sempre in maniera neutrale e per la prima volta mi sento coinvolto nelle azioni e nel sostegno ai blues. Alla fine è apotesi per Lukaku e co. che battono i Potters per 4-0 confermando l’ottima stagione fino ad ora. Esco da Goodison Park col sorriso e riprendo la strada del centro sperando di tornare presto a sostenere i Toffees. 





Altre pinte nel centro prima di riprendere la via per Manchester insieme a un vagone di tifosi dello Stoke che allietano il viaggio con cori contro il MUFC.

Due giorni intensi in un Inghilterra diversa da quella turistica di Londra. Penso sia difficile paragonare questo o quello. Sono città diverse ma quello che mi ha colpito soprattutto a Liverpool è la gentilezza delle persone. Nelle indicazioni, per farti una foto, nel modo di porsi. Un particolare che mi porto dentro e che a ripensarci mi fa sorridere e mi fa venire voglia di tornare nel Merseyside subito.



L' Arsenal di Wenger e l' Fa Cup. Una storia lunga quasi un ventennio

Articolo di Massimiliano Iollo


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Come tutti sappiamo, la Fa Cup per storia e tradizione può essere definita certamente come la competizione più affascinante del globo, poiché incarna a pieno tutto ciò che il british football rappresenta. Nella bacheca di noi gooners è stata riposta dieci volte, quattro delle quali alzate con Arsène Wenger in panchina.

Dall’ arrivo del nostro manager all’ Arsenal, la Fa Cup ha sempre riservato interessanti spunti di riflessione. Una competizione che ha regalato sfavillanti vittorie ma anche rovinose cadute, proprio come la storia del professore di Strasburgo alla nostra guida. Nel suo primo anno in Inghilterra, il cammino iniziato nei primissi giorni di Gennaio, si interruppe ad Highbury, dopo aver eliminato il Sunderland al replay grazie ad una perla di Dennis Bergkamp, dove una squadra mista tra riserve e titolari come Tony Adams, Dixon, Merson e Wright perse contro il Leeds United di Wallace, autore dell’ unico goal del match. L’ annata 1998 sarà quella fortunata. Difficoltosa la scalata verso Wembley, che passò tra la lotteria dei rigori contro Port Vale e West Ham e la vittoria di misura al Villa Park, dove fu decisivo il liberiano Chris Wreh, uno che in pochissimi ricorderanno, ma che fu protagonista della coppa che Tony Adams alzerà al cielo dopo aver liquidato un arcigno Newcastle con i goals di Overmars e Nicolas Anelka.


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La coppa non fu difesa purtroppo l’anno dopo, pur essendo stati parecchio fortunati nei sorteggi che portarono i Gunners a giocare quasi sempre in casa, prima di trasferirsi a Birmingham per disputare le semifinale contro il Manchester United. Una grande prova di forza si ebbe a Deepdale, quando sotto 2-0 a fine primo tempo, guidato da un Emmanuel Petit in grande spolvero, l’ AFC riuscì ad uscirne vittorioso con il risultato di 4-2. La striscia positiva che continuò dopo le vittorie con Wolves, Sheffield United e Derby County (goal di Kanu), sbattè contro il Manchester United di Sir Alex Ferguson, in pieno periodo di maturazione. I Red Devils resistettero bene ad Highbury strappando uno 0-0 e al ritorno, all’ Old Trafford, si guadagnarono la finale con un epico 2-1, pieno di interventi duri e decisioni arbitrali discutibili. Pesano su quel match il dubbio fuorigioco fischiato ad Anelka ed il rigore sbagliato da Bergkamp. L’esultanza di Giggs nel raddoppio la conosciamo purtroppo tutti. Quello United in finale farà un sol boccone del Newcastle (di nuovo secondo) e porterà a casa il trofeo.

