Lo spicchio rosso e blu della Holte End è in festa. Un mare
di folla che si agita, salta, e canta “Glad all Over”, al ritmo folle
dell’incredulità. Uno striscione arrangiato, fatto probabilmente in qualche
garage di una casetta a schiera costruita fra le colline del sud di Londra,
viene alzato sulle teste di quelli delle prime file della gradinata e recita:
“Thank You God, I Can Now Die In Peace “: "Grazie Dio, ora posso morire in
pace". Il Crystal Palace aveva appena battuto il Liverpool 4-3 in una
drammatica semifinale di coppa d’Inghilterra e per la prima volta si sarebbe
giocato l’atto conclusivo della manifestazione a Wembley. Se il cielo è il
regno delle aquile, il preludio all’impresa si poteva leggere nei segni di una
dolce primavera inglese. All’ora di pranzo dell’ 8 aprile 1990 su Birmingham è
una piacevole giornata di sole. Una luce diafana si distende sul Villa Park
come a rivestirlo di una cornice dorata su cui la magia dell’ Fa Cup è pronta a
disegnare una nuova meraviglia. E dire che quell’anno sembrava non ci fosse
storia per le eagles contro i reds. Due partite di campionato e due sconfitte,
compreso l’umiliante 9-0 subito a Anfield nelle prime giornate di campionato.
Ma Steve Coopell da Allerton (Liverpool), vuole a tutti i costi riuscire a battere
la squadra per cui aveva sempre fatto il tifo fin da piccolo. Nel 1984 diventò
a soli 29 anni il più giovane manager del calcio inglese, e nelle dichiarazioni
che precedettero il match si mostrò fiducioso nella capacità dei suoi uomini di
sovvertire il pronostico. Sempre sotto la sua guida l’anno precedente il Palace
si era guadagnato attraverso la porta secondaria dei play off l’accesso alla
massima serie battendo il Blackburn Rovers, grazie a una grande rimonta
casalinga che ribaltò la sconfitta di Ewood Park.
Crystal Palace. Palazzo di Cristallo. Una costruzione enorme
in ferro e vetro che nel 1851 il Principe Alberto volle in occasione della
prima esposizione mondiale tenutasi a Londra in Hyde Park. All'epoca la zona
era circondata dalla campagna e abitata da londinesi aristocratici e influenti,
molti dei quali non guardavano di buon occhio il progetto, tanto che le
lamentele arrivarono sino alla Camera dei Comuni. La manifestazione però andò
avanti ed anche con successo. Il palazzo era una struttura modulare
all’avanguardia che escudeva grossi pilastri e muri portanti, per una
superficie totale di 84000 metri quadrati. Troppi ad ogni modo. Anche per il
vasto parco cittadino. Infatti tre anni dopo venne smontato e ricostruito in
Sydenham Hill, nel Borough of Lewisham. Nel 1861 i dipendenti del Palazzo
decisero di dare vita a una squadra di calcio, e la loro precocità fondativa
gli permise dieci anni più tardi di essere addirittura tra i membri promotori
della FA Cup, alla quale presero parte fino al 1876, nell’anno in cui la prima
parte della storia di questo club si interrompe.
Ad essere sinceri il Crystal Palace aveva goduto di una
sequenza di sorteggi piuttosto favorevoli per arrivare in semifinale. Il terzo
turno parte il 6 gennaio 1990, in un umido pomeriggio invernale, di quelli dove
la nebbia si nasconde per qualche momento per poi riapparire al primo calar del
sole. E il crepuscolo su Selhurst Park si fa ancora più cupo quando il
Portsmouth segna e chiude in vantaggio il primo tempo. Nella ripresa però la
risposta dei padroni di casa è veemente. Prima Geoff Thomas da fuori area e poi
il funambolico e caracollante colored Andy Gray su calcio di rigore ribaltano
il risultato a favore del Crystal Palace. Su Geoff Thomas il biondo e roccioso
centrocampista nativo di Manchester è giusto, anzi doveroso, aprire una
parentesi che non riguarda esattamente la sua carriera sportiva, che comunque
lo vede apparire non solo con la maglia delle Eagles ma anche con quelle di
diverse altre quadre inglesi e perfino della nazionale, ma per la sua battaglia
contro una forma di leucemia diagnosticata nel 2003 e che lo ha visto
gagliardamente venirne fuori da vincente. Con la stessa grinta e determinazione
di quella che mostrava nelle mischie furibonde della metà campo. Nel 2008
scriverà una bella autobiografia intitolata,” Riding Through The Storm”. Il
sorteggio successivo accoppia i ragazzi di Coppell all’Huddersfield Town, e si
giocherà ancora a Selhurst Park. Questa volta sarà una partita senza storia.
