Ormai, quasi senza rendercene conto, dividiamo gli avvenimenti delle nostre vite in due ere diverse, quella dell’“Avanti Covid” e quella del “Dopo Covid”, cosa che era successa in passato solo per la venuta di qualcuno di più “Divino”, spesso parlando tra di noi diciamo “prima del covid” o “dopo il covid”… come se questo brutto e tragico periodo ci avesse segnato per sempre e probabilmente così purtroppo lo è per davvero. Ed allora eccoci speranzosi che questo “Dopo Covid” resti tale ed intenti a tornare alla vita “normale”, quella che era prima del Covid, e se parliamo di vita normale, parliamo anche di viaggi, cerchiamo di fare più cose possibili per cercare di colmare in qualche modo quel lungo e brutto periodo che purtroppo per molti non finirà mai nel ricordo di tanto dolore e di tante tragiche perdite.
E così ecco che anche io mi ritrovo alle prese di questa
incontenibile voglia di tornare nei posti che più amo e, dopo una breve visita
londinese di qualche mese fa, stavolta ho voluto andare lì dove il cuore mi
chiedeva di portarlo da troppo tempo, tra quel periodo che tutti vogliamo
dimenticare e qualche partita in trasferta, mi sono reso conto che mancavo da
tre lunghi anni dal posto che mi aveva adottato, da quel posto in cui non c’è
niente di così attraente agli occhi di molti forse, ma un posto dove ci sono
degli amici, un posto che mi fa stare bene, un posto che amo.
Preston.
E Preston per me significa anche e soprattutto Preston North
End e di conseguenza amici, affetti, emozioni, ricordi, gioie e dolori unite
insieme in sensazioni uniche da portarsi dentro per il resto dei giorni.
Organizzo tutto bene mesi prima, ed ho in mente qualcosa di
speciale per me, voglio fare qualcosa che fino ad ora mi ero imposto di non
fare per non essere troppo egoista nei confronti della mia compagna di viaggio
(e di vita), che in questa occasione si è però dovuta rassegnare percependo i
miei sentimenti e quell’irrefrenabile desiderio di colmare un vuoto che mi
sentivo dentro.
Fatto sta che pochi giorni prima di partire, nonostante
l’organizzazione scrupolosa del viaggio, le uniche certezze che avevo erano il
giaccone pesante della Berghaus, le Adidas Manchester 89 Spezial e la mia
voglia di partire, ma anche queste erano messe a repentaglio dalle piste
ghiacciate negli aeroporti, oltre agli scioperi dei treni in UK proprio nei
miei giorni della nostra permanenza lì, le partite di calcio a rischio rinvio a
causa della neve, il gelo che sta paralizzando il Regno Unito in questi giorni
(così dicevano i telegiornali italiani con una certa tendenza ad esagerare) ed
il ritardo nella consegna da parte del corriere di un nuovo paio di Adidas
comprate proprio pensando a questo viaggio, le Moss Side (e dal colore di
queste dipendeva anche la scelta di altri capi da abbinare…) che come sapete è
una zona proprio della nostra prima città di destinazione.
Manchester.
E Manchester per me, e non solo per me, significa
soprattutto Joy Division, Factory, Tony Wilson, Hacienda, Punk e football,
tutto quello di cui mi sono ritrovato a scrivere nei miei romanzi “Una Nuova
Alba” e “No Love Lost”.
In ogni caso alla fine tutto sembra risolversi, in valigia
ci sono anche le Moss Side, nonostante lo sciopero dei treni annunciato per il
venerdì ed il sabato, abbiamo trovato delle alternative per muoverci, l’aereo
parte ed atterra regolarmente di giovedì sera anche se una famosa applicazione
meteo ci accoglie a Manchester con una parola alquanto inquietante “Gelicidio”,
sono pronto al freddo, preferisco le temperature invernali a quelle estive, ma
questa definizione ci fa immaginare ad una città bloccata dal gelo ed invece
nulla di tutto questo.
Da Manchester Airport il treno ci porta a Manchester
Piccadilly dove in pochi minuti raggiungiamo a piedi (senza scivoloni nonostante
le Manchester 89 non siano esattamente adatte alle strade ghiacciate ed ancor
meno lo saranno le Moss Side!) l’albergo, un breve riposo e poi siamo pronti a
gustarci la prima birra in questa avventura mancuniana nel “Dopo Covid”,
andiamo nel vicino Wetherspoon ed ho però una piccola grande delusione… vado al
bancone tutto sicuro e, dopo aver ordinato un “Bangers and Mash”, salsiccia e
purè di patate in pratica, chiedo con un certo orgoglio e spavalderia una
Boddingtons (senza nemmeno guardare le birre esposte) per poi scoprire che il
ragazzo al di là del bancone non la conosce nemmeno e che ovviamente non ce
l’hanno… mi prendo una Abbott di consolazione, ma non capisco, in passato amici
di Preston me la avevano presentata come la “birra di Manchester”, addirittura
me l’avevano fatta trovare a sorpresa in albergo a Bolton qualche anno fa, mi
piace berla, ma ammetto di non essere un esperto ed avevo quindi sempre dato
per scontato che qui l’avrei trovata in qualsiasi angolo della città, ma poi
vorrò andarci a fondo a questa questione nei giorni successivi.