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Gli anni duemila inizieranno male per Wenger e giocatori. Il sorteggio, dopo il netto 3-1 al Blackpool, riservò il Leicester City, squadra in quel momento situata a centro classifica in Premier League, che aiutata da un Arsenal molto impreciso e sprecone, e da un Tim Flowers in giornata di grazia, riuscì ad ottenere il passaggio del turno ai calci di rigore. La Fa Cup sarà vinta dall’ italianissimo Chelsea, guidato in panchina da Vialli ed in campo da Cudicini, Di Matteo (autore del goal) e Gianfranco Zola. Nel 2001 sarà invece il Liverpool a spezzare i sogni di gloria dei Gunners, Un giovanissimo Micheal Owen, che vincerà contro ogni pronostico il Pallone d’ Oro,” strappò” nelle battute conclusive del match letteralmente la coppa all’ Arsenal. Ancora oggi i tifosi ricordano la camminata nervosa di Wenger e le facce incredule anche degli stessi giocatori in campo, come Pirès e Henry.


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Gioiranno esattamente un anno dopo, a Cardiff . Non fu per niente facile arrivare a sfidare il Chelsea, perché già al quarto turno la sorte accoppiò i Gunners ai vincitori della competizione dell’anno prima, il Liverpool. Niente scherzi, nessun Owen potè fermare quell’ Arsenal che con una delle sue azioni in velocità, palla a terra, portò Dennis Bergkamp ad andare in rete, e staccare il pass per il quinto turno. Superati senza particolari problemi sia il Gillingham che il Newcastle, fu per mano di Gianluca Festa, difensore italiano ex Inter allora al Middlesborough, che il “Good save the Queen” risuonò per Wenger il 16 Febbraio nel soleggiato Millennium Stadium di Cardiff. Le occasioni create fino al 70° minuto non diedero frutti, fin quando il genio di Ray Parlour “The Romford Pelè” decise di deliziare il pubblico presente con un goal che solo grandi campioni come lui eran capaci di fare. La fuga con l’ imbucata dai venti metri di un altro diamante come Freddie Ljungberg fece sì che l’ Arsenal accoppiò la Fa Cup alla Premier League, realizzando il double.

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Da campione in carica, l’anno dopo l’ Arsenal entrò nella competizione come sempre ad inizio del nuovo anno, battendo per 2-0 l’ Oxford ad Highbury e poi regalando una giornata sensazionale ai tifosi del Farnborough Town, squadra di Non League che quel giorno raggiunse il picco più alto della propria storia. Pur essendo sorteggiata in trasferta, la squadra londinese giocò ad Highbury, vista l’enorme richiesta di biglietti da parte dei tifosi dell’ Hampshire. Un 5-1 che non scalfì minimamente l’umore degli Yellows, usciti dal terreno di gioco attorno ad una atmosfera festante, fatta di abbracci e gara a chi salutasse più giocatori dell’ Arsenal, visti a quel tempo quasi come divinità per chi ogni sabato era costretto a calcare gli angusti, anche se affascinantissimi, palcoscenici del dilettantismo. Il quinto turno, giocato in un primaverile giorno di Febbraio all’ Old Trafford di Manchester, diede quella consapevolezza di poter bissare il successo dell’ anno prima. Rischiato più volte lo svantaggio, l’ Arsenal mise la testa avanti con il brasiliano Edu, fortunato nel trovare una deviazione della barriera dopo aver provato a piazzare la palla da punizione. Come un coltello nel burro ci pensò Wiltord a siglare il 2-0 che suonò come una senteza per chi mesi dopo avrebbe vinto la Premier League con 83 punti in classifica. Sbarazzatosi di Chelsea in due match e di un coraggioso Sheffield United, gli heroes in maglia rossa con maniche bianche sfilarono di nuovo, esattamente un anno dopo, a Cardiff, per giocarsi la vittoria finale contro il Southampton, allora rappresentato dall’ emergente Beattie, autore di 23 reti fino ad allora. Il goal al 38° di Pirès permise ai Gunners di amministrare il match fino al fischio finale, che scatenò in campo pazzi festeggiamenti, che coinvolsero oltre agli assenti Campbell, Patrick Vieira (che alzò la coppa in collaborazione con Seaman) ed Edu, anche tutti i membri dello staff tecnico.