Prima insacca Jeff Hopkins dall’ limite dell’area, poi un autorete di Lewis,
poi la testa imperiosa di Mark Bright, infine una rasoiata di John Salako, e il
poker è servito. Abbiamo menzionato Bright. Uno degli attaccanti che farà la
storia del Palace. Oltre 200 presenze e più di novanta reti. Il padre era nato
in quella stretta striscia di terra africana che si chiama Repubblica del
Gambia, completamente circondata dal Senegal e dal fiume a cui da il nome. Si
trasferisce a Stoke on Trent, sposerà una donna inglese e nel 1962 nascerà
proprio lui. Mark Abraham Bright. E siamo già al 17 febbraio, siamo già al
quinto turno, e il destino vuole che le aquile restino ancora nel loro nido
londinese. Contro il Rochdale poteva apparire una passeggiata. Non lo sarà. Al
Selhurst Park è il giorno della fiera delle occasioni mancate. Uno spreco che
poteva costare molto caro e che a un certo punto faceva pensare tutti a un
complicato replay esterno nei giorni successivi. E come spesso accade in queste
partite salta fuori l’uomo che non ti aspetti. Su un anonima rimessa laterale
spizzicata maldestramente da un difensore avversario la palla arriva al centro
dell’area di rigore e soprattutto sul destro di Phil Barber che la gira in rete
nell’angolo basso, 1-0. Adesso chiedere alla dea bendata un'altra partita fra
le mura amiche sarebbe stato troppo, e infatti arriva la prima trasferta di
coppa all’ Abbey Stadium di Cambridge. Non si gioca in casa, ma ancora una
volta la squadra da affrontare, almeno sulla carta è più che abbordabile. A risolvere
la contesa sarà l’indomito capitano Thomas che mette dentro di testa un pallone
proveniente da un calcio d’angolo. Nei minuti finali “un certo” Ian Wright
poteva aumentare il bottino dei suoi ma sbaglierà un goal che ai più sembrava
fatto, mentre a Salako viene annullata una rete per un dubbio fuori gioco.
Fatto sta che il Crystal Palace batte il Cambridge United e approda alla
seconda semifinale della sua storia dopo quella del 1976 persa a Stamford
Bridge contro il Southampton.
L'attuale Crystal Palace FC nasce nel 1905, e non ha nessun
legame diretto con il precedente, semplicemente intendeva giocare in affitto,
sul campo dell'adiacente struttura di Sydenham Hill ovvero il Crystal Palace
Sports Ground; da questo semplice contesto nasce la decisione di ribattezzarlo
Crystal Palace football club. Ruolo chiave nella fondazione lo assume quello
che in quel momento è sicuramente uno dei club più importanti e seguiti
dell'Inghilterra di inizio novecento: l'Aston Villa, dal quale mutua i colori
sociali. Edmund Goodman, ex giocatore dei villans costretto da una gamba
amputata alla carriera dirigenziale, è infatti molto amico della dirigenza di
Villa Park. Rivestirà la funzione di manager ininterrottamente dal 1907 al
1925. Nei primi anni però le aquile non volano ancora. Il nick name della
squadra infatti richiama solo il nome del sodalizio. Glaziers (vetrai). Giocano
nella Southern League, e si barcamenano tra le serie minori raggiungendo al
massimo la seconda divisione nazionale. Tra le due guerre mondiali esattamente
nel 1924 l'errante Crystal Palace FC trova la sua sede attuale a Selhurst Park.
