Non cercate termini di paragone. Non lì troverete. Questo è
un affare per stomaci forti. Noi galleggiamo sulla superficie liscia del
semplice antagonismo sportivo, l'Old Firm scende in profondità, giù fino ai
cromosomi di un popolo, fino alle ragioni di una comunanza forzata decisa dalla
fame e dalle opportunità. Il trionfo delle conseguenze non volute. In filosofia
l'eterogenesi dei fini. A Glasgow c'è una data d'inizio a tutto questo.
Iniziate a cercarla a Gallowgate nel sud est della città. Edilizia popolare e
negozietti a buon mercato che sventolano bandiere irlandesi. Sui pub troneggiano
scritte in onore dei “Lisbon Lions 1967” , l'anno in cui il Celtic vinse la
Coppa dei Campioni a Lisbona contro l'Inter di Helenio Herrera e contro i
pronostici. Prima squadra non latina a farlo. Prima, sopratutto degli inglesi,
che marceranno d'invidia e dovranno aspettare la stagione successiva per
festeggiare, nella notte di Wembley, di Bobby Charlton e del Manchester United.
“Qui troverete ovunque questa scritta”, ti dicono. Qui, si riversarono navi di
emigranti provenienti dall'Irlanda, a seguito della penosa carestia delle
patate scoppiata nella metà del XIX secolo e che causò la morte di quasi un
milione di irlandesi. Ad attrarli il grande porto di Glasgow, i suoi moli, i
suoi cantieri navali. Da qui, e non solo da qui, il Regno Unito è partito per il
mondo e se lo è portato a casa. In breve l'afflusso immigratorio definì ancora
meglio la fisionomia della città. Operaia, proletaria, e laburista.
Un giorno fratello Walfrid, nome religioso di Andrew Kerins,
irlandese nato a Ballymote nel 1840 e anche lui emigrato nella cittadina
scozzese viene convocato dal suo arcivescovo che ha in mente di creare ciò che
ha già preso piede a Edimburgo. Ciò che già funziona con l'Hibernian. Una
squadra di calcio che raccolga fondi da devolvere in beneficenza ai bambini più
sfortunati: Poor Children's dinner table.
Walfrid è entusiasta del progetto. Si darà subito da fare;
affitta per 50 sterline un lembo di terra accanto al cimitero di Janefield,
proprio nella zona di Gallowgate, e lo trasforma in un empirico campo da calcio.
Nel 1888 partorisce la sua “creatura”, al grido di “viva San Patrizio”. E' nato
il Celtic Football Club. E' nata una “banda di straccioni” che gioca accanto
alle lapidi sbrecciate di un camposanto, con una maglia bianca e verde e un
quadrifoglio come emblema. Diventerà icona, simbolo, rifugio, e eccellenza
sportiva.
Ma intanto la massiccia iniezione di manodopera irlandese
non poteva non provocare reazioni in città. Dell'altra faccia della città.
Quella protestante, e presbiteriana, quella dei sermoni infuocati di John Knox
a una platea che lo ascolta ma non si muove. Perché farsi il segno della croce
è da fanatici, da adulatori del Papa e delle sue politiche d'interesse, da
fondamentalisti cristiani, da superstiziosi cattolici. Le “braccia locali” si
vedono sfilare posti di lavoro e stipendi. Irlandesi e scozzesi. Cugini di
genesi celtica. Troppo simili per non odiarsi. La religione, la politica, ma
non solo. Ne nasce un attrito che il tempo provvederà ad accrescere e
amplificare.
Nel 1872 erano nati i Rangers, anche se alcune cronache non
collimano con questa data. Quello che è certo e che nascono dalle idee di
quattro padri fondatori. I fratelli Moses e Peter McNeil, Peter Cambell e
William McBeath. I primi due sono figli di un giardiniere che lavora presso la
residenza estiva di John Honeyman, un mercante di grano. Per il nome si
ispirano a un team inglese di rugby, per i colori al blu scozzese che gli anni
a venire macchieranno di una britannicità palesemente ostentata da venature
bianche e rosse. I colori della Union Jack. Mentre i cori racconteranno della
battaglia di Boyne e di quando Guglielmo d'Orange sconfisse il re cattolico
Giacomo II. Prima partita contro il Callander FC con pareggio finale a reti
inviolate. Sedi vacanti e provvisorie per i primi anni, poi dal 1899 arriva
definitivamente il quartiere di Ibrox e uno stadio progettato del celebre
architetto Archibald Leitch. Diventerà il tribunale del popolo. Ibrox, Govan,
South Side, anche qui i brividi umidi del Clyde, i cantieri navali di Gorbals,
e cieli neri per il fumo costante delle ciminiere. Assolutamente e ruvidamente
“working class”. Sarà il riflesso opposto a Gallowgate. Oggi Govan è mestamente
fatiscente ma la zona adiacente di Pacific Quay è stata oggetto di uno
straordinario lavoro di rinnovamento, dal Glasgow Science Centre, al Riverside
Museum, agli studi della BBC. Dalla fondazione dei due giganti calcistici della
città, dal loro primo match ufficiale disputato nel maggio del 1888 (un
amichevole si noti bene) malgrado numerosi segnali di distensione, la rivalità
è cresciuta costantemente. Dissidi, rancori, incidenti e un episodio fra i
tanti che ha destato l'attenzione di tutto il mondo. Bisogna ritornare a oltre
vent'anni addietro. Alla stagione 1989/90. Maurice John Giblin Johnstone, per
tutti Mo, nasce a Glasgow il 14 aprile 1963. Rosso di capelli, qualche
lentiggine, e lo sguardo di uno di quelli che conosce la strada, le sue risse e
i suoi pericoli. E' cattolico, e anche un calciatore promettente. E per uno
nativo di quelle parti il Celtic sembra la destinazione naturale. Ci arriverà
nel 1984 dopo esperienze prolifiche con il Partick Thistle e il Watford in
Inghilterra. In tre anni collezionerà 140 presenze e metterà a segno 52 reti.
