sabato 6 ottobre 2012

Quando il "Paisley" era di moda.


Ha smesso di piovere. Il vento ora spinge velocemente le nubi, crea ampi spazi al sole desideroso di scaldare questa terra che fatica a conoscere l’estate. L’orizzonte si è ridisegnato con la sagoma neogotica dell’Abbazia cluniacense dove a qualche metro scorrono le acque grigie del fiume Cart. Il pub è accogliente e il nome è tutto un programma: The Wallace. Causeyside Street, Paisley. Davanti a me una pinta di Tennent’s Super con le sue sfumature di rame e la sua schiuma non eccessivamente compatta che tende a sparire dopo qualche minuto. L’esterno è di un blu anticato, l’interno è elegante e spazioso, un misto di vecchio e nuovo con il bancone in legno come si conviene, e con lo stesso legno usato per l’arredo. Tavolini rettangolari o quadrati con quest’ultimi un po’ più bassi, divanetti imbottiti di un color marrone scuro, e sedie con la seduta in pelle, fissata con chiodi d’ottone dalla testa semisferica. La tappezzeria non poteva eludere il celebre tessuto dal nome della cittadina ovvero il “Paisley”, disegno dalle origini orientaleggianti che rappresenta il germoglio della palma da dattero, che s'impose nella moda, e regalò notorietà e lavoro alle industrie tessili della zona nei secoli scorsi. Luci soffuse, con lampade in stile e pavimento in legno a lisca di pesce e qualche delicata moquette nei punti giusti. Non ci sono i vetri istoriati, e qualcos’altro di troppo moderno c’è, ma oddio alla fine sono peccati veniali, e poi basta non farci troppo caso. Beviamoci la nostra birra, appoggiando delicatamente il bicchiere alle labbra, come per un tenero bacio. Non a caso dobbiamo andare a Love Street. Tappa obbligata se vogliamo conoscere meglio il St. Mirren FC e la sua squadra di calcio. A Love Street c’erano i campi di Fullerton Park e il vecchio stadio dove i “Buddies” hanno giocato la loro ultima partita il 3 gennaio 2009 contro il Motherwell. Finì 0-0 ma a vincere fu la palpabile tensione emotiva degli oltre diecimila presenti sulle tribune, che davano l’addio alla casa di una vita. Un impianto costruito nel 1894 e che per ben 115 anni ha accompagnato le gesta dei bianconeri del St. Mirren. Come quella volta contro il Celtic in Coppa di Scozia il 20 agosto 1949 quando le presenze registrate furono 47.438. Oppure trent’anni dopo, ancora contro i cattolici di Glasgow nel replay del quarto turno sempre della coppa nazionale, con il più ridotto dato di 27166 paganti, ma che mandò comunque completamente in tilt gli organizzatori, con la formazione di enormi code all’ingresso. Nel 2007 la terra è stata venduta alla Tesco per la creazione di un supermercato, e con i proventi il St. Mirren si è costruito un nuovo stadio qualche miglia più a ovest. Siamo ad appena 12 km dal centro della grande Glasgow, nel cuore delle Lowlands scozzesi, a nord delle verdi colline di Gleniffer Braes. Sembra che le origini dell’abitato siano di genesi monastica. Fu infatti il monaco irlandese San Mirin a edificare una prima cappella a cavallo tra il VI e il VII secolo accanto alla suggestiva cascata del Cart. San Mirin, St. Mirren, accostamento inevitabile ed il gioco è fatto. In tutti i sensi. Infatti nel 1877 un gruppo di gentiluomini dediti a Cricket e Rugby fondano anche un sodalizio calcistico che sarà battezzato proprio con questo nome, e che debutterà il 6 ottobre di quello stesso anno contro il Britannia Shortoods vincendo per 1-0. A questo punto accavallare date e aneddoti diventa dispersivo e forse nemmeno completamente esauriente, meglio concentrarci su uno degli episodi che hanno contraddistinto il dipanarsi della storia di questo club. Senza però tralasciare il fatto che nel 1890 il St.Mirren, divenne uno dei soci fondatori della federazione calcio, un dato ancora più significativo alla luce dei nostri tempi se si considera che oggigiorno solo cinque dei membri originari sopravvivono nella massima serie. La stagione che vorrei prendere in considerazione è quella relativa al 1986/87 ovvero l'anno dell’ultimo successo della squadra di Paisley in coppa di Scozia. Una delle poche vittorie nella bacheca del club, ma a dirla tutta alla resa dei conti a nord del Vallo di Adriano, battere l’egemonia dell’Old Firm è impresa di non poco conto. Si trattò del terzo successo nella manifestazione dopo quelli ottenuti nel 1926 e nel 1959. Ma prima scivoliamo un attimo nell’aneddoto, solo per cercare di chiarire la nascita sempre importante e affascinante dei colori. La prima maglia del club si presentava con una tonalità blu- scarlatto, ma fin da subito nel 1883, si