Piove. E anche se non piove facciamo che piove lo stesso.
Nelle mie fantasie non riesco ad eludere il binomio pioggia Gran Bretagna. Una
pioggia leggera, intermittente, di quelle che bagnano tutto ma non disturbano,
e fanno quasi piacere. Il Goodison Park appare all' improvviso dietro le case
basse nella zona nord della città. « House of the Blues», c'è scritto su in
alto con delle grandi lettere radiose. La casa dell' Everton è un esaedro fatto
di mattoncini blu e bianchi. Qui abitano i Toffees, l'altra metà del cielo, i
figli di un Dio minore che gli ha regalato una genesi più antica ma meno
blasone rispetto ai cugini di secondo grado del Liverpool. Questa città è la
storia di un derby. Divisa a metà dalla passione per il pallone. Everton o
Liverpool? Blu o rosso? Una sfida che colora l'orgoglio e va avanti da più di
cento anni. L'abbiamo detto, è arrivato prima l'Everton. Everton è il quartiere
in cui si riunirono i fondatori, nel novembre del 1878. Una riunione svoltasi
all'hotel Queens Head, situato in Village Street, una via laterale di Everton
Road, a poca distanza dalla pasticceria The Ancient Everton Toffee House e
dalla Prince Rupert's, una torre che, guarda caso, figura ancora oggi nel crest
societario. Eccole le scintille che hanno acceso nome e soprannome. Everton e
Toffees, cioè dolcetti, in onore di questa antica logistica. A far nascere il
club furono i rappresentanti di una parrocchia metodista, la St. Domingo, che
diedero vita a una scuola, e successivamente alla squadra. Perché d'inverno è difficile
giocare a cricket, e in qualche modo bisogna tenersi in allenamento. La storia
inizia da lì. C' è anche un campo di calcio, l' Anfield.. La prima sfida
calcistica della neonata squadra si disputò nel 1879, e le maglie a strisce
bianco blu si imporranno per ben 6-0 sul St. Peter. I ragazzi hanno talento,
l'Everton si fa strada. Due anni dopo avviene un cambiamento di colori, per
evitare la confusione dovuta al fatto che a tutti i giocatori nuovi era stata
concessa la possibilità di indossare le divise delle loro ex squadre. Il che
aveva reso le partite dell'Everton una sorta di carnevale collettivo. Le magre
finanze del sodalizio impongono però di evitare l'acquisto di nuove divise.
Nasce un idea, una soluzione. Drastica, e grossolana. Le maglie verranno tinte
di nero (con successiva aggiunta di una striscia rossa), e nacque così un nuovo
nick name: Black Watch. Nelle stagioni successive la fantasia cromatica si
sfoga nella scelta del color salmone, da abbinare a pantaloncini blu, poi
maglie rosse con bordi blu e pantaloncini neri, fino ad arrivare alla livrea
attuale, stabile dal 1901. Intanto nel 1888 l'Everton venne ammesso come membro
fondatore della neonata Football League che vincerà tre anni dopo. Ma nel 1892
succede qualcosa di importante. Quattordici anni dopo la fondazione
dell'Everton, da una scissione interna, nasce il Liverpool. Che si prenderà
anche lo stadio perché il costo di utilizzò dell'Anfield si era mostrato troppo
alto. E poi si prenderà tutto il resto. Fama, gloria, successi. L’arrivo dei
Toffeemen a Goodison Park combacia quindi proprio con la nascita del Liverpool
F.C.. Ad Anfield fra le altre cose l'Everton aveva anche vinto come detto il
suo primo titolo. Ma le eccessive pretese economiche del propietario fanno si
che l’Everton saluti e parta alla ricerca di una nuovo impianto, che troverà a
poche yards di distanza. Basterà semplicemente attraversare il verdissimo
Stanley Park, il parco cittadino, che tutt’ora divide i due stadi. E la nuova
casa arriverà giusto in tempo per l’inizio del nuovo campionato. Vennero
costruite tre tribune di cui una coperta, che portarono subito il Goodison Park
ad un buon standard qualitativo, tanto da indurre la federazione a far
disputare qui la finale di F.A. Cup del 1894 tra Notts County e Bolton Wanderers.