La serata è piacevole, mi piace anche solo star lì a
guardare quei ragazzi, il loro modo di parlare, di gesticolare, la quantità di
birra che bevono, l’arredamento mai banale del pub, il buio fuori, il calore
dentro, gli odori, i suoni, le voci, la gente che viene e che va.
Il giorno seguente, dopo la classica “English Breakfast”, anche a causa dello sciopero dei treni, restiamo a Manchester, e non è certo una soluzione di “ripiego” perché ovviamente Manchester è Manchester, MCR e la sua ape che trovi dappertutto, segno di identità, di orgoglio e di appartenenza a questa città rispolverato alla grande soprattutto dopo il triste attentato di qualche anno fa, il freddo c’è, impossibile negarlo, ma niente a che vedere con il gelicidio annunciato e poi il Berghaus Pole 87 è un fedele compagno di viaggio in questi casi, ci imbattiamo dapprima nei mercatini di Natale, che poi si rivelano dei “mercatoni” dato che in pratica ci accompagnano per tutto il centro città, mi piace vedere la gente del posto, le loro bancarelle così diverse da quelle che troviamo dalle nostre parti, la loro simpatia, il loro “british humor” (che nel proseguo del viaggio non sempre apprezzerò e poi ne capirete il motivo), ci sono così tanti oggetti curiosi che potremmo sistemarci con tutti i regali da fare ed ancora in sospeso.
Poi però compare Market Street e quindi anche Size?, il
famoso negozio specializzato in trainers ed in lanci di modelli esclusivi di
Adidas, ce ne sono davvero tante che fino a quel momento avevo visto solo in
foto, ma faccio un grande sforzo a non comprarne nemmeno un paio, ho appena
preso le Moss Side, che indosso proprio in quel momento, ed il bagaglio a mano
ne risentirebbe parecchio… ma poi nel centro commerciale “Arndale”, non ho lo
stesso spirito rinunciatario ed acquisto da “Scotts” un giubbetto giallo
realizzato in collaborazione dalla “Umbro” e dalla “GioGoi”, un brand di
Manchester che omaggia in modo particolare l’era dei rave, di Madchester, degli
Stone Roses, degli Happy Mondays ed anche questo capo non nasconde la sua
attinenza a certi aspetti che riguardano quel mondo.
Si prosegue poi in diversi negozi come “HMV”, dove ci sono
parecchi vinili interessanti, ma per questi ho in mente altro, ovviamente
Pretty Green, brand lanciato da un certo Liam Gallagher, un tipaccio del posto…
oltre ai classici Doc Martens, JD, Forsyth (negozio di strumenti musicali) e
l’immancabile libreria “Waterstone” dove comprerei di tutto.
Ai mercati di Natale ci gustiamo un caldo e buonissimo
“Mulled Wine” in pieno spirito natalizio ed utilissimo per scaldarci, e poi
arriviamo alla zona dei pub più famosi del centro, l’Old Wellington ed il
Sinclair’s Oyster Bar, bellissimi nel loro stile Tudor, sarebbe però troppo
azzardato anche per me fermarmi per una birra, proseguiamo quindi fino al
National Football Museum, ci vorrebbe troppo tempo per visitarlo, così lo
oltrepassiamo con qualche rimpianto e poi arriviamo al negozio “Classic
Football Shirts” in Deansgate, un paradiso per gli appassionati di maglie di
calcio storiche, c’è davvero di tutto e si potrebbe restare lì per ore, proseguiamo
poi verso la prossima meta, sulla strada trovo anche il negozio “Black’s”, non
sapevo avesse una sede qui, ci ho comprato online un paio di volte, si tratta
di abbigliamento da montagna, ma qui puoi trovare anche i giacchettini
antipioggia come quelli della Peter Storm diventati celebri negli ambienti
“casuals” per via del film “Awaydays” anche se ormai si trovano solo quelli
moderni e non i modelli classici degli anni 70-80 che ho comunque avuto la
fortuna di trovare su Ebay tempo fa.
La tappa di cui parlavo si trova in Whitworth Street ed è il
luogo dove sorgeva la mitica Hacienda, nightclub aperto ad inizio anni 80 da
Tony Wilson, già proprietario dell’etichetta discografica “Factory Records” con
la quale lanciò band come i Joy Division e gli Happy Mondays, in collaborazione
con i “New Order”, e quando in lontananza riconosco quell’edificio mi vengono i
brividi per davvero, oggi lì dentro ci sono degli appartamenti, non c’è
praticamente nulla da vedere e che ricordi quello che c’era lì una volta, ma mi
basta l’immaginazione e vedere una semplice targhetta posta vicino all’ingresso
e la scritta “Hacieda Apartments” per essere soddisfatto, il solo fatto di
essere lì è un’emozione per me. Ovviamente facciamo delle foto, scoprirò
qualche giorno dopo da un amico inglese che qualcuno si diverte a fotografare
le persone che posano davanti alla vecchia Hacienda, c’è un sito/pagina social
che riporta tutte queste foto infatti.