Poi arrivano le sirene francesi e il calciatore proverà l'esperienza
continentale andando a giocare nel Nantes. Nella Loira non smarrirà le sue doti
di bomber regalando al club giallo verde 22 centri in due stagioni. Sembra che
non voglia tornare più in patria, anzi no, rilancia il suo amore per il Celtic
e dice che rivuole Parkhead e che il Celtic è l'unico club in cui vuole
giocare. Intanto Frank Mc Avennie il suo sostituto durante il biennio francese
se ne ritorna al West Ham United. E allora Johnstone tornerà a Glasgow, ma
incredibilmente nella parte blu della città. E' un fatto di soldi. I Rangers
sotto la pressione sopratutto di Greame Souness vengono meno alla loro regola
storica di non tesserare giocatori cattolici. Lo stesso Souness risponderà alle
domande pressanti di stampa e tifosi dicendo: “Sono scozzese e protestante,
capisco certe cose, ma nel calcio come nel mondo moderno non devono contare, io
ho il dovere di scegliere i più bravi, e poi ho sposato una cattolica
figuriamoci se avrò problemi ad allenarne uno”. Anche il neo presidente David
Murray avalla la scelta del “padrino di Edimburgo”. I tifosi no. Di ambo le
parti. Per quelli del Celtic è semplicente un “Judas” un maledetto traditore. E
mentre dall' East End volano offese e minacce, sui cancelli di Ibrox bruciano
le sciarpe dei Rangers e vengono stracciati gli abbonamenti. Edminston Drive
viene presa d'assalto. Il 13 luglio fu una notte infinita, urla, rabbia e tanta
polizia. Nemmeno una subdola regia occulta avrebbe fatto meglio, siamo infatti
nel bel mezzo delle marce orangiste a Belfast. Benzina sul fuoco. Johnstone fu
costretto a difendersi da tutti. Da quelli dei Rangers, e da quelli del Celtic.
Per muoversi avrà bisogno di tre guardie del corpo. Stessa storia per la moglie
e i quattro figli. Fu persino costretto a prepararsi da solo la divisa da gioco
in quanto anche il magazziniere dei gers si rifiutava di farlo. A dirla tutta
negli archivi dei Rangers pare ci siano stati precedentemente al “rosso” altri
15 giocatori cattolici nelle loro fila come per esempio il sudafricano Don
Kitchenbrand, ma l'impatto del profilo di Maurice Mo Johnstone non era certo
eguagliabile. Billy McNeill l'allenatore del Celtic non avrà mezze parole: “
Non lo posso perdonare e credo che nemmeno i fans lo faranno mai perché ha
mancato di rispetto a tutti a noi e alla nostra causa”.
Ma nonostante tutto Johnstone dimostrerà una forza di
carattere notevole. Sterline o meno giocare in quella situazione sarebbe stato
impossibile per molti. Invece se ne andrà da Ibrox Park solo nel 1991 dopo aver
segnato 46 reti, qualcuna applaudita, qualcuna no. Naturalmente con il passare
del tempo le cose migliorarono ma un certo imbarazzo dei tifosi sugli spalti
rimase palpabile. Oggi le cose sono cambiate, i muri confessionali valicabili,
e addirittura l'italiano Lorenzo Amoruso è diventato il primo capitano
cattolico dei Rangers. Quei Rangers di cui nel momento in cui scrivo non se ne
conosce l'esatto futuro. Ma in ogni caso se giocate nell'una o nell'altra
squadra di Glasgow evitate di segnarvi o di mimare flauti orangisti, non si sa
mai.
di Sir Simon
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