martedì 29 maggio 2012

Le 4 spine che punsero il Celtic.


Si chiama Partick Thistle Football Club ma con l'omonimo quartiere di Glasgow non ha più niente a che fare dal 1908. Da quando lo stadio delle origini il Meadowside ground, usato dalla fondazione del 1876, fu demolito per fare posto a un granaio. Quei modesti pedatori dovevano fare spazio all' operosa e fervente Glasgow di inizio secolo. Porto, cantieri, fabbriche e ciminiere. Se lo cercate dovrete spostarvi di qualche chilometro a nord est, esattamente nella zona di Maryhill. Fra vecchi edifici vittoriani di fine ottocento. Pietra arenaria, soffitti alti, e ringhiere nere spesso fradice di pioggia. Quartiere relativamente benestante e socialmente variegato con una forte connotazione studentesca per la presenza nelle vicinanze, della Glasgow Strathclyde University e vari campus universitari. Il quartiere dell' oasi verde di Ruchill Park e del Firhill Stadium, la casa del Partick Thistle.



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La tana dei “Jags”. Uno stadio con un piccolo record. Nel 1955 infatti gli svedesi del Djurgarden a causa dell'ondata di gelo che aveva colpito il paese decisero di giocare la loro partita casalinga contro l'Hibernian proprio al Firhill Park di Glasgow, e lo stadio del Partick diventò così il primo impianto scozzese ad ospitare un match della coppa dei campioni. Una delle più importanti squadre di Glasgow dopo i giganti dell'Old Firm, il Partick Thistle adottò all'inizio la maglia blu navy con il cardo sul petto, mutuandola da quella della nazionale. La divisa fu abbandonata nel campionato 1936/37 sostituendola con il kit giallo-rosso-nero attuale preso in prestito dalla squadra di rugby del West of Scotland. Da allora non si cambierà più, e oserei dire fortunatamente. Solo per la recente commemorazione del centenario a Firhill, il club ha deciso di rispolverare per una stagione la maglia delle origini. La disomogenea composizione del quartiere ha favorito una marcata “libertà religiosa” di cui i tifosi ne vanno molto fieri e le loro canzoni lo rimarcano spesso. D'altro canto le vittorie da ricordare agli avversari non sono molte, ma questo è un problema che in Scozia goliardicamente parlando hanno quasi tutti i club... Ma c'è un successo che tutti ricordano, che ha fatto scalpore, e messo il club sotto la luce dei riflettori. Si tratta della famosa vittoria nella Scottish League Cup del 1971 contro il Celtic.