Ancora emozionato e forse incoscientemente un po’ deluso per
non aver trovato altri riferimenti al vecchio Club (già lo sapevo, ma chissà
perché mi ero illuso di poter trovare qualcosa di più) mi convinco a tornare
verso il centro città per poi portarci verso Oldham Street dove, dopo essere
stati al negozio di Fred Perry, ci rechiamo con altri carichi di emozioni verso
il “Piccadilly Records”, negozio di dischi storico e che mi affascina parecchio
per il fatto di aver ambientato lì una scena importante di uno dei miei libri.
Il negozio è bellissimo e pieno di riferimenti storici e,
quello che conta di più, molto ben fornito, alla fine ci restiamo dentro
parecchio tempo perché ne sono affascinato anche se poi non so nemmeno che
disco comprare, c’è l’imbarazzo della scelta, ma un paio di dischi che chiedo
non li hanno… ed allora vado sul sicuro con una raccolta contenente dei mix ed
effetti sonori che Martin Hannett, famoso produttore discografico, fece durante
delle registrazioni di prova dei Joy Division.
Dopo una breve pausa in hotel nel tardo pomeriggio ci
portiamo in Princess Street per andare al locale “Factory 251”, abbiamo infatti
due biglietti per il concerto della band post punk tedesca “Pink Turns Blue”, a
dire il vero durante la programmazione del viaggio avevo pensato di andare ad
ascoltare i “The Chameleons”, storica band proprio di Manchester, ma il loro
concerto sarebbe stato il sabato e per quel giorno abbiamo altri progetti e non
a Manchester.
In ogni caso, nonostante non distante da lì avrebbe anche
suonato Miles Kane, appena ho scoperto che in questo locale avrebbe suonato una
band post punk, pur non conoscendola bene, mi sono subito incuriosito ed ho
acquistato i biglietti dopo aver ascoltato qualche loro canzone che mi ha
convinto a farlo, ma soprattutto ero eccitato dal fatto di andare alla “Factory
251”, un locale interamente ristrutturato nel 2010 per ospitare eventi live e
serate musicali e che una volta era stato sede degli uffici della leggendaria
Factory Records, già, proprio qui ci venivano Tony Wilson, Martin Hannett, Rob
Gretton e magari pure i Joy Division, se ho ben capito tra i proprietari di
questa “join venture” c’è anche Peter Hook, bassista prima dei JD e poi dei New
Order, certo, non è il Russell Club ad Hulme dove si svolgevano i concerti
organizzati dalla Factory, ma comunque qui, appena ci entro, si respira l’atmosfera
giusta, sembra davvero di essere negli anni 70-80, il locale ed il palco sono
davvero piccoli, c’è solo un servizio bar, senza la possibilità di mangiare, ed
è molto spoglio anche se non manca qualche piccolo dettaglio che fa riferimento
alla Factory, come il famoso logo con il disegno che riproduce una fabbrica con
del fumo che esce dai forni di produzione o le classiche strisce gialle e nere
che richiamano invece soprattutto l’Hacienda.
Inizialmente c’è davvero poca gente e tutti se ne stanno al
bancone del bar o comunque indietro rispetto al palco anche quando inizia a
suonare la prima band di supporto, i “Kanaxis & Mercury Machine” che non
attirano particolari attenzioni, poi però arrivano gli “Hapax” ed il pubblico,
composto più che altro da gente vestita dark, mi rendo conto di essere l’unico
ad indossare un maglione azzurro, pantaloni beige ed Adidas colorate ai piedi,
inizia ad aumentare ed a portarsi verso il palco, ed allora penso di non farmi
fregare, essendo lì sin dall’inizio, e ci mettiamo così proprio sotto il palco
in posizione centrale sorseggiando una buona e fresca birra.
E non deludono, suonano per circa 1 ora e mezza rispolverando i loro vecchi successi mischiati con pezzi del nuovo album appena uscito, tra i miei preferiti ci sono “Walking on both sides” e “Missing you”, essendo lì proprio davanti mi godo in pieno lo spettacolo, mi sembra davvero di essere uno dei personaggi dei miei libri, Damon, quando, proprio come me in quel momento, andava a quel tipo di concerti, per qualche ora mi sento trasportato negli anni ‘80, e più precisamente nella Manchester degli anni ’80, un sogno bellissimo, chiudo gli occhi per un attimo e mi immagino di essere davvero in quell’epoca, il clima che si crea in questi ambienti è sempre fantastico, un paio di persone ci salutano ed abbracciano come se ci conoscessimo da tempo ed invece è solo l’adrenalina, la gioia di essere lì coinvolti in tutto questo, lo spirito comune di volersi divertire in modo semplice, con della buona musica e con gente che condivide le stesse passioni e che vuole vivere quelle stesse emozioni.
Quando finisce, dopo aver acquistato un disco ed una
maglietta dei “Pink Turns Blue” e dopo essermi scattato una foto alquanto
stupida in cui mostro il mio giaccone Berghaus con interni rosa ed esternamente
blu, facendo riferimento ovviamente al nome della band, possiamo andarcene, ma
non senza una certa nostalgia, sono soddisfatto e contento, ma non mi sento del
tutto appagato, vorrei vivere così, almeno ogni venerdì sera, non so se mi
basta solo questo venerdì sera.