passò alle strisce bianconere, dapprima orizzontali, poi verticali. Se non ci sono dubbi sugli anni del cambiamento cromatico, resta una simpatica disputa sul perché della trasformazione. Una teoria sostiene che le strisce rappresentino i due nomi del corso d’acqua che attraversa l’abitato, vale a dire il “White Cart” e il “Black Cart”. Negli ultimi anni però si è fatta strada l’ipotesi che siccome i monaci della locale abbazia indossavano un abito talare esattamente di questi colori, ecco svelato il motivo della scelta societaria. Meno dibattuto, è ben riconoscibile invece il crest dei bianconeri, che rappresenta la caratteristica coat of arms cittadina che fece la sua prima comparsa sulle maglie durante la seconda guerra mondiale. Nel 1987 il St. Mirren era allenato da Alex Smith, occhi a fessura e sorrisetto malinconico, uno nato a Cowie un villaggio di minatori non molto distante da Stirling. E sarà proprio giocando per le giovanili dell’Albion che stringerà amicizia con Billy Bremner la grande futura colonna della nazionale scozzese e del Leeds United. Quando Bremner si sposò Alex fu invitato al matrimonio come testimone di nozze. Stirling segnerà una buona parte della sua carriera e sarà da lì che nel dicembre del 1986 a stagione in corso approda a Love Street. Sembrava una stagione come tante altre quella per i “Buddies”, l’ennesima da consegnare agli annuali senza niente di speciale da segnalare se non una modesta e tranquilla salvezza in prima divisione che Rangers e Celtic si stavano ancora una volta contendendo disturbati solo dallo straordinario periodo del Dundee United di Jim McLean, che incredibilmente quell’anno raggiunse la finale di Coppa UEFA, battuti con molte recriminazioni dagli svedesi dell’IFK Goteborg. Ma quando il 31 gennaio inizia la Coppa di Scozia si intuisce subito che il cammino verso Hampden poteva portare qualche soddisfazione. Il St. Mirren veleggiava in una comoda posizione di metà classifica senza causare problemi a quelli del “piano di sopra”, ne tantomeno averne da quelli dei bassifondi. Le notizie più importanti che caratterizzarono le discussioni nei pubs di Paisley prima del match casalingo contro l’Inverness Caley erano sostanzialmente due. La prima era appunto la curiosità dell’arrivo di Alex Smith al posto di un altro Alex, Alex Miller che si era accasato all’Hibernian dopo comunque aver plasmato un ottima squadra e lasciato il dolce ricordo di una bella vittoria europea a Love Street per 3-0 contro lo Slavia Praga nel 1985. L’altra notizia erano i 3 cartellini rossi rimediati da Billy Abercromby in una partita di campionato con il Motherwell che gli valsero ben 12 giornate di squalifica. Episodio disdicevole per un giocatore che in pratica ha regalato tutta la sua carriera a questo club, ma che evidentemente qualche piccolo problema caratteriale ce l’aveva se si considera che negli anni successivi è stato coinvolto in pesanti problemi di alcolismo. Alex Smith ebbe la grande capacità di leggere dentro la testa del ragazzo e di riportarlo alla tranquillità. Abercromby era un centrocampista robusto dal baffetto accennato, che comunque in coppa avrebbe potuto giocare, e ripagò le attenzioni del manager con prestazioni di ottimo livello. Contro l’Inverness finì 3-0 grazie ai goal di Kenny McDowall, Frank McGarvey e Ian Ferguson. Il sorteggio del quarto turno accoppiò il St. Mirren ai rivali di Greenock. A quel Greenock Morton che sull’ estuario del “Firth of Clyde” stava aspettando i bianconeri per tentare di festeggiare quello che poteva divenire un evento da ricordare. La partita si sarebbe giocata il 21 febbraio al Cappielow Park. Un goal di Paul Chalmers su un errore piuttosto pacchiano di un difensore del Morton, porta i Saints in vantaggio quasi subito, ma la squadra di casa ovviamente non ci sta. Reagisce e trova la parità con Rowan Alexander poco prima della chiusura del primo tempo. L’atmosfera è ovviamente meravigliosa. I tifosi di casa cantano “Hullo, Hullo, we are the Morton boys” mentre nella terrace riservata a quelli arrivati da Paisley si intona “The Buddies Came Roaring Back”. Su tutti incombe l’immancabile cielo grigio di Scozia che non prometteva niente di buono. Come il goal su rigore del Morton realizzato da McNeil che in apertura di ripresa porta in vantaggio i “ton”. Ma arriva un altro penalty e questa volta è a favore del St. Mirren. Dal dischetto pareggia Ferguson, dopodiché sarà ancorà Chalmers l’attaccante nativo di Glasgow dalla fronte alta e dall' iconico capello anni ottanta, a dare la gioia della vittoria nel derby in trasferta ai