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Sabato 23 ottobre 1971. Le parole di chiusura di Sam Leitch su “Focus Football Tribune” furono più o meno queste: “Oggi si gioca la finale di Coppa di Lega fra il Celtic e il Partick Thistle e questi ultimi ovviamente non hanno alcuna speranza”.
In tutta verità veramente nessuno avrebbe potuto dissentire da questa affermazione. Chi poteva obiettare? Il grande Celtic di Jock Stein era nel bel mezzo di un regno che lì aveva già portati non solo a dettare legge in patria ma anche a vincere la Coppa dei Campioni nel 1967, e solo l'anno precedente avevano perso la possibilità di bissare il successo di Lisbona perdendo malamente la finale di San Siro contro il Feyenoord. Una squadra piena di campioni di livello internazionale come Jimmy Johnstone, Kenny Dalglish, Bobby Murdoch, Tommy Gemmell, e Davie Hay. Eh si, probabilmente Sam aveva ragione, il Thistle si sarebbe dovuto inchinare ai biancoverdi. I ragazzi di Davie McParland erano saliti da poco in prima divisione con un età media di appena 22 anni. In molti gicavano full-time, ma c'era anche chi aveva ottenuto la qualifica di elettricista, Jackie Campbell per esempio era un disegnatore, Frank Coulston l'attaccante un insegnante di educazione fisica, e il giovane Denis McQuade stava studiando filosofia all' Università di Glasgow. Nel cammino verso Hampden avevano avuto la fortuna di incontrare squadre di rango medio-basso come l'East Fife, il Raith Rovers, l'Arbroath, Alloa, St. Johnstone e infine il Falkirk in semifinale.
Ad Hampden Park sono in 62.470 la sera della finale. In tribuna anche Alan Hansen 16 anni fratello del terzino John Hansen del Thistle. Quell'Alan che ha esordito proprio con il Thistle nel 1973 per poi fare le fortune del Liverpool qualche anno dopo. I giocatori del Partick non avevano neppure voglia di uscire dal tunnel degli spogliatoi per il riscaldamento di rito. Troppa paura, troppo timore reverenziale nei confronti dei campioni affermati del Celtic. Non volevano incrociare i loro volti, i loro sguardi, temevano che lì avrebbero guardati dall'alto in basso, che gli avrebbero presi in giro. Quando finalmente si decisero a saggiare il terreno di gioco, Lou Macari del Celtic andò loro incontro sorridente dicendogli: “Beh almeno andrete a casa con una bella medaglia d'argento..” Malizioso o gentile? Questo non lo sapremo mai.
Poi l'attesa del fischio d'inizio. Il nervosismo, le parole del manager, i gesti scaramantici, il respiro affannoso, le mani dell'massaggiatore, forti e sicure, i muscoli che riacquistano vigore ed energia, e le maglie gialle da indossare e onorare. Il brusio e i canti della folla in sottofondo. Ma ora basta si gioca, il saluto, la stretta di mano. Alla fine le partite vanno giocate. Nonostante la forza degli avversari, tutto è ancora da decidersi, nel gioco labile e sottile delle possibilità. Quando si batte il calcio d'inizio, è un po' come gettare i dadi in aria, come pescare una carta, in fondo a volte i sogni si avverano, a volte non naufragano nelle illusioni. Fu una serata magica, di dolci memorie, quasi di commozione. Come una serata a teatro. E nel teatro di Hampden gli attori vestiti di giallo rosso dopo soli 37 minuti stanno conducendo per 4-0. Rea, Lawrie, McQuade, e per finire Jimmy Bone. Incredibile.




Nel secondo tempo Dalglish firmerà a venti minuti dal termine il goal della bandiera per il Celtic, mentre molti tifosi dei Bhoys iniziano già a sfollare delusi, e all'interno di Hampden incomincia a spuntare qualche tifoso dei Rangers che non poteva mancare all'umiliazione degli eterni rivali. La festa che ne seguì per le strade di Maryhill, fu di quelle da ricordare. Brividi che entrano nel cuore, sensazioni, e frammenti di storia che fanno impallidire questo volgare presente. Era il 23 ottobre 1971, il giorno in cui il cardo punse quattro volte il Celtic.


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di Sir Simon

Giant Killer? Sutton United 1989..


Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti in cui i piccoli battono i grandi. Ogni volta è sempre un emozione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal del più debole è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. E' forse non c'è teatro migliore per queste rappresentazioni che quello della celebre FA Cup. La coppa che parte dai piccoli stadi periferici delle grandi città, da quelli sperduti nella campagna inglese, piano, piano, senza fretta scalando la piramide, fino alle luci abbaglianti di Wembley.
Non spostiamoci troppo da Londra. Scendiamo a Sutton. Difficile capire dove finisce la Greater London e comincia il Surrey. Si perché un tempo la cittadina faceva parte proprio dell'antica contea del Surrey. Una striscia sabbiosa chiusa fra l'argilla del nord e le colline gessose del sud.
Ed è ancora più difficile trovare il Borough sports ground in Gander Green Lane ovvero la casa del Sutton United. Anno di fndazione 1898. Maglia gialla e un crest bellissimo derivante dallo stemma di medievali memorie del borough of Sutton. Un club che incarna molto bene lo stereotipo del piccolo club di non-league. E delle storie che questi sodalizi si portano dietro. Ma abbiamo iniziato parlando di poesia. Eccola. Il Sutton United è stato l'ultimo club non professionistico a eliminare dalla FA Cup una squadra della massima serie. E in quel giorno non una squadra qualunque. Il 7 gennaio 1989 gli Us eliminarono nel terzo turno niente meno che il Coventry City, che appena due anni prima aveva sorpreso tutti conquistando il trofeo in una storica finale contro il Tottenham Hotspur.
Una reputazione quella del Sutton prima della stagione 1988/89 che parlava di vittorie nella Athenian League di cui furono membri fino al 1963, quando si unirono alla Isthmian League. Avevano giocato a Wembley per tre volte, nel 1963 (perdendo contro il Wimbledon nella FA Amateur), nel 1969 (quando hanno perso ancora contro il North Shields) e nel 1981, quando sono stati sconfitti nella finale di FA Trophy contro i “vescovi” di Stortford. Il Sutton poi suscitò una buona impressione nella stampa nazionale nel 1970, quando riuscirono a raggiungere il quarto turno proprio in FA Cup, battendo Dagenham, Barnet e Hillingdon Borough, strappando un clamoroso pareggio casalingo con il Leeds United, uno dei giganti del calcio inglese e europeo del momento. Ad Elland Road di fronte a una folla di 14.000 persone, tuttavia, furono battuti nel replay per 6-0 dalla squadra di Don Revie. Nel 1979 ecco invece l'affermazione nell'originale torneo anglo-italiano. La loro parabola cominciò a cambiare a metà degli 80. Prima del 1986, i posti in seno alla Conference erano stati disponibili solo a squadre del Sud e della Nord Premier League, ma dal 1986 è stato permesso alla Isthmian League una terza promozione, e il Sutton United è stata la prima squadra ad approfittarne, vincendo il titolo per la seconda stagione di fila (e la terza volta in totale). Una volta nella Football Conference, nel 1988 in FA Cup, hanno ottenuto il terzo turno della competizione, battendo Aldershot e Peterborough United prima di perdere nella ripetizione contro il Middlesbrough.
Ma nel 1988/89 vale a dire l'anno seguente, dopo essersi imposti sul Walton & Hersham, Dagenahm, e Aylesbury United, si riaprirono le porte del third round. Il sorteggio disse partita in casa contro il Coventry City. Un club, che al momento, poteva vantare una ventennale presenza in First Division. Gander Green Lane deve essere stato un luogo inospitale per le stelle degli Sky Blues in quel freddo pomeriggio ventoso del gennaio 1989, fra piccole tribune dietro le quali si ergevano alberi spogli. Il Coventry poteva contare su almeno sette giocatori che avevano vinto la FA Cup due anni prima, ma dopo un periodo iniziale di pressione, divenne presto evidente che il Sutton non sarebbe stato intimidito dal loro prestigio. Il centrocampo degli uomini di Barrie Williams chiusero ogni passaggio, ogni varco, mordendo le caviglie e non concedendo tempo e spazio al Coventry City per sviluppare trame pericolose. La migliore occasione nelle fasi iniziali fu allora proprio dei gialli con Matthew Hanlon, il cui tiro basso venne respinto da Steve Ogrizovic. Fu l'avvisaglia del pericolo. Sul corner di Mark Golley, Tony Rains, il capitano, colpisce di testa dopo la spizzicata di un compagno, regalando incredulo il goal ai suoi. E' il 42° del primo tempo, e sul punteggio di 1-0 si chiude la prima frazione.
Ma l'ebrezza del vantaggio durò appena sette minuti dall'inizio del secondo tempo. Dave Bennett poco ostacolato dai giocatori di casa trova Steve Sedgley, il cui tocco si infila tra due difensori servendo David Phillips che batte Trevor Roffey comodamente. Ma Matthew Hanlon, che aveva avuto una buona occasione anche nel primo tempo, coglie impreparata la difesa del Coventry, e sullo spiovente proveniente da un lancio dalla tre-quarti susseguente a un calcio d'angolo, spara da distanza ravvicinata, per il 2-1. Alcuni minuti dopo, lo stesso Hanlon avrebbe potuto mettere la partita in ghiaccio, con un bel tiro al volo dal limite dell'area. Il Coventry ovviamente non ci sta. Comincia a spingere in avanti nella caccia disperata almeno di un pareggio per salvare la faccia e ottenere il replay ad Highfield Road. Cyrille Regis vede il suo tiro brillantemente salvato da Roffey. Keith Houchen e Steve Sedgley colpiscono addirittura la traversa, mentre un colpo di testa di Brian Kilcline si spegne sul fondo dopo il prodigioso salvataggio del terzino Robin Jones. Il Forte Alamo alla fine resiste a tutti gli assalti dei nemici. Quando il signor Alf Buksh fischia la fine, la folla invade il campo per festeggiare la grande impresa. Il Sutton quella sera era cinque divisioni inferiore al Coventry, ma la magia del calcio voleva scrivere un altra poesia. E la magia fa miracoli.