Lo stadio sarà frutto ancora una volta di un disegno di Archibald Leitch, anche
se le limitate possibilità economiche del club priveranno dal progetto la
celeberrima cupoletta o “gable” dalla tribuna principale. Negli anni trenta
mette la firma con la casacca dei Glaziers uno dei più grandi e prolifici
bomber di sempre, Peter Simpson uno da 165 gol in 195 partite a cui si aggiunge
il record storico nella stagione 1930-31 di 46 gol in 42 partite. Il Crystal
Palace approda nuovamente in seconda divisione solo nel 1961 dopo un assenza di
40 anni, e finalmente nel 1969 fa il suo esordio nella massima divisione
nazionale. Sono gli anni di Jonny “Budgie” Byrne, chiamato cosi per il suo
incessante parlare dentro e fuori del campo. Fisicamente prestante, capello
corto da ufficiale, con una discendenza irlandese alle spalle fu chiamato anche
a vestire la gloriosa maglia bianca della nazionale. Ma quelli sono anche gli
anni di Bert Head. Con lui in panchina arriverà il secondo posto dietro al
Derby County e la già citata promozione in First Division. Il manager arrivato
dal Bury resterà fino al 1973 riuscendo nella non facile impresa di mantenere
il Crystal Palace sempre in prima divisione. Nel 1973 uno storico 5-0 sul
Manchester United é però il canto del cigno di una squadra che nel giro di due
stagioni sprofonderà tristemente in terza divisione.
“ Mi raccomando ragazzi, non vi lasciate sfuggire Rush. E’
da lui che mi aspetto i pericoli maggiori.” Le profetiche parole di Steve
Coppell risuonano nel chiuso degli spogliatoi del Villa Park. Siamo tornati
all’inizio, siamo tornati a quel fatidico 8 aprile 1990, il giorno della
semifinale contro il grande Liverpool di Kenny Dalglish, detentore del trofeo e
che di lì a poco si sarebbe laureato ancora un volta campione d’Inghilterra. E
infatti dopo nemmeno un quarto d’ora Steve Mc Mahon il dinamico alfiere della
mediana del Liverpool, recupera un pallone in mezzo al campo e sul filo del
fuori gioco serve un pallone invitante al bracconiere gallese che non si lascia
sfuggire l’occasione per portare in vantaggio i reds. Ora sembra dura.
Durissima. Quel Liverpool per l’occasione in maglia grigia griffata “adidas” e
sponsorizzata “Candy”non era certo squadra che poteva essere rimontata tanto
facilmente. Gente come Peter Beardsley, Ronnie Whelan, John Barnes, Ray
Houghton, erano un muro rosso, esperto e ghignante che già pregustava la
finale. Il primo tempo si chiude con il vantaggio del “Pool” per una rete a
zero. Ma i fuochi d’artificio devono ancora arrivare, e saranno sfavillanti. In
apertura di ripresa, John Pemberton, il biondo terzino del Palace con la faccia
da attore americano degli anni cinquanta, si inventa un cross che John Salako
si vede ribattere dalla retroguardia del Liverpool, ma è lestissimo Bright
sotto porta a mettere dentro. Siamo 1-1. Sull’onda dell’entusiasmo, il Palace
si esalta. Dalglish intanto aveva dovuto sostituire Gary Gillespie durante
l'intervallo a causa di un infortunio e aveva inserito in difesa un timoroso
Glenn Hysen, mentre le geometrie di Geoff Thomas assistito da Pardew e Gray
iniziano a strappare il controllo del match al Liverpool. Thomas ha anche una
grande occasione per portare avanti i suoi, ma Grobbelaar è attento e sventa la
minaccia. Comunque sia il vantaggio delle eagles è nell’aria. Al 69’ Alan
Hansen spinge fallosamente Bright. Sulla mischia susseguente al calcio di
punizione Gary O’Reilly uno dei centrali della retroguardia di Coppell segna in
mischia. Incredibile. 2-1 per quelli di Londra sud. Musica per i poeti del
football. Non ha caso forse sulle maglie del Palace campeggia la sinuosa
scritta “Virgin”. Dieci minuti dal termine. Troppi per sperare di farla franca.