propri tifosi con conseguente passaggio del turno. Per i quarti di finale sarebbe occorso ancora un viaggio lontano da casa, nel Fife per affrontare il Raith Rovers che in quel momento conduceva la classifica della seconda divisione. Il calcio d’inizio allo Starks Park ritarda di un quarto d’ora per consentire il completo afflusso della folla sulle gradinate. E il pomeriggio del 14 marzo 1987 e l’attesa vale la pena soprattutto per i tifosi ospiti. Dopo appena 17 minuti Peter “basil” Godfrey centrocampista tenace e dalla scorza dura, con una vaga assomiglianza con l’attore Peter Sellers porta I “santi” in vantaggio. A un minuto dalla fine arriva la certezza della semifinale quando il solito Chalmers siglà il raddoppio. L’11 aprile a Hampden Park, dopo 28 anni dalla finale persa con i Rangers nel 1962, il St. Mirren si sarebbe giocato la possibilità di accedere alla finale contro la vincente del “discovery city derby” fra Dundee Fc e Dundee United, che nel frattempo si stavano dando battaglia al Tyncastle di Edimburgo. Lo scoglio non era dei più semplici. In semifinale la squadra di Smith aveva beccato gli Hearts che nel quarto turno avevano estromesso il Celtic. I Rangers dal canto loro si erano invece incredibilmente arresi subito nel primo impegno a Ibrox, piegati 1-0 da un frizzante Hamilton. In 15000 si mossero da Paisley per sostenere i propri beniamini. Al 33° del primo tempo l’eccentrico e ossigenatissimo nonché scaramantico Ian Ferguson segna per i “Buddies”. Ferguson aveva infatti il vizio di giocare con un lembo della maglia sul lato destro fuori dai pantaloncini. Ma quando sembrava che le cose ormai fossero indirizzate per il verso giusto arriva la doccia fredda, in fin dei conti siamo pur sempre in Scozia. E così Gary MacKay dei “Jambos” va a segno impattando la gara con un tiro da breve distanza che prima accarezza il palo e poi si deposita alle spalle della porta difesa da Money Campbell. E il momento della paura, si insinua una sensazione strana nella mente dei tifosi del St. Mirren, una sorta di “deja Vu” il ricordo di aver perso ben quattro semifinali nei primi anni ottanta. Ma questa volta il destino non si accanirà. Mentre su Hampden brilla un tiepido sole e le ombre lentamente incominciano ad allungarsi, e i supplementari bussano spazientiti, Frank McGarvey raccoglie a centro area una spizzicata di testa di un suo compagno e chiude la partita. McGarvey aveva mantenuto la promessa. Lui e i suoi ricci scomposti avevano incominciato a Love Street la carriera segnando in quattro campionati la bellezza di 52 reti. Nel 1979 Paisley è nel suo destino, ma non si tratta della cittadina alle porte di Glasgow, bensì questa volta di Bob Paisley l’allenatore del Liverpool che si infatua del ragazzo e lo porta ad Anfield per 270000 sterline. Al Liverpool però McGarvey non riesce a farsi spazio in mezzo a tanti, troppi campioni. Dopo dieci mesi sulle rive della Mersey tornerà in Scozia al Celtic che nel frattempo si era interessato a lui. Cinque anni a Parkhead e 78 sigilli, per poi tornare nel 1985 là dove tutto era iniziato, a Paisley nel St. Mirren, con la promessa di vincere qualcosa d’importante. Billy Abercrombie è il capitano che accompagna in campo i ragazzi di Alex Smith il 16 maggio 1987 all’Hampden Park di fronte a 51782 spettatori. Maglia sostanzialmente bianca griffata adidas con impercettibili striscioline nere e sponsor rosso “Clydeside”. Il Dundee United fa paura, i tangerines vanno addirittura in vantaggio con David Bowman, ma il goal viene annullato per un discutibile fuori gioco, scatenando un nugolo di proteste intorno al signor Kenny Hope. Per il resto del tempo l’incontro si trascina senza troppe emozioni e questa volta l’epilogo dei supplementari è inevitabile. E così mentre i Simple Minds cantavano “Live in the City of Light” e guadagnavano per un periodo la vetta della hit parade britannica, nel secondo tempo supplementare ad accendere le luci su Paisley ci pensa Ian Ferguson che sfugge di forza alle maglie della difesa dello United e spara un bolide su cui Billy Thompson non può far niente. St. Mireen 1, Dundee United 0. Gli ultimi attimi sembrano interminabili, lenti, quasi infiniti come gli inverni scozzesi. Al triplice fischio è il tripudio. Billy Abercromby diventa il nuovo capitano a sollevare al cielo di Glasgow la Coppa di Scozia, dopo David Lapsley nel 1959. Un giorno storico, il 16 maggio 1987, il giorno dell’ultimo miracolo dei santi di Paisley.

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di Sir Simon

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