7 gennaio 1989 Borough Sports Ground
Sutton Utd:
Roffey, Jones, Rains, Golley, Vernon, Rogers, Sthepens, Dawson, Dennis, Mc Kinnon, Hanlan
Coventry City:
Ogrizovic, Borrows, Phillips, Sedgley, Kilcline, Peake, Bennett, Speedie, Regis, Mc Grath, Smith.
Referee: Alf Buksh
Att. 8000. goal: 42° Rains, 52° Phillips, 59° Hanlan.





di Sir Simon

Kirkcaldy. Lampi di gloria


La chiave di ferro è enorme e pesantissima. Ma a che serve chiudere la porta, a che serve nascondersi? Lui, se vuole, verrà. Ora, che le grandi vetrate a sesto acuto incorniciano la notte, ora che sospiri di vento entrano accompagnati dal buio, ora che tendendo l'orecchio si avverte uno scricchiolio di legno calpestato e l'eco lontano di una campana. E' quella della torre normanna dell'Old Parish Church. Un rintocco, bronzeo e lugubre. E' mezzanotte in punto.
La pioggia è cessata, ma pesanti nubi preannunciano altri piovaschi, mentre le raffiche che soffiano dal mare del Nord avvolgono la cittadina in una morsa invernale. In altre parole, è la tipica giornata che avrebbe scoraggiato chiunque, anche gli espositori dell' Links Market, la fiera che si svolge qui annualmente dal 1305, sulla strada più lunga d'Europa. Lui è il fantasma di Adam Smith, filosofo e padre dell'economia moderna nato nel 1723 e morto a Edimburgo nel 1790. Gli spiriti tornano sempre nei luoghi dell'infanzia. La città è Kirkcaldy, il più grande centro della contea del Fife conosciuta anche come The Toun Lang (Town Long) in Scozzese. Il nome deriva dal originale evoluzione urbanistica della cittadina in una sottile striscia di case parallele al litorale.
Daniel Defoe l'autore del celebre romanzo Robinson Crusoe la definì come “One street, Onte mile long”cioè una strada lunga un miglio. Disposta esattamente sul fianco di un braccio di mare che si insinua nel cuore della Scozia fino a stringersi e stemperare la sua forza in una sinuosa vena in prossimità di Stirling. Da allora Kirkcaldy si è sviluppata ulteriormente su e giù per la costa, ma anche ampiamente entroterra, per cui il termine "Toun Lang" ora è solo un riferimento alla sua iniziale particolare forma...
Ma questo singolare aspetto allungato dell’insediamento, giustificato dal fatto che, anticamente, non si trattava di un unico centro, bensì di una serie di città e villaggi allineati lungo le coste del Forth, poi riunitisi appunto nell’attuale Kirkcaldy, fu merito di una donazione da parte dei monaci dell’abbazia di Dunfermline nel 1365. Per far nascere un borgo unico, a patto che tra i centri si stabilisse un patto di mutuo soccorso per proteggersi a vicenda dai predoni, che spesso scendevano dalle terre del nord e attaccavano la zona. Successivamente, nel 1661, Carlo II nè confermò il rango di borgo reale. Da quel momento in poi l’agglomerato crebbe intorno al porto, accanto alla bocca dell’East Burn, espandendosi velocemente nel corso del XIX secolo e progredendo rapidamente nello sviluppo dell’industria tessile, del linoleum e del carbone. Nel 1980 il centro storico cittadino venne designato come preziosa testimonianza, da conservare per la sua bellezza e il suo valore. Il maestoso Castello Ravenscraig, edificato nel XV secolo da Giacomo II sulle alture di Kirkcaldy, fu una delle prime roccaforti in grado di fornire una discreta protezione dal fuoco dei cannoni. Che dite potrebbe fare al caso nostro? In che senso direte voi?