Nel 1907 venne costruito il quarto stand, quello che guarda verso il parco. Nel
1926 una tribuna di due piani sostituirà quella in legno datata 1895 su Bullens
road. Nel 1938 per celebrare l’ultimazione dell'ultima tribuna su Gwladys
Street, giunse in visita addirittura re Giorgio VI, ma pochi anni dopo i blitz
aerei tedeschi danneggiarono molto seriamente l’intera struttura. Al termine
del conflitto grazie a un contributo statale lo stadio riuscì a ridarsi un
aspetto decente e confortevole. Nel 1948 si tocca il record di presenze e non
poteva che essere in occasione di una sfida con la sponda rossa della Mersey. I
tornelli del Goodison park gireranno per oltre 78.000 volte. Il palmares dell'
Everton si impara a memoria abbastanza in fretta: nove titoli nazionali,
l'ultimo venticinque anni fa, cinque coppe d' Inghilterra, e una coppa delle
coppe. Quello del Liverpool è un' altra cosa. Eppure, qui la maggioranza tifa
per i Blues. Quelli che si sentono fieramente «The people's club», la squadra
del popolo. Il Liverpool, dicono, ha un appeal più nazionale. In Williamson
Square i negozi ufficiali dei due club, sono uno accanto all'altro, ennesima
dimostrazione del «The friendly derby», se si eccentua un piccolo incrudimento
fra le due tifoserie durante gli anni settanta quando il classico menù a base
di disoccupazione, droga e impari opportunità che sembrava venir offerto alle
masse di giovani dell'epoca iniziò a dar vita al fenomeno casuals, anche se a
Liverpool a differenza di Londra si parlerà di smoothies. E allora anche il
calcio diventò un pretesto per i violenti incontri tra le varie mobs. Uno dei
due periodi d'oro dell'Everton risale a cavallo tra gli anni Venti e anni
Trenta, quando i "Toffees" conquistarono tre titoli inglesi (1928, 1932,
1939) e una FA Cup (1933), portando alla ribalta le straordinarie doti di Dixie
Dean, per l'esatezza William Randolph Dean, il centravanti acquistato
diciottenne il 16 marzo del 1925 per 3000 sterline dal Tranmere Rovers, club
del circondario. Ragazzone robusto dalla faccia volitiva, potente e dal superbo
stacco, si fratturò il cranio e la mascella a seguito di un grave incidente
motociclistico ad Holywell nel 1926. I dottori gli dissero che non avrebbe più
potuto giocare a calcio, ed erano particolarmente preoccupati dagli effetti di
una pallonata nel caso di un colpo di testa. Ma Dean da autentico testardo,
sprezzante del pericolo, ignorò i loro consigli e, una volta ripresosi, fu il
capocannoniere dell’Everton nella stagione vincente 1926/27. Non gradiva molto il
nomignolo Dixie, in ogni caso Dean segnò 349 reti in dodici stagioni: il tipico
centravanti inglese dell'epoca, capace di sparare in rete la palla con ogni
mezzo.
Dixie Dean |
Ma ovviamente i grandi nomi non sono finiti qui. Ad esempio impossibile
non menzionare Tommy Lawton che fece parte di quella che venne riconosciuta
come "School of Science", l'Accademia delle scienze calcistiche, per
via del delizioso tipo di calcio giocato dai "Toffees" nel 1938/39.