Senza aver cenato andiamo in albergo, il concerto è iniziato
e finito presto perché alle 22.30 la Factory 251 diventa poi un club con musica
diffusa e già infatti c’erano ragazzi pronti ad entrarci per passare lì la loro
serata, mentre noi cerchiamo di riposare, dopo un cappuccino in camera fatto
con caffè solubile ed un goccio di latte con qualche biscotto, domani sarà un
altro giorno. Anzi, il giorno.
A causa dello sciopero dei treni sarebbe stato complicato
andare a Preston con i bus, avremmo dovuto cambiare a Bolton e ci avremmo
impiegato un sacco di tempo, sempre se ce ne sarebbero stati negli orari che ci
sarebbero serviti, ma per fortuna in tutti questi anni qualche buona e vera
amicizia a Preston me la sono fatta, almeno tre persone si erano infatti
offerte di venirci a prendere in macchina, alla fine è arrivato James, un
ragazzo la cui famiglia è originaria delle zone di Preston, ma che è nato e
cresciuto in Italia, prima di trasferirsi a sua volta proprio lì, per la
precisione nel piccolo villaggio di Ribchester.
Il gentilissimo James, ormai un inglese perfetto nei modi di
fare e nelle abitudini (non me ne vorrà se descrivo la sua macchina come
disordinata e confusionaria, ma almeno ho notato che ci ha appiccicato un
adesivo del North End, la batteria del suo telefono è al 15% mentre la mia la
100% ed ho anche due caricabatterie portatili), arriva a prenderci proprio in
albergo e così dopo l’abbondante solita colazione ci mettiamo comodamente in
macchina, è sempre strano sedersi sulla sinistra essendo un passeggero, ma ci
si abitua subito dopo aver percorso pochi chilometri, piove, fa freddo, le
strade sono piene di sale, mi emoziono anche solo alla vista di cartelli
stradali che indicano i nomi delle città e ad ognuna associo la sua squadra di
calcio, anche a quelle più piccole che hanno solo un Club di non league come ad
esempio Atherton e mi viene subito in mente l’Atherton Collieries.
Il tragitto dura poco più di mezz’ora durante la quale
chiacchieriamo con James della sua vita a Ribchester, del PNE e della giornata
che ci aspetta, a dire il vero ancora non sappiamo come poi torneremo a
Manchester quella sera dato che i litri di birra in corpo potrebbero spingere
il nostro amico a non avventurarsi alla guida, ma a quello ci penseremo dopo,
adesso sta per iniziare quello che possiamo definire il “Match Day” o meglio,
per ora il “Pre-Match”. Arriviamo a Preston, ed anche qui le emozioni sono tante
nel rivedere questi posti, parcheggiamo in zona Moorbrook, non distante dallo
stadio per avere poi la macchina già lì pronta a fine giornata, ed andiamo a
piedi verso il centro dove abbiamo appuntamento con degli amici, i primi ad
accoglierci sono Mark e Christine che, come ci eravamo già accordati, ci
accompagnano gentilmente al vicino “The Warehouse”, un club ancora funzionante,
dove nel 1980 ci suonarono i Joy Division, era un mio grande desiderio vederlo,
anche solo esternamente, a quell’ora è infatti ovviamente chiuso, e farmi
scattare qualche foto con la mia nuova piccola bandiera che recita proprio “Joy
Division, Preston 28 February 1980” e che raffigura un’immagine di Ian Curtis.
I nostri amici sono gentilissimi e ci raccontano di alcune
serate passate da giovanissimi in quel locale che a quanto pare è proprio un
posto storico per la città di Preston ed ancora oggi un punto di riferimento
per le serate dei ragazzi, addirittura scopriamo che la strada che stiamo
percorrendo e che porta alla chiesa “Preston Minster” è l’ultima in tutta la
città ad essere ancora ciotolata.
Andiamo poi a pub “Twelve Tellers” dove incontriamo altri
tifosi del Preston NE e qui si può ufficialmente iniziare la giornata del
football, il nostro “When Saturday Comes”, tra birre, risate, strette di mano e
pacche sulle spalle, tutto all’insegna della nostra squadra del cuore, mi sento
di nuovo finalmente a tutti gli effetti uno di loro e mi fa piacere sentire il
loro calore, la loro amicizia, quanto è diverso vivere così il giorno della partita
piuttosto che viverlo da casa davanti ad un computer, quanto mi mancavano
queste sensazioni.
