29 novembre 1983.
Adesso non avevano più paura. Non potevano averne. Ora, che
avevano espugnato Highbury, battendo in rimonta un confuso e imbarazzato
Arsenal per 2-1, ed erano usciti dallo stadio festeggiando con i propri tifosi
arrivati in massa a Londra, portando in trionfo Mark Rees e Ally Brown. Gli
uomini che con le loro reti caparbie e scaltre, si erano guadagnati un posto di
diritto nella storia quasi centenaria dell’ Walsall FC. Mentre intanto,
dall’altra parte dell’impianto, sotto le luci velate dalla nebbia d’autunno, la
North Bank gridava “Neill must go”. I saddlers avrebbero giocato le semifinali
della League Cup, guidati dall’intraprendente e coriaceo Alan Buckley da
Mansfield. Un traguardo di assoluto prestigio, giunto dopo una cavalcata
iniziata in agosto, eliminando nell’ordine Blackpool, Barnsley, Shrewsbury
Town, e infine, come detto, i gunners a casa loro.
Cavalcata è il termine esatto, si evince dal soprannome del
club che non lascia spazio ad altre possibilità. I sellai. Una cittadina quella
di Walsall situata nella contea metropolitana delle West Midlands, nel cuore
dell'Inghilterra, dove si avverte a un passo il respiro della grande
Birmingham, la seconda città del Regno Unito. Walsall è stata un centro
prospero nel campo manifatturiero e del mercato fin dal medioevo al punto da
prendere l’appellativo di “città dei cento commerci”; La capitale mondiale
della pelle. Ed è appurato che le migliori selle inglesi siano costruite
proprio a Walsall, nel rispetto di una tradizione secolare, anche se, ormai, le
zone industriali stanno diventando un’entità sempre più estranea al popolo
inglese, proprio perché, qui come altrove si produce sempre meno, al punto che
rischi di perderti attraversando certe vie anonime e tutte uguali, dove la
gloria del passato finge di apparirti solo per un attimo in un rapido riflesso
su pozzanghere tristi.
Esaurita la sbornia londinese, il sorteggio aveva regalato
al Walsall un viaggio a Anfield, per la partita di andata delle semifinali di
Milk Cup. Poi ci sarebbe stato il ritorno a Fellows Park, anelando segretamente
affinché non restasse un’inutile appendice in caso di sonora batosta subita a
Liverpool, come qualche addetto ai lavori già paventava. Certo, sarebbe stata
dura, i saddlers avevano conquistato Highbury, è vero, però quell’Arsenal
dell’nordirlandese Terry Neill, ad essere del tutto sinceri non appariva poi
così irresistibile. I biancorossi di Islington, avevano segnato grazie a una
conclusione in corsa del versatile Stewart Robson, ma si erano fatti
sorprendere nell’azione del pareggio e irridere a cinque minuti dal termine a
causa di un ignobile pasticcio del lungo colored Chris Whyte, che probabilmente
si stava chiedendo se in quel momento si trovasse a difendere l’area dei
gunners oppure seduto su una panchina a Gillespie Park a contemplare il senso
della vita. Due anni dopo con il fagotto rattoppato di quel pallone velenoso in
spalla, partirà disincantato per gli Stati Uniti a cercar fortuna nel “Soccer”
americano, da dove ritornerà nel 1988 per approdare al WBA.
Il confronto appariva impietoso. Uscire indenni da Anfield
in quel periodo era congiunzione astrale che accadeva più o meno, come il
passaggio della cometa di Halley sulle nostre teste. Il Walsall una squadra di
terza divisione, mentre il Liverpool negli ultimi sette anni si era già
sistemato in museo tre Coppe dei Campioni, una Coppa Uefa, tre Coppe di Lega
consecutive, e cinque titoli di Campione d’Inghilterra. Una corazzata, guidata
da Joe Fagan, che aveva appena rilevato in panchina Bob Paisley, avente in
campo undici fenomeni con la maglia rossa che si trasformavano come inebriati,
in una sorta di delirio agonistico, investiti dalle note malinconiche e
struggenti di You ll’never walk alone. Come opporsi. Come porre un freno, e
limitare i danni, come poter sperare, di avere un briciolo di opportunità per
andare a giocarsi la finale a Wembley.