Lawton fu acquistato nel dicembre del 1936 per una cifra di 6,500 sterline. Si
trattava di una cifra record per un giocatore nato nel 1919 e quindi
giovanissimo. Sembra che la firma sul contratto fu agevolata dalla volontà di
Tommy, che così aveva l’opportunità di giocare al fianco di Dean all'epoca
trentenne. Metterà a segno qualcosa come 218 reti in 206 partite. Ma adesso
partiamo da un risultato sportivo per parlare anche di folklore, perché alla
fine molto del fascino del calcio inglese deriva anche da un contorno
assolutamente unico e originale, che probabilmente a certi benpensanti farà
storcere la bocca, ma che indiscutibilmente ha sempre fatto parte di questo
mondo. Per l'Everton uno degli episodi più curiosi è senza dubbio questo:
Sabato 14 maggio 1966, stadio di Wembley. E' il giorno della finale della Coppa
d'Inghilterra. A sfidarsi sono lo Sheffield Wednesday e l'Everton di Harry
Catterick. Immerso, stipato, fra le centomila persone che affollano le tribune
dello stadio londinese c'è un uomo, un tifoso dei toffees, che segue la sua
squadra del cuore ovunque e con ogni mezzo, autostop compreso. Si chiama Eddie
Cavanagh. Faccia da spaccone, ma alla fine un tipo simpatico e di compagnia,
con qualche idea maldestra che ogni tanto gli affiora alla mente. Uno nativo di
Huyton, un sobborgo di Liverpool, non molto di più che una famosa stazione
ferroviaria, e una poesia di Thomas Arthur Lumley. Vive in un modesto cottage
con le pareti colorate di blu. Elemento cromatico che denuncia senza troppa
fatica che la sua vita ruota attorno all' Everton. Un autentico satellite
orbitante al Goodison Park, anzi più che altro dentro Goodison Park. Dove
addirittura aveva anche giocato per qualche anno nelle giovanili del club,
senza per altro aver ottenuto niente di particolare se non l'emozione di
vestire la sua maglia preferita. Ma quel 14 maggio del 1966 entrerà dritto e
definitivo, non solo nella storia dell'Everton, ma anche più in generale in
quella del football inglese. Come sempre al seguito della sua squadra, si
presenta agli ingressi di Wembley per assistere alla finale. Le cose in campo
per i Blues non si metteranno per il verso giusto. Andranno sotto due reti.
Eddie, come tutti i tifosi arrivati da Liverpool, è sconsolato. Ma non
cesseranno i cori, non diminuirà l'incitamento, e il tenace Everton di
Catterick in poco più di cinque minuti grazie a una doppietta di Mike
Trebilcock riporta le sorti del match in parità. I tifosi sono in visibilio e
Eddie non sta più nella pelle, il pubblico di fede Everton esplode. Eddie non
resiste, lo guida una gioia incontenibile. E' un attimo. Scavalca la cancellata
che lo separa dal campo e fa irruzione sul terreno di gioco. Nelle sue
intenzioni c'è solo la volontà di andare ad abbracciare e complimentarsi con
l'autore della doppietta. Corre, goffo, quasi barcollante, più che altro sorridente,
sicuramente divertente. Non per i poliziotti che iniziano a dargli la caccia.
Lo inseguono, lo braccano. Lui vuole Trebilcock, il suo eroe di quel
pomeriggio. Alla fine un poliziotto lo afferra per la giacca. Sembra finita.
Anzi no. Colpo di teatro. Cavanagh si lascia sfilare la giacca come in un
numero da prestigiatore e il pubblico ufficiale perde il contatto e
l'equilibrio, cadendo sulla sacra erba di Wembley con la giacca in mano. Boato.
Applaudono tutti, anche quelli delle Owls. Eddie nel frattempo prosegue la sua
folle corsa, ma ormai lo hanno circondato e un poliziotto lo atterra. A quel
punto anche i giocatori dell'Everton, increduli e divertiti al tempo stesso si
avvicinano al tifoso ormai afferrato dai poliziotti e lo abbracciano. Cavanagh alla
fine non verrà arrestato. Verrà solamente riportato sulle tribune, ovviamente
guardato a vista. L'Everton segnerà ancora con Derek Temple e vincerà la FA
Cup. Eddie, questa volta se ne rimarrà sulle gradinate. Esultante. Il giorno
seguente i giornali non mancheranno di dare spazio all' impresa di Cavanagh. I
titoli lo appelleranno ironicamente come "The First Hooligan".