Il tempo, come sempre quando ci si diverte, passa
velocemente ed allora è proprio il momento di salutare tutti e di andare a
piedi verso lo stadio, la partita, come da tradizione al sabato, inizierà alle
15, mancano pochi minuti quando intravedo i riflettori di Deepdale, la casa del
football. Capisco di essere davvero lì
quando sento urlare il classico “Program! Program” ed acquisto il classico
Match Program. Altre emozioni. Ricordi, immagini che scorrono nella mia mente,
sono agitato, per la partita, per le sensazioni, ma anche perché mi rendo conto
che entreremo in ritardo, infatti al Ticket Office, dove dobbiamo ritirare i
biglietti acquistati on line, c’è una fila abbastanza lunga da farci capire che
non sentiremo cantare “Can’t Help Falling in Love” mentre le squadre faranno il
loro ingresso in campo. Allo stesso tempo però sono quasi felice, perché sento
di vivere la partita come un comune tifoso inglese che arriva all’ultimo
momento senza l’ansia di dover arrivare molto prima per fare foto, per andare
allo shop, per prendere posto con calma, ci siamo goduti il pre partita con
birre e chiacchierate, questo è quello che per me conta, condividere questi
momenti con i tifosi, i primi anni che ci venivo la vivevo diversamente,
arrivavo molto prima allo stadio e facevo pure le foto con i giocatori che
arrivavano a Deepdale con le loro macchine, entravo prima sugli spalti per
godermi tutto sin dall’inizio, adesso, già da qualche anno a dire il vero,
preferisco viverla così, stare con i tifosi, la vera anima di ogni Club di
calcio, fare nuove amicizie, tenere strette quelle già assoldate, piuttosto che
cercare di “farmi conoscere” dai giocatori che alla fine si mettono a disposizione
per una foto o un autografo, ma che poi mai si ricorderanno di te.
Portandoci verso il nostro settore noto ammiro il murales
dedicato alla storica squadra femminile del PNE, chiamata “Dick Kerr’s Ladies”,
che giocò a Deepdale tra il 1917 ed il 1965, spesso anche con scopi benefici
durante le Guerre, e che ebbe grande successo e seguito da parte del pubblico.
Quando attraversiamo i tornelli che ci portano a salire
verso la “Alan Kelly Town End”, il settore più caldo della tifoseria del PNE
che in Italia chiameremmo “Curva”, l’adrenalina sale per davvero e la sento
forte dentro di me, appena vedo Deepdale dentro, gli spalti pieni, il terreno
di gioco, le squadre già in campo, i tifosi che imprecano o incitano, capisco
di essere lì per davvero, prendiamo i nostri posti, gli unici tre vicini
trovati in pratica in tutto il settore al momento dell’acquisto, siamo seduti,
ma l’obiettivo sarà quello di portarci nel secondo tempo più indietro, dove si
può stare in piedi e dove ci sono i ragazzi che lanciano i cori e che suonano
il tamburo.
Dopo la lunga attesa arriva il nostro turno… la “Butter Pie”
è terminata naturalmente, ripieghiamo allora sulla comunque ottima “Chicken
Pie”, un tortino, o pasticcio, bollente con un ripieno di pollo e qualche altra
cosa (o schifezza direi) che ammetto a casa non avrei mai mangiato… ma qui
tutto si può fare, torniamo, ovviamente a partita iniziata, nella Town End e
troviamo posto in alto, dove si sta in piedi e si canta, riconosco e saluto
qualche ragazzo già visto in precedenti partite e con i quali ci si sente
tramite i social, ora, qui, mi sento ancora meglio e mentre mi scaldo dal
freddo gelido con il delizioso tortino vedo la squadra faticare e poi subire il
gol dello 0-1. Imprecazioni, ma poi subito incitamento alla squadra, ci si
scalda per un semplice cross, appena la palla arriva nei pressi dell’area
avversaria i tifosi si esaltano, mi ritrovo a cantare ed a divertirmi facendomi
coinvolgere da questo spirito positivo.
Ormai manca poco alla fine del match, i ragazzi in campo ci
provano a pareggiare, ma nonostante un paio di buone occasioni non riescono a
segnare, ammetto di restare un po’ deluso nel vedere la Town End svuotarsi
ancor prima del fischio di inizio, nemmeno quelli nel settore più “caldo” dove
si cantava aspettano, restano lì in pochi, compreso il ragazzo con il tamburo,
devo dire che questo in una curva italiana non si sarebbe visto, da quello che
so e che ho vissuto gli Ultras non sono soliti a lasciare il loro posto prima
della fine. In generale, ma già lo sapevo, il tifo non è stato eccezionale,
spesso partono cori improvvisati e che nemmeno in tanti seguono, non c’è una
vera e propria organizzazione e dei tifosi addetti a lanciare cori ed
incitamenti alla squadra, e spesso l’atmosfera ne risente parecchio, ma questo,
si sa, è lo stile british, mancano anche bandiere e striscioni e sono proprio
io l’unico a fine partita ad esporre una pezza dei GBS, il Fans Club Italiano
del PNE che ho fondato nel 2010, per scattare qualche foto, non è mia abitudine
mettermi in mostra o voler far vedere che sono italiano ed infatti ormai lo
stadio è vuoto, ci sono solo gli stewards che gentilmente ci invitano poi verso
l’uscita.
Ed allora posso dare solo un ultimo veloce sguardo al campo
ed agli spalti, saluto Sir Tom Finney, Bill Shankly ed Alan Kelly, leggendari
giocatori del passato del Club i cui volti sono riprodotti sui seggiolini dei
diversi settori a loro dedicati, scendiamo le scale e ci ritroviamo fuori e
penso che è già finita, sembra essere durata così poco e nemmeno do troppa
importanza alla inaspettata e deludente sconfitta, e pensare che le aspettative
erano alte dato che il sabato precedente avevamo vinto nettamente ad Ewood Park
uno dei nostri derby contro il Blackburn Rovers.