I saddlers a una prima fugace occhiata, apparivano una
squadra di liceali in gita turistica. Il trio di centrocampo David Preece,
Craig Shakespeare e Gary Childs, aveva un'età media di 19 anni. Tra gli altri,
Kenny Hooper e il cervellotico Mark “Psycho” Rees, apparivano elementi solcati
da rughe di vita e infanzie disagiate, ma che alla fine, all’anagrafe anche
loro risultavano poco più che ventenni. C’era gente che nei sabati pomeriggio
degli anni precedenti aveva visto gente bere birra e mangiarli in faccia fish
& chips appoggiata a tentennanti balaustre di legno, negli ameni campi
della Non –League. Nomi sconosciuti non solo alla nobiltà, ma anche alla borghesia
calcistica, tipo Ron Green e Richard O'Kelly. Oppure, giocatori pescati fra i
rivali locali, della fuligginosa Black Country: AstonVilla, Birmingham City e
West Bromwich. Come Colin Brazier, Kevin Summerfield, Phil Hawker e lo
sfortunato Ian Handysides. Un po’ d’esperienza si poteva trovare forse in Brian
Caswell, e nel capitano Peter Hart, ex giocatore dell’Huddersfield, detto il
reverendo, perché a fine carriera fu ordinato ministro della Chiesa
d'Inghilterra e diventò vicario della parrocchia di St Lucke’s a Cannock.
Infine il veterano Ally Brown, l’attaccante che aveva infilato Pat Jennings
sotto la Clock End, facendo apparire i suoi baffi sornioni sulle pagine dei
quotidiani del giorno dopo.
I Reds, non avrebbero per nessuna ragione sottovalutato e
tenuto in scarsa considerazione avversario e partita. Le ultime tre vittorie di
seguito nella manifestazione stavano lì a testimoniare un vangelo, dove il
credo mutuato in vittorie veniva ripetuto sotto forma di laica preghiera ogni
sera prima di andare a dormire. Per Alan Buckley una piccola fortuna c’era a
dirla tutta. Ad Anfield, non ci sarebbero stati per la prima gara né Greame
Souness, né Kenny Dalglish. Tutto sommato, non era poco. Una grazia da
prendere, e fare inchino di riconoscenza al destino. L’incontro d’andata come
riporta il programma si giocò il 7 febbraio 1984, alle 19.30 inglesi, quando le
brume delle Mersey si mischiavano ai vapori dei cori della Kop, e ai fraseggi
corti e pazienti dei Reds, in una sorta di stucchevole anticamera, a cui seguivano
temibili e pungenti offensive, spesso letali che ormai non solo l’Inghilterra
conosceva, ma un po’ tutta l’Europa del pallone. Il Walsall nella bella maglia
blu da trasferta griffata Patrick, fa quello che può, finché fu costretto a
capitolare quando una girata di Ian Rush innescò l’accorrente Whelan per l’1-0.
Pareva un copione già scritto. E invece in barba a facili pronostici la serata
si riaccese, grazie a un erroraccio del folletto Sammy Lee che smarrì
maldestramente un pallone in area di rigore, che O’Kelly con un colpetto da
biliardo fece scorrere lungo la linea di porta, e i precipitosi Phil Neal e
Gary Gillespie non ottennero niente di meglio che un groviglio di gambe che
spinse la palla in rete per un autogol apparso probabilmente evitabile. “Unbelievable”,
certo.
Un pareggio a fine primo tempo per i saddlers era quanto di
meglio potessero attendersi, ma adesso, la fenice ferita cercava vendetta e il
ristabilimento delle giuste gerarchie. E allora Craig Johnstone, che la faccia
da pittore naif c’è l’aveva, con quella massa scomposta di ricci ribelli e
scuri, tracciò una pennellata d’autore che terminò esattamente sulla testa
dell’onnipresente Ronnie Whelan, e l’irlandese siglò perentoriamente la sua
doppietta personale riportando avanti il Liverpool a metà ripresa. Nonostante
tutto l’istrionico Buckley lesse nelle pieghe del match, intuì che difendersi
sarebbe stato come far sentire l’odore del sangue ad uno squalo, e allora ci
prova. Butta dentro un attaccante, Kevin Summerfield, al quale il piccolo,
scattante, e estroso David Preece servì un invitante assist che il neo entrato
trasformò in un pallonetto delizioso infilatosi alle spalle di un esterrefatto
Grobbelaar. 2-2. E poteva anche non finire lì, se Mark Rees non avesse perso
una grande occasione fracassando la palla sull'esterno della rete rossa di
Anfield, per quella che sarebbe stata una vittoria assolutamente da ricordare
negli annali.