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Nella stagione degli Invincibles, la famosa 2003/04, il cammino in Fa Cup dei marziani del Nord di Londra terminò al Villa Park di Birmingham, contro l’avversario per eccellenza, il Man United. Un errato piazzamento in fase difensiva che causò il facile goal di Scholes, l’assenza dall’ inizio di Henry che fu rimpiazzato da Aliadiere, ed una non brillantezza fisica, giocarono a favore dei Red Devils che batteranno poi agilmente a Cardiff il Millwall, contando non solo su Van Nistelrooy, ma anche su un Cristiano Ronaldo che iniziava già a regalare giocate di alta scuola.


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Il duello renderà spettacolare anche la Fa Cup del 2004/2005, dove i due club si sfideranno in finale, dando vita ad un match memorabile che nel tempo è sempre ricordato con piacere, soprattutto dai tifosi londinesi. Una Fa Cup che permetterà a Wenger di dar spazio alle giovani promesse come il terzino francese Clichy (20 anni), lo spagnolo Fabregas (18 anni), la punta italiana Lupoli (18 anni), il roccioso Senderos (20 anni) e l’ ala Van Persie (22 anni) . Due goal dell’olandese nel 3-0 in semifinale col Blackburn fecero sì che l’ Arsenal si presentasse a Cardiff a giocarsi la vittoria della decima Fa Cup nella propria storia. Uno 0-0 nei primi 120’ di gioco regalò al pubblico presente l’ ottovolante dei calci di rigore. Vinto il ballottaggio con l’ arbitro Rob Styles a presenziare, lo United battè il primo rigore con Van Nistelrooy sotto il settore occupato dai tifosi macuniani. Palla da una parte, portiere dall’ altra, ed un urlo di gioia che fece esplodere sì i suoi beniamini, ma che non scalfì minimamente la concentrazione del terzino Lauren che presentatosi di fronte a Carroll, lo spiazzò senza particolari problemi, mostrando tutta la sua forza a chi, dall’ altra parte, auspicava un suo errore. Arrivò il turno di Scholes, il Silent Hero come lo chiamano tutti, uno che raramente si è presentato ai microfoni per qualche dichiarazione, anche quando c’era da esultare per un trofeo importante portato a casa. La concentrazione era uno dei suoi punti di forza. La mantenne, ma non considerò che i pali erano difesi da Jens Lehmann, uno con gli attributi d’acciaio che mai fece rimpiangere l’adorato David Seaman dalle parti di Islington. Il numero uno rimase in piedi fino senza dare cenni di indecisione, balzando alla sua destra proprio all’ ultimo secondo, neutralizzando il pallone calciato dal centrocampista inglese. Né una esultanza, né un cenno di compiacimento…nulla. Testa bassa e via verso il suo posto, per assistere al tick messo sulla tabella di marcia dal compagno Ljungberg. I goal di Van Persie e Cole per i Gunners e quelli di Ronaldo, Rooney e Keane funsero solo da cornice per il penalty decisivo del capitano Patrick Vieira. Il resto del team si stringeva forte a centrocampo mentre sugli spalti la maggior parte dei tifosi si rifiutò di guardarlo. Il cammino verso il dischetto e la rincorsa per il tiro durarono pochi secondi, ma parvero infiniti. Spinto dalla folla, il granitico centrocampista francese impattò la palla e la spedì dritta alle spalle di un Carroll che intuì sì la traiettoria, ma non potè nulla. Abbraccio a Lehmann e via con i festeggiamenti. Anche i telecronisti di quel match, Gerry Dobson e Craig Forrest non poterono non sottolineare la forza di quella squadra e di come la vittoria finale fosse meritata a pieno. Da quel pomeriggio in Galles non vedremo più braccia alte, medaglie d’oro o coppe.