Perché adesso è tempo di “Post Match”. Ed è la parte più bella di tutta la giornata.
Andiamo a piedi al “The Moorbrook Inn” ed appena apriamo la
porta ci troviamo lì in mezzo ad una ressa incredibile due amici “storici” come
Ian e Trevor, saluti, abbracci e, manco a dirlo, birra offerta per tutti, ed è
proprio a Trevor che chiedo come mai non si trova la Boddingtons a Manchester
così come, lo avevo notato anche nel pub del pre-match, a Preston, era proprio
stato lui infatti negli anni indietro ad offrirmela sempre ed a considerarla tra
le migliori e tipiche di queste zone, mi spiega che è in effetti un po’
decaduta e che ora è quasi impossibile trovarla nei pub, me ne rammarico, come
immagino anche lui, perché ci piaceva parecchio.
Inizia comunque la parte più divertente del nostro “When
Saturday Comes”, dopo essere stati in piedi per circa mezz’ora a chiacchierare
in mezzo all’andirivieni della gente, ogni tanto qualcuno mi saluta ed è
bellissimo sentirsi a casa, vediamo che un tavolo si è liberato, ci accomodiamo
e vado al bancone ad ordinare qualche pizza, infatti questo pub è conosciuto a
Preston per fare un’ottima pizza con forno a legna e da italiani non possiamo
fare a meno di mangiarla come avevamo già fatto anni fa. Il ragazzo al bancone
mi dice che però entro mezz’ora dovremo liberare il tavolo dato che è stato
prenotato per le 19, quando lo dico a Trevor lui non fa altro che prendere la targhetta della prenotazione e spostarla su un altro tavolo più piccolo da poco
liberatosi… problema risolto ed abbiamo così il tavolo disponibile per tutta la
serata!
Poco dopo si aggiunge al tavolo anche un altro amico di
vecchia data, Steve, e la compagnia, anche grazie alle birre, si fa sempre più
piacevole e divertente, noto che James cerca di trattenersi dal bere,
gentilmente ha infatti deciso che ci riporterà in macchina a Manchester. Good
lad!
Si parla di tutto e di più, ma dal punto di vista calcistico
la giornata va sempre peggio, infatti dopo la sconfitta del PNE assistiamo in
televisione alla vittoria dei Rovers a Carrow Road contro il Norwich, a
preoccuparsi più di tutti è James dato che Ribchester è un “feudo Rovers” ed il
giorno dopo non sarebbero di certo mancati gli sfottò nei suoi confronti!
Le pizze si confermano molto buone e come prevedibile non
mancano le battute e quindi il detto “Win or lose we booze” (più o meno “che si
vinca o si perda noi ci ubriachiamo”), diventa “Win or lose Italians having
pizza” (“che si vinca o si perde gli italiani mangiano la pizza”), la magnifica
serata mi ripaga dalla delusione per la sconfitta e quando è ora di tornare a
Manchester la nostalgia comincia già a farsi sentire, salutiamo i nostri amici,
quelli di sempre, quelli che ci sono sempre, dandoci appuntamento per la
prossima.
Il breve tragitto è comunque piacevole, amo andare in treno
in UK guardando i paesaggi scorrere attraverso il finestrino, quando si passa
da Stockport la tentazione di scendere è tanta, ma la città e pure lo stadio
(dove si svolgono la maggior parte delle vicende dei personaggi dei miei libri)
li avevo già visitati qualche anno fa, devo resistere e proseguire per raggiungere
il vero scopo di oggi, se non addirittura dell’intero weekend in terra inglese.
Arriviamo a Macclesfield, c’è un vento gelido, un po’ di
pioggerellina con acqua che pare ghiacciata e la stazione è deserta, un po’ proprio
come in quella scena di “Green Street” quando i protagonisti pensano di trovare
facilmente un taxi ed invece non c’è nessuno, sì, era proprio Macclesfield se
ricordate bene. Comunque a me non dispiace, su un ponticello che attraversa la
ferrovia domina una scritta colorata con il nome della città ed attraversando
quello stesso ponte troviamo delle immagini che ripercorrono la storia della
città, mi fa piacere vedere che l’anno 1874 viene indicato per la fondazione
del Macclesfield FC, mentre il 1979 viene citato per l’uscita dell’album “Unknown
Pleasures”, ovviamente dei Joy Division, raffigurati anche in una foto dell’epoca;
e sono proprio i Joy Division il motivo della nostra visita a Macclesfield, o
meglio, il motivo più precisamente è Ian Curtis, come saprete il cantante della
band purtroppo suicidatosi nel 1980, che è cresciuto proprio qui, ci ha abitato
con sua moglie Debbie e le sue ceneri sono deposte proprio nel cimitero
cittadino.
Nonostante il vento ed il freddo ci incamminiamo verso il centro città, si deve percorrere una breve salita, poi si arriva alla Cattedrale, la St Michael Church, che ci accoglie con un incessante suono delle campane, è domenica e il centro cittadino è animato dai mercatini di Natale, anche se molti degli espositori sono impegnati a non far volare via le proprie bancarelle e le varie oggettistiche, ci sono diversi negozi e ci ripariamo da Waterstone dove resisto dal non comprare un voluminoso libro dedicato alla storia della Factory e della Hacienda, sarebbe problematico farlo stare in valigia.
