Una tiepida sera di agosto di due anni fa nel mio secondo
viaggio in Scozia uscii dalla pensione dove alloggiavo con i miei amici a
Drumnadrochit (nome illeggibile e apparentemente impronunciabile),
incamminandomi attraverso un sentiero che dopo un brevissimo tragitto mi
avrebbe condotto sulle rive del Loch Ness; nella mia mente cullavo un pensiero
alquanto illusorio. Che, se da un lato incuteva in me una profonda paura,
dall'altro stuzzicava in maniera elettrizzante la mia fantasia. Lo sciabordio
delle acque giungeva distintamente dal buio oltre la cortina degli alberi,
nell'immoto silenzio rotto soltanto dalle rare auto che transitavano sulla
statale A82 che congiunge Inverness a Fort Augustus. Dalle rive ghiaiose
cercavo di penetrare l'oscurità per cogliere le onde che correvano sulla
superficie del lago e, con esse, l'improbabile verificarsi dell' evento..
Camminando mi domandavo come fosse possibile che, nel corso
degli anni, centinaia di farneticanti visionari si fossero intestarditi ad
affermare di aver scorto tra le acque un imponente presenza, spesso descritta
come una creatura misteriosa. Quali sensazioni li avranno pervasi e quali
saranno state le loro emozioni nell'assistere a quello, che per certi versi,
può essere considerato uno degli ultimi misteri della natura? Pensavo che mi
sarebbe piaciuto entrare a far parte della schiera dei testimoni, se il caso o
la fortuna mi avessero aiutato: avrei potuto riferire le impressioni riportate,
avrei potuto confermare l'esistenza della “creatura”, oppure sarei svenuto
dalla paura al punto che, dopo, tutti avrebbero pensato che stavo sognando, o
che forse la seconda pinta di Tennent's aveva già avuto un effetto deleterio
sulle mie facoltà mentali.
Non vi era alcun valido motivo per il quale scelsi di
allontanarmi dai miei amici e recarmi da solo sulle rive del Loch Ness quella
sera; avevo solo deciso di scrutare il lago. Una sorta di isolamento romantico,
in un luogo che induceva piacevolmente alla riflessione. Ritenevo che la sera
fosse il momento migliore in cui un animale, a quanto pare dotato di notevole
scaltrezza nel rendersi elusivo, avrebbe potuto tranquillamente uscire allo
scoperto. Un pallido chiarore lunare si rifletteva in un luogo imprecisato del
lago permettendomi di cogliere strane ombre che venivano amplificate dalla mia
suggestione. Mi accorsi che ovviamente erano solo giochi d'acqua, che
oltretutto, si ripetevano con monotonia. Improvvisamente udii alle mie spalle
un secco rumore di sterpaglia calpestata e pensai a un animale o a un simpaticone
dei miei compagni di viaggio in odore di scherzi. Per un attimo ebbi paura. Il
rumore in realtà, non sembrava prodotto da qualcosa di particolarmente
voluminoso per cui mi feci coraggio, avvicinandomi alla fonte, e potei così
scoprire una coppia di grossi rospi, in risalita nella non impegnativa china
della boscaglia, che si accingeva ad attraversare la strada per inoltrarsi poi
nel folto bosco delle alture circostanti. Così in maniera un po' comica ebbe
termine la mia breve caccia a Nessie...
Ma c è chi fra maniaci e ricercatori, della caccia al mostro
di Loch Ness ne ha fatto una vera e propria ragione di vita, mentre altri meno
appassionati un florido interesse commerciale. Tutto cominciò nell'alto
medioevo, quando ancora poche persone sapevano leggere e scrivere, uno scrivano
di nome Adamnan nel tepore del fuoco di un convento spazzato dal vento, scrisse
la biografia di San Colombano, cui è attribuita la conversione dei Pitti,
l'antico popolo che abitava le terre di Scozia.
Secondo questa biografia San Colombano durante i suoi viaggi
nei territori dei Pitti avvenuti nel 565 circa, arrivò sul fiume Ness e mandò
uno dei suoi compagni sull’altra riva a prendere una barca là ormeggiata
malgrado che al suo arrivo avesse trovato sulla spiaggia alcuni abitatori del
luogo che seppellivano un uomo “morso con malvagità”. Carico di fiducia e
coraggio l’inviato di San Colombano era appena giunto a metà percorso quando un
mostro fuoriuscito dalle acque, gli si avventò contro con “un grande ruggito e
la bocca spalancata”.
Il santo resosi subito conto del pericolo ordinò prontamente
alla creatura di andarsene (“Vattene subito!”), facendo desistere e scappare il
mostro, “più velocemente che se fosse trainato con corde”. Questo delizioso
aneddoto del santo può risentire di un leggero tocco scozzese, ma probabilmente
non è del tutto inventato.
Infatti nei secoli seguenti si affermò la tradizione che nel
lago vivesse un “cavallo acquatico” (come in altri laghi scozzesi), e un
viaggiatore del XVII secolo raccontava di un isola galleggiante che appariva e
scompariva, mentre per generazioni i bambini di quel posto vennero avvertiti di
non giocare troppo vicino all’acqua. Nel novembre del 1933, un impiegato della
British Aluminium Company, di nome Hugh Gray, fu a tutti gli effetti il primo
uomo che riuscì a fotografare il “mostro”. Riguardo a quest'emblematica
fotografia si scatenarono varie ipotesi, dato che è difficile cogliere nell'
immagine una figura chiara e distinta. Poi l'anno successivo comparve la
celebre “testa” del medico londinese Kenneth Wilson che poi a distanza di anni
dichiarò e mostrò al mondo la sua falsificazione. Poi nel 1960 ecco la foto di
Peter O'Connor e il filmato di Tim Dinsdale che portarono legna al focolare del
mito. Il “mito” di Nessie, un mito che ha sfidato il tempo, correndo verso
l'eternità.
di Sir Simon
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