E’ il forcing dei reds ottiene rapidamente successo quando Mc Mahon su assist
di Venison fionda da venti metri un bolide alle spalle dell’incolpevole Nigel
Martyn. Ma i guai non sono finiti, perché il sogno sembra frantumarsi
definitivamente due minuti dopo il pareggio, perché mister George Courtney da
Spennymoor assegna al Liverpool un calcio di rigore per un fallo di Pemberton
su Steve Staunton. Polemiche, rabbia, frustrazione, e mani sui capelli quando
John Barnes con la consueta freddezza riporta quelli di Anfield in vantaggio. 3-2.
“Looks like Liverpool are heading to Wembley", "sembra che quelli del
Liverpool si stanno dirigendo a Wembley", dice John Motson ai microfoni
della BBC, mentre esplode il classico“ YOU'LL NEVER WALK ALONE ”. Ma a un certo
punto della canzone “Walk On” si interrompe bruscamente perché Bruce Grobbelaar
non allontana con decisione un pallone che sembrava innocuo e Andy Gray ne
approfitta per il boato dei tifosi in rosso blu. Cardiopalma. Si va ai
supplementari sul rocambolesco punteggio di 3-3. E qui accade il miracolo. Uno
di quegli episodi che modificano lo scorrere naturale degli eventi, per
alimentare la leggenda e far salire sugli altari della cronaca nomi buoni in
quel momento solo per gli annuari calcistici. A poco più di nove minuti dal
termine dei supplematari, un corner deviato leggermente da Andy Thorn arriva
sulla testa bionda di Alan Scott Pardew, e il ragazzo di Wimbledon segna,
scaricando l’adrenalina, in un esultanza da danzatore maori. Palace 4 Liverpool
3. La banda di Steve Coppell è sorprendentemente in finale. Lacrime, abbracci,
e dagli spalti uno struggente “Que sera sera, whatever will be, will be, We’re
going to WEM-BER-LEY, que sera, sera.."
Nei primi anni metà settanta con l’avvento in panchina di
Malcom Allison avviene la trasformazione del club, nella forma e nei modi di
come é conosciuto adesso; abbandona i colori di famiglia claret & blue
stile Aston Villa, per passare ai più vivaci rosso brillante e bluette, gli
ex-vetrai diventano delle più ben più aggressive aquile. Il crest viene infatti
sormontato da un aquila che ghermisce un pallone volando sul palazzo di
cristallo. Allison, ex grande calciatore del West Ham, sorriso sornione,
cappotto scamosciato e cappello da eccentrico ispettore di polizia, resterà a
Selhurst Park nonostante due retrocessioni consecutive fino al 1976, l’anno
della semifinale di FA Cup. E insieme a lui se ne andrà Peter Taylor che in tre
anni si era preso il lusso di segnare ben 33 reti con la maglia dai nuovi
colori del Palace. Nel 1976 viene nominato manager Terry Venables. Con lui la
squadra tornerà subito in seconda divisione. Una stagione di affiatamento ed
ecco la nuova promozione, contrassegnata anche dal record di presenze a
Selhurst, per la partita contro il Burnley quando i tornelli registrarono oltre
51000 spettatori. L’anno successivo, sempre sotto la sapiente guida di “El
Tel”, arrivò il tredicesimo posto finale in First Division dopo aver saggiato
addirittura la testa della classifica a fine settembre. Venebles lasciò il
club, in circostanze non molto chiare, l’ottobre successivo, per andare ad
allenare il Queens Park Rangers in Seconda Divisione; le redini del Palace
vennero nuovamente prese da Malcolm Allison, che, reiteratamente, retrocesse
ancora, sebbene non finì il campionato sostituito da Dario Gradi. Ma anche la
futura leggenda del Crewe non ebbe molto successo e sulla panchina delle aquile
è il momento da player-manager di Steve Kember, icona locale, essendo nato a
Croydon e avendo fatto tutta la trafila giovanile e la prima parte di carriera
proprio nel Palace. Centrocampista dall’ esuberante agonismo, nonostante la
salvezza con un turno d’anticipo e un quinto turno in FA Cup, nell’estate 1982
Ron Noades lo rimpiazza con l’impopolare Alan Mullery, sostituito a sua volta
da Dave Bassett che passerà alla storia per i famosi “ Four day”, i quattro
giorni dopo i quali infatti decise di dimettersi per tornare al Wimbledon della
crazy gang. Incominciava l’era Coopell.