Usciti dal negozio intravediamo per la prima volta in
lontananza il murale dedicato ad Ian Curtis, ce ne era uno anche a Manchester
fino a qualche mese fa, ma purtroppo è stato poi sostituito da un altro, ci
incamminiamo ed avvicinandoci lo trovo bellissimo anche se resto un po’ sorpreso
e deluso nel vedere che è disegnato in pratica sulla facciata superiore di un
negozio di alimentari. In ogni caso è un bellissimo omaggio ad Ian e non mi
faccio scappare l’occasione di ammirarlo e di scattare delle foto, la gente
passa via senza nemmeno guardarlo, per loro è ovviamente una cosa abituale e
normale, ma non riesco ad immaginare me stesso passare via da lì senza dargli
un minimo sguardo, nemmeno se lì ci vivessi.
Effettivamente la camminata non è breve e diventa quasi un’impresa raggiungere il cimitero a causa del freddo, delle strade ghiacciate e soprattutto del vento, rischio di perdere un paio di volte il cappellino Aquascutum, poi ci arriviamo, ma la vera impresa ora è quella di trovare il luogo esatto in cui sono deposte le ceneri di Ian, direi del povero Ian visto che qui nessuno sembra dargli importanza o forse è un modo per considerarlo come un cittadino normale, uno qualsiasi, infatti non c’è nessunissima indicazione, la cerchiamo attraverso google maps ed una cartina che mi ero stampato trovata in internet, ma l’impresa è sempre più ardua anche perché alcune tombe sono in parte ricoperte dalla neve ghiacciata.
Quando stiamo per arrenderci sento qualcuno parlare, sono dei giardinieri (ed anche qui penso se con questo freddo non farebbero meglio a rimandare il loro lavoro domenicale), mi dirigo verso i due ragazzi e chiedo informazioni sulla “Ian Curtis Memorial Stone”, la risposta è sorprendente… non sanno chi sia, gli parlo dei Joy Division, gli cito la canzone più famosa “Love will tear us apart” ed ancora niente, poi per fortuna uno di loro mi suggerisce di chiedere al loro capo, un uomo più adulto, lui sa bene chi è Ian, ma è qui che, come avevo anticipato, il british humor mi ha spiazzato, infatti alla mia richiesta di sapere dove si trova Ian Curtis (ovviamente intendendo la sua tomba) la macabra ironia di questo signore gli fa dire “Mi dispiace, ragazzo, ma temo che Ian sia morto”, mi lascia senza parole, poi scoppia a ridere, ma io non riesco a fare lo stesso, ma comunque poi ci indica il punto esatto ed alla fine dobbiamo ringraziarlo per averci fatto finalmente raggiungere la tomba, una tomba triste, desolante, che mi fa rimanere male, capisco che in passato era stata trafugata due volte, capisco che i parenti di Ian probabilmente non vivano più da queste parti (compresa la figlia Natalie), ma c’è davvero una piccola pietra, un vaso con fiori appassiti, una foto che lo ritrae molto giovane, una rosa nera ed un vasetto rovesciato dal vento. Mi chiedo se Ian non meriterebbe una maggiore considerazione, magari anche da parte del comune, dei responsabili del cimitero, mi fa molta tenerezza pensare a come sia stato dimenticato proprio qui, nella città in cui ha vissuto anche nel periodo di maggiore successo con i Joy Division.
Dico una preghiera, restiamo in un silenzio rispettoso e
poi, senza voler in nessun modo danneggiare nulla o mancare di rispetto, invece
che appiccicare un adesivo plastificato che ho portato con me (riguardante il
mio libro ed i Joy Division), lo infilo nella terra del vaso principale accanto
alla foto di Ian sperando che non voli via troppo presto e che rimanga lì
almeno per un po’, un piccolissimo segno per fargli capire che gli sono vicino,
che sono venuto fino a qua per lui, sfidando anche il gelo ed il vento, di
certo non sono l’unico, chissà quanti fans prima di me ci sono venuti e quanti
ne verranno ancora, ma per me è davvero un momento forte, tante emozioni si
susseguono, ma soprattutto sono felice di aver onorato la memoria di Ian con
questa visita e vi dirò che il gelo, il vento, il cielo grigio hanno reso tutto
ancora più suggestivo, più vero e quasi mi ha fatto piacere aver dovuto fare
questa piccola fatica per portare a termine la mia missione. E’ stato un tributo
che Ian meritava, sentivo di doverglielo per quello che mi ha dato con le sue
canzoni, le sue parole, il suo modo di essere e con la sua vita per certi versi
così triste e tragicamente interrotta così presto.
Arriva il momento di salutare anche Ian, lasciamo il cimitero con una certa tristezza, mista ad un po’ di delusione, ma probabilmente è giusto così, come dicevo prima forse è la cosa migliore trattare Ian come uno di loro, uno della città come tutti gli altri sepolti qui, forse sarebbe stato sbagliato dargli più importanza perché alla fine era uno come noi, uno che non amava le luci della ribalta, un ragazzo semplice, introverso forse, uno che vuole solo riposare in pace. RIP IAN.