Quella Fa Cup resta ancora oggi, molti anni dopo, l’ultimo trofeo vinto dall’ AFC, il glorioso AFC. Il resto è storia recente, partendo dall’ eliminazione nel finale di match col Bolton, passando per quelle con Blackburn l’anno dopo, il poker all’ Old Trafford nel 2008, il goal di Drogba in semifinale a Wembley davanti a 90.000 persone, il 3-1 al Britannia contro l’anticalcio Stoke che approfittò di una difesa inesistente, i tap-in di Fabio e Wayne Rooney nel 2-0 del 2011, l’autogoal di Oxlade Chamberlain allo Stadium of Light, per finire col capitombolo in casa l’anno scorso col Blackburn, squadra di bassa classifica di Championship (la seconda divisione inglese) che passò all’ Emirates con Richards al 72°. Quella partita probabilmente può rappresentare una parte del regno Wenger che ha fatto storcere il naso ad un po’ di tifosi, che non pretendono certo di vincere sempre e tutto, ma che una gloriosa squadra, quale l’ Arsenal, debba per forze di cose onorare la competizione più bella del mondo.

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Quest’anno, ritrovata la brillantezza e quel carattere d’ un tempo, tutti si aspettano, tutti ci aspettiamo, che il 17 Maggio i nostri beniamini possano sfilare a Wembley per contendersi la coppa. Riusciremo nell’ impresa? Chi lo sa, c’è un solo modo per scoprirlo…battere tra qualche giorno i cugini del Nord di Londra, il Tottenham.









giovedì 2 gennaio 2014

A trip to Middlesbrough

Racconto di Carlo "Yorkshireman"

Nell’agosto del 2011 passai tre settimane in vacanza studio a York, città che ormai conoscevo bene in quanto c’ero già stato altre volte per lo stesso motivo. Quella volta però fu diversa: avendo prenotato dal 7 al 28, ebbi infatti la possibilità di programmare una trasferta a Middlesbrough per vedere finalmente giocare dal vivo, al Riverside, il mio amato Boro. Il match di Championship a cui avrei assistito era quello contro il Birmingham City, fissato per domenica 21 agosto.

Durante le prime due settimane di vacanza ne approfittai per chiedere informazioni su stadio e treno a Nigel e Graham, due insegnanti della Scuola di Inglese che frequentavo i quali, manco a farlo apposta, erano originari della zona di Middlesbrough.
Per esempio mi dissero che non era assolutamente necessario acquistare i biglietti in anticipo poiché (e questo purtroppo lo sapevo bene) da quando il Boro era retrocesso in Championship il Riverside non era mai pieno. L'unica cosa che comprai prima furono i biglietti del treno, stando attento a scegliere dei servizi che non facessero scalo a Darlington: i due prof mi avevano infatti avvisato che quei treni passavano per la direttrice Londra - Edimburgo e i prezzi erano notevolmente più alti.

E fu così che arrivò quella fatidica domenica 21 agosto. Ricordo che quella mattina mi svegliai e feci colazione presto, mentre il signore
che mi ospitava (un professore in pensione tifoso dell'Arsenal :) ) dormiva ancora. In seguito, verso le 10, uscii di casa e, zainetto in spalla,
mi diressi alla stazione di York. Il treno partì puntuale alla volta di Middlesbrough e, giunto alla stazione di Northallerton,
si cominciò a sentire aria di matchday: un uomo e sua moglie, entrambi con la maglia del Boro, salirono sul mio stesso treno.