La finale, già. Ma prima bisogna incidere un disco. “Glad
all Over” la canzone scritta da Dave Clark tifoso del Palace, fondatore dei
“The Dave Clark Five” , e adottata dai tifosi nel 1964. Il 12 maggio 1990 la
zona di Selhurst Park si risvegliò con l’infantile gioia di chi è alla sua
prima volta, ma anche con i brividi di chi sa se mai ce ne sarà un'altra. In
ogni caso non poteva essere un sabato normale quello. Wembley stava aspettando,
il tempio bianco e granitico era in attesa. Un miraggio ormai concreto, dei
migliaia di tifosi che stavano arrivando sui treni provenienti da Norwood
Junction verso la stazione Victoria, da Thornton Heath, e da East Croydon. Poi
tutti sulla “tube” direzione Wembley Park. Si mescolarono ai tifosi del
Manchester United e insieme a loro cantarono “Abide With Me”, forse, anzi
sicuramente con un trasporto e un emozione maggiore, e poi via non c’è più
tempo per i sentimentalismi, si gioca, e naturalmente i red devils di Alex
Ferguson sono i favoriti d’obbligo, seppure dalle parti dell’Old Trafford un
trofeo in vetrina manchi da ormai cinque anni. Entrambe le squadre erano state
coinvolte in drammatiche semifinali e la finale prenderà la stessa strada. Al
17 ', il Crystal Palace va in vantaggio con Gary O'Reilly che di testa sfrutta
un calcio di punizione. Lo United reagisce al 35 '. Brian McClair s’invola sulla
fascia destra e recapita una pallone d’oro sul secondo palo, dove il capitano
Bryan Robson in attesa pareggia l’incontro . E’ 1-1 alla fine primo tempo.
Nella ripresa i diavoli rossi vanno in vantaggio. Un tiro-cross di Neil Webb
trova per strada l’accorrente Mark Hughes che spara nell’angolo basso. Ma Steve
Coppell tira fuori il coniglio dal cilindro, anzi l’attaccante dal cilindro.
Ian Wright . In dubbio a causa di un infortunio, avrà un impatto clamoroso sul
match e siglerà al 72’ la rete del pari aggirando un legnoso Pallister, poi nel
primo tempo supplementare si avventa su un traversone di John Salako, e
sfruttando un uscita indecisa di Jim Leighton mette in goal di interno destro.
Wright venne portato al Crystal Palace dal talent scout Peter Prentice che vide
giocare il ragazzo di colore nato a Woolwich per i dilettanti del Dulwich
Hamlet. Un autentica pantera dal palleggio raffinato che segnerà più di 90 reti
fra coppe e campionati con le eagles, per poi fare la fortuna dell’Arsenal
quando l’anno successivo fu acquistato dal club di Highbury per 2,5 milioni di
sterline. Le speranze del Palace durano sette minuti, quelli intercorsi dal
goal di Wright al pareggio di Hughes che significò pareggio e ripetizione. A
fine gara ci fu poco tempo per riordinare le idee, per discutere sull’andamento
della partita, sui se e sui ma, la priorità per i tifosi fu quella di disporsi
ordinatamente ai botteghini dello stadio per l’acquisto del biglietto del
replay che si sarebbe disputato la settimana seguente. Fu una partita che non
regalò l’eccitazione e la trepidazione del primo incontro. La coppa se ne andò
a Manchester grazie a un goal del terzino Lee Martin, che regalò il primo
fondamentale successo a Sir Alex Ferguson. Il Crystal Palace tornò a Wembley
anche l’anno successivo, ma per un trofeo minore, la Full Members Cup, che fra
l’altro riuscirà a vincere. Poca roba, o forse abbastanza, visto la scarsità
dell’argenteria nell’nido dell’aquila. Ma quel volo, quella stagione, nessuno
se la scorda. Glad all Over.
Sir Simon