Sulla strada del ritorno torniamo al numero 77 di Barton Street per scattare foto migliori (il gentile signore non ce ne aveva lasciato il tempo) e per rivedere ancora quelle strade, mi sembra di essere dentro a quel film, mi sembra di essere in bianco e nero, il cielo di certo lo è e non promette nulla di buono quindi ci affrettiamo a tornare in stazione, ma…. In un angolino della strada noto una piccola freccia indicante un negozio di dischi “Vinyl Planet”, non posso far finta di niente e ci piombiamo lì, è bellissimo, porta azzurra vecchio stile, appena la apriamo entriamo in un posto fantastico, piccolo, ma pieno di oggetti, quadretti, oltre, e ci mancherebbe, a tantissimi vinili, noto subito qualche live dei Joy Division.
Il simpatico ragazzo mi chiede se cerco qualcosa di particolare e gli spiego di essere lì a Macclesfield per via di Ian Curtis ed allora mi propone proprio due dischi della band, un Live del 1979 al “Leigh Festival” e quello in Francia a Parigi intitolato “Bains-Douches”, inutile dire che li ho comprati entrambi (ne conoscevo già l’esistenza e non li avevo mai acquistati, ma come facevo a non farlo proprio lì, nella città di Ian Curtis??), gli chiedo poi se ha qualcosa degli Echo & Bunnymen e mi tira fuori proprio l’album che preferisco “Ocean Rain” che avevo inutilmente cercato anche nel più grande Piccadilly Records a Manchester.
Resto affascinato da questo piccolo Record Store trovato
così per caso nella piccola Macclesfield, la città di Ian, ne porterò sempre un
bel ricordo ed ogni volta che ascolterò questi dischi penserò a questo giorno
magico, salutiamo il ragazzo, probabilmente soddisfatto di aver venduto tre
dischi in un colpo solo, e ci incamminiamo, ma noto un altro particolare che
non posso farmi sfuggire (e del quale avevo visto qualche foto in internet, ma
non sapevo fosse lì), in pratica sopra ad un’indicazione stradale scritta su un
muro ed indicante “Diversion” (deviazione), qualcuno, che come me ama i Joy
Division immagino, ci ha aggiunto la parola “Joy” facendo così diventare quella
scritta “Joy Diversion” facendo ovviamente un chiaro riferimento ai Joy
Division.
Passando nuovamente dal centro notiamo come sia ancora più
affollato, la gente non ha paura del gelo e del vento a quanto pare e questa piccola
ed anonima (secondo alcuni) cittadina diventa ai miei occhi una bella, vivace e
colorata città alla faccia di chi pensa con pregiudizio che certi posti in
Inghilterra siano brutti e desolanti, a me è sembrata bella, nonostante
piovesse e facesse un freddo cane.
In stazione noto tanti ragazzini e ragazzine “in tiro”
pronte a prendere il treno per passare la domenica pomeriggio nella grande città,
Manchester, mi sembra di rivedere me stesso alla loro età quando dal mio
paesino andavo in treno a Milano, ma li invidio, avrei di gran lunga preferito
essere stato qui.
Chiudiamo la giornata ed il weekend in giro per il centro di
Manchester, andiamo pure alla Cattedrale dove mia moglie, con grande pazienza,
mi scatta un paio di foto nella stessa posizione in cui venne scattata una foto
storica ai Joy Division, ultimo sfizio tolto in questa mini vacanza, anche se
mi sono perso ad esempio l’Epping Walk Bridge, altro punto storico dove i Joy
Division vennero fotografati su quel ponte innevato, ma è un po’ troppo lontano
dal centro, siamo stanchi e ci meritiamo un po’ di riposo ed una cioccolata
calda da Starbucks, luogo in cui, almeno in Inghilterra secondo la mia esperienza,
si può ancora fermarsi per rilassarsi, sorseggiare qualcosa di caldo e magari
anche leggere un libro.
Nonostante le premesse inziali sono riuscito a fare quasi tutto quello che mi ero prefissato, ma questo è stato possibile soltanto grazie alla compagnia di Silvia, all’aiuto di James ed all’affetto ed amicizia trovate dai tifosi del PNE, ma anche da quel signore a Macclesfield o da quegli sconosciuti alla Factory 251.
Conserverò tantissimi ricordi davvero belli di questo viaggio,
tornare a Manchester, vedere dove sorgeva l’Hacienda, andare al concerto, fare
il mio ritorno a Preston ed a Deepdale ritrovando tanti amici e sostenendo
finalmente dal vivo la mia squadra del cuore, ma quello che mi porterò per
sempre dentro è soprattutto quella piccola pietra in quel freddo cimitero a
Macclesfield.
Finalmente ho reso omaggio ad un ragazzo che stimo e che
nonostante tutto mi ha dato tanto. Grazie Ian.
Ah beh, sì, una cosa mi è mancata di certo, una bella e fresca Boddington!
E poi, una volta arrivato a casa, non so come, ma quella targhetta con la prenotazione del tavolo che recita "Tracy 07.00" me la sono ritrovata nello zaino... sicuramente opera di Trevor, ed è già nella mia mansarda come uno dei ricordi del viaggio!