Beh, perché a Kirkcaldy abbiamo una squadra di calcio fondata nel 1883 che gioca con una meravigliosa maglia navyblue, e sul petto porta un fiero leone rampante rosso, coraggioso e nobile. Il Roary Rover. Simbolo del Raith Rovers FC.
Nell'antico gaelico scozzese la parola “Rath”significava forte o comunque residenza fortificata, ecco perché forse a Kirkcaldy hanno scelto questo appellativo alla loro squadra, rifacendosi alla possenza della rocca di Ravenscraig. Anche se le nebbie della storia non si sono del tutto dissolte e tutt'oggi ci sono ancora piccole controversie sull'etimologia del nome del club. Un episodio curioso è datato 1967 quando un commentatore della BBC David Coleman dopo che i Rovers avevano battuto allo Stark's Park il Queen of the South per 7-2, esclamò convinto: “Ci sarà un mucchio di gente in giro a festeggiare per le vie di Raith”. Una delle gaffe televisive peggiori della storia. Quelle vie, quelle di Kirkcaldy ovviamente, di festeggiamenti in ambito calcistico non ne hanno visti molti, ma ci furono degli anni, esattamente fra il 1993 e il 1995 dove i Rovers si conquistarono pagine importanti sui principali giornali sportivi, e sopratutto si portarono nel proprio museo il trofeo più importante mai vinto nella storia di questo sodalizio: La coppa di Lega del 1994. Nella stagione 1992/93 le ambizioni del club apparivano piuttosto modeste ma l'arrivo nel 1990 a Stark's park del player manager Jimmy Nicholl infuse lentamente la chimica giusta a una squadra che a sorpresa nel 1993 vinse la First Division scozzese, fra l'altro eguagliando il record del massimo vantaggio sulla diretta inseguitrice (11 punti), restando imbattuti in casa e mettendo a segno 85 goal totali, 33 dei quali siglati da Gordon Dalziel, eletto non solo capocannoniere ma anche giocatore dell'anno. Terzo in classica in ambito di reti messe a segno in quel torneo un altro rovers, Craig Brewster, che poi in virtù di quelle prestazioni si accasò al Dundee United. Nessuna sirena invece per Jimmy Nicholl che invece rinnovò il contratto con il team di Kirkcaldy per altri due anni. Forse aveva annusato di già il profumo della gloria, più intenso e dolce di quello spesso acre e prepotente del denaro. Micheal James “Jimmy Nicholl” nasce nel 1956 in Canada nella regione dell'Ontario e le sue origini di genitori Nord irlandesi lo porteranno in carriera anche a vestire per 73 volte la maglia verde della nazionale di Belfast. Nicholl è un “rosso” difensore che morde bomber e talenti e che fra giovanili e prima squadra resterà oltre dieci anni alla corte del Manchester United con cui vincerà un FA Cup nel 1977 e ne perderà una nella famosa finale del 1979 contro l'Arsenal. Ma il fiore all'occhiello resterà la già citata coppa di lega del 1994 vinta alla guida del piccolo Raith Rovers. Si vince con la tenacia, con la bravura, con gli uomini giusti e con un pizzico di fortuna. Quel Rovers era una miscela di tutte queste cose. E senza far torto a nessuno qualche nome è giusto citarlo. Come per esempio Shaun Dennis, difensore nativo proprio di Kirkcaldy, 245 presenze e 6 centri, uno spietato esecutore d'ordini, compassato e istrionico. Colin Cameron detto “Mickey” anche lui nato e cresciuto sotto le ombre discordi delle tribune dello Stark's, centrocampista operaio, chiavi, cacciaviti e sudore. In ogni club in cui ha giocato il suo impegno alla causa non è mai venuto meno. Lascierà i Rovers nel 1996 con 32 reti messe a segno. Jason Dair sguardo da bravo ragazzo diplomato in geometria del centrocampo e dotato di un discreto palleggio. Stephen “Stevie Crawford classe 1974, all'epoca poco più che ventenne, la primavera che sboccia e che regalerà 22 fiori al giardino del Raith. E poi come non ricordare Gordon Dalziel, 170 goal in otto anni. In campo sembra un attore che interpreta una parte in una tragedia, fra lo spaccone e l'ingenuo. Recita si, ma più che altro sotto rete, è l'area di rigore e il suo palcoscenico preferito. Il cammino verso la finale di Ibrox, in quanto lo stadio nazionale di Hampden era in ristrutturazione, vede i successi contro il Ross County in trasferta per ben 5-0, l'affermazione casalinga sul Kilmarnock per 3-2, la vittoria fuori casa sul St. Johnstone per 3-1, e infine furono i tiri dal dischetto (5-4) nella semifinale giocata al Mc Diarmid park contro l'Airdrie United a spedire il Raith Rovers a Glasgow. Per la cronaca i tempi regolamentari si erano chiusi sull'1-1.
Da Kirkcaldy la mattina del 24 novembre 1994, partiranno in 10000 alla volta di Ibrox, carichi più di birre e d'allegria che di speranze concrete. Dovranno vedersela con il Celtic di Nicholas e Mc Stay, con il Celtic dell'icona Tommy Burns in panchina. Dovranno vedersela con l'anima cattolica e irlandese di Glasgow che vincendo la coppa nel tempio degli storici rivali si toglierebbero una doppia soddisfazione. Ma il Celtic non vinse, ci andò molto vicino, ma una volta tanto gli dei del calcio si fecero beffe dei suoi semidei terreni. Il giovane talento Crawford al 19° del primo tempo porta in vantaggio il Raith Rovers, poi però al 32° una carambola da flipper nell'area di rigore degli uomini di Nicholl consente alla testa di Walker di pareggiare per i biancoverdi e attutire la crescente esuberanza dei Rovers. Nella ripresa le gerarchie sembrano ripristinarsi definitivamente a sei minuti dal termine quando Charlie Nicholas, funanbolo talentuoso tornato a Parkhead dopo sopratutto la grande esperienza londinese all'Arsenal, segna ribadendo in rete una palla precedentemente finita sul palo. E' finita? No. Perché lui non vuole. Lui è il già citato Dalziel. Due minuti dopo il goal di Nicholas, in un Ibrox Park quasi totalmente occupato da tifosi del Celtic già festanti, gira le luci della gloria. Il suo colpo di testa ravvicinato che sfrutta la corta respinta di Marshall è quasi una sorta di inchino alla fortuna. Siamo 2-2, ma i tempi supplementari saranno un inutile prolungamento in vista delle emozioni dei calci di rigore. E l'emozione più grande è quando il tiro di Paul Mc Stay viene respinto da Scott Thomson che poi corre quasi incredulo verso la sua panchina voltandosi a destra e sinistra, come per capire se fosse tutto vero. Era vero, quella fu la parata decisiva, il Raith Rovers aveva vinto la coppa di lega. Ma per la cittadina del Fife le emozioni non erano finite. L'anno successivo in una storica apparizione in coppa UEFA, i Rovers superarono anche i primi due turni per poi pescare nell'urna di Ginevra i tedeschi del Bayern Monaco. La partita di andata si giocò per motivi di incasso e sicurezza all' Easter Road di Edimburgo e vide il successo dei rossi di Germania per 2-0. Ma nella gara di ritorno giocata all'Olympiastadion, Danny Lennon portò clamorosamente in vantaggio gli uomini in maglia blu. Nel secondo tempo Klinsmann e Babbel rovesciarono il risultato, ma quella sera a Monaco e a Kirkcaldy si cantò lo stesso:

Take my hand,
Take my whole life too.
For I can't help,
Falling in love with you.


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di Sir Simon