Arrivai a Middlesbrough verso mezzogiorno e decisi di dirigermi subito verso lo stadio per acquistare i biglietti. Lo stadio è raggiungibile a piedi
dalla stazione ferroviaria con una passseggiata in una zona abbastanza desolata che costeggia il fiume Tees e che nel 2011 stava subendo
(e credo stia subendo tuttora) un'opera di riqualificazione chiamata "Tees Valley Regeneration". Gli unici elementi che ravvivano l'area, oltre al
Riverside Stadium, sono il moderno edificio del Middlesbrough College, la Clock Tower, un'opera d'arte contemporanea denominata "Temenos"
e soprattutto quello che è il vero e proprio orgoglio dei Teessiders, simbolo di Middlesbrough e del suo glorioso passato industriale:
il Transporter Bridge. Il Transporter Bridge è, come dice il nome stesso, un ponte trasportatore lungo 259m e alto 69m che collega le due sponde del fiume Tees.
(Per chi vuole approfondire su cosa sia un ponte trasportatore: http://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_trasportatore)

Lo skyline di Middlesbrough visto da una darsena sul fiume Tees


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Il Transporter Bridge


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Quando arrivai di fronte allo stadio, nonostante mancassero ancora tre ore all'inizio del match, c'erano già alcuni tifosi che stavano parlando
con il manager Tony Mowbray ed io, ovviamente, ne approfittai per fare una foto con lui, che all'epoca stava vivendo un momento d'oro
con il Middlesbrough.


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Dopo aver acquistato un biglietto per la East Stand (mi capitò addirittura la prima fila) tornai verso la stazione e il centro di Middlesbrough per mangiare un panino da Subway (uno dei pochi negozi aperti). Middlesbrough in questo senso è completamente diversa da York: da vera città industriale del profondo nord inglese, di distrazioni ne offre veramente poche.

Quando mancava poco più di un'ora all'inizio della partita mi incamminai nuovamente verso lo stadio: i tifosi di entrambe le squadre si erano nel frattempo moltiplicati. Prima di entrare feci un doveroso salto all'official store per alcuni acquisti oltre naturalmente al match programme, che in copertina aveva Marvin Emnes.

La desolata strada che porta al Riverside Stadium: nella foto si notano sullo sfondo le torri di raffreddamento di un'industria chimica


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Superati i tornelli, presi posizione e mi sedetti a guardare il riscaldamento dei giocatori e lo spettacolo delle tribune che man mano si riempivano (alla fine della giornata l'attendance sarebbe stata di 17 567 spettatori, non eccelsa ma neppure da buttare via). Sentivo l'emozione che man mano saliva, anche perché era la prima volta in vita mia che assistevo a un match di calcio professionistico.


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Poi, finalmente, arrivò il calcio di inizio. Durante il primo tempo il Birmingham andò in vantaggio con un rigore trasformato da Adam Ronney. Nella ripresa, poco dopo essere tornati in campo, una punizione di Barry Robson riportò il match in parità.
Al 69' il belga Faris Haroun, che era arrivato al Boro in settimana, si regalò un debutto da sogno segnando il gol del 2-1. Tre minuti dopo Malaury Martin, un altro giocatore che era stato messo sotto contratto poco tempo prima, fissò il punteggio sul 3-1 con un meraviglioso semi-pallonetto da fuori area che fece esplodere di gioia il Riverside. Dopo questo gol, scambiai qualche parola con la signora che era seduta accanto a me, la quale rimase naturalmente molto sorpresa quando le dissi che ero italiano. Al termine del match, prima di lasciare la tribuna, la signora mi salutò e mi disse:"You have to come back again!"...Anche gli inglesi sono superstiziosi... :lol:
Mentre gli spettatori lasciavano lo stadio mi fermai a fare quache foto sia all'interno che all'esterno. Il tempo di immortalare alcuni giocatori che facevano ritorno alle loro auto ed era già ora di prendere il treno.

Alla fine di quella giornata me ne tornai a York felice come non mai e consapevole di aver messo una sorta di sigillo sulla mia passione

per il Middlesbrough Football Club!


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I "Temenos" con sullo sfondo il Middlesbrough College e il Transporter Bridge


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