Walsall era comunque entusiasta. I suoi ragazzi erano
ampiamente in corsa per andare a Wembley, dove la storia fatta col senno di
poi, gli avrebbe consegnato l’Everton e l’Europa, perché anche in caso di
sconfitta nell’atto conclusivo, per il piccolo club di terza divisione delle
West Midlands, si sarebbero aperte le porte della Coppa Uefa, considerando che l’undici
di Howard Kendall la stagione seguente sarebbe risultato iscritto alla
scomparsa Coppa delle Coppe grazie alla futura vittoria in FA Cup. Una logica
ferrea e oserei dire suggestiva, ma solo fatta alla luce chiara dei posteri, e
che evidentemente, purtroppo per i saddlers, non si verificò.
Oggi all’angolo fra Hilary Road e Bauges Lane a pochi metri
dalla ferrovia c’è un supermercato. Il Morrisons. Nel 1984 c’era Fellows Park
il vecchio stadio dei saddlers, costruito nel 1896 dopo la fusione di sei anni
prima fra i due sodalizi calcistici cittadini. Un amalgama fra lo Walsall Town
e lo Walsall Swifts, che infuse la scintilla di vita al “moderno”Walsall FC.
Il 14 febbraio 1984 nel giorno di San Valentino, per la
partita di ritorno c’erano forse più di ventimila persone al Fellows, una roba
che non si vedeva più dai tempi di Colin Taylor, la leggenda da 184 goal
spalmati fra il 1958 e il 1973. A onor del vero di gente c’è n’era fin troppa.
Da Liverpool erano arrivati in tanti, e forse qualcuno, anzi più di uno, senza
nemmeno il biglietto d’ingresso in tasca.
Comunque si gioca, atmosfera elettrica. Ad Alan Buckley
chiedono il miracolo, ma lui alla fine non è un mago né tanto meno un profeta.
Poi dopo un quarto d’ora, un tonfo. Sordo, quasi un grugnito. Polvere, grida e
lamenti. Sotto il peso di centinaia di persone, un muro di sostegno della stand
lato ferrovia collassò su se stesso e una ventina di tifosi resteranno feriti.
A dare i primi soccorsi, Greame Souness che qualche fotografo immortalò mentre
trasporta al sicuro un bambino tenendolo fra le braccia. Fortunatamente le
conseguenze non saranno gravi per nessuno, ma poteva andar peggio. Fatto sta
che nel 1990 il Bescot Stadium, che ha sostituito Fellows Park, è stato uno dei
primi nuovi impianti costruiti a seguito del rapporto Taylor in merito alle
nuove disposizioni di sicurezza negli stadi inglesi. La partita viene portata a
termine, anche se è indubbio che l’episodio abbia turbato più i ragazzi di
Buckley, che l’oramai esperto e navigato gruppo di Fagan. Eppure qualche
occasione il Walsall riuscì a crearsela con Richard O'Kelly, al quale disse di
no Bruce Grobbelaar, e con Ally Brown, il cui tirò sfiorò il palo. Solo che, il
Liverpool, quella sera in una sgargiante divisa gialla, aveva là davanti un
tipo come Ian Rush, che potrà pure aver deluso qualcuno nella sua triste
esperienza italiana, ma finché ha indossato la maglia del Liverpool, in area di
rigore si è sempre dimostrato un autentica sentenza. Suo il goal del vantaggio
dei reds che allontanò sogni proibiti dalla testa dei sostenitori di casa,
spazzati via poi completamente a inizio secondo tempo dal solito Whelan per il
secco 2-0. Va detto che il Walsall non mollò fino alla fine mostrando indomito
coraggio e intraprendenza. Saddlers, Brown, e Kevin Summerfield, mancarono di
poco quel goal che riavrebbe acceso la speranza, ma così non fu, e il Liverpool
se ne andò in finale a vincere la sua quarta coppa di Lega consecutiva.
Cavalcare fino a Wembley si dimostrò impresa troppo ardua anche per dei
sellai..
di Sir Simon
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