Cavanagh è scomparso nel 1999 ma il suo nome rimarrà indelebile
nell'immaginario collettivo di tanti tifosi non solo di fede Everton. ". E
a proposito di tifosi dell'Everton, non possiamo non menzionare un aneddoto
relativo ai “big four” i quattro ragazzi più famosi della città: i Beatles. «No
way, man, I' m a bluenote». In questa maniera nel 1989 Paul McCartney smontava
le illusioni di quanti lo immaginavano accanito tifoso del Liverpool. Invece
propendeva per gli altri: quelli della zona nord di Stanley Park. Paul era
dell' Everton. E lo è stato almeno fino alla strana intervista concessa anni fa
a Radio Merseyside, durante la quale, forse dimenticando qualcosa della propria
biografia, o forse cercando nuovi consensi, ammise: “È vero che simpatizzo per
l' Everton, ma dato che a me della rivalità o delle questioni politico
religiose non me ne importa un fico secco se il Liverpool va in finale di
Champions io tifo per la squadra della mia città»”. I suoi amici di sempre,
quelli d' infanzia, gliela giurarono. Uno, noto come Dickie the Dick, minacciò
di riportarlo per le strade di Allerton con un barile di birra da svuotare come
penitenza. Goliardia. Il derby di Liverpool divide senza dividere. È sempre
stato così. «Mescola il rosso del Liverpool e il blu dell' Everton, e otterrai
il marrone della Mersey». Cinquant' anni fa i Beatles sembra si spartissero le
simpatie: Paul e George tifavano Everton, John e Ringo (cui andrebbe aggiunto
anche Pete Best, il primo batterista, ossia il batterista più sfigato della
storia) erano per i Reds. Poi ci sono altre versioni contrastanti e comunque il
dibattito è sempre aperto. In ogni caso di certo c'è che nessuno dei quattro
amasse particolarmente il football (John tirava qualche calcetto, Paul mai,
Ringo preferiva il rugby, e da ragazzino George era innamorato di auto mobilie
di Stirling Moss, e poi la Kop che intona "You' ll never walk alone"
era impressa su Meddle dei Pink Floyd...). Il loro manager Brian Epstein li
obbligò a non pronunciarsi mai in pubblico sulle loro simpatie sportive per
evitare di confondere i fans e rischiare di dividerli. Nonostante ciò si sa
però che il nostro Paul era a Wembley per la finale di Fa Cup del '68 (West
Bromwich-Everton 1-0). Sarà un caso?.. Tornando a faccende più squisitamente
calcistiche, due anni dopo l'Everton con ancora Harry Catterick in panchina
conquista la First Division. Fu il campionato che precedette i Mondiali del
1970. Ebbe iniziò il 9 agosto 1969 e dal gruppo delle prime si staccò alla
quarta giornata l'Everton, che fu poi raggiunto dal Wolverhampton e dai rivali
del Liverpool che all'ottavo turno presero la testa della classifica. Dopo due
giornate l'Everton riconquistò il comando della classifica per non lasciarlo
più nel corso della stagione: inizialmente tallonato dal Liverpool e dal Derby
County, alla diciottesima subentrò nel ruolo di inseguitrice il Leeds campione
in carica, che concluse il girone di andata a cinque punti dall'Everton.
All'inizio del girone di ritorno i Toffees ebbero un calo di rendimento che
consentì al Leeds United di avvicinarsi alla vetta, che riuscirono a
raggiungere alla ventottesima giornata. Ma dopo sei giornate l'Everton riprese
il comando della classifica e fece il vuoto, portandosi in tre giornate a +7
dai bianchi di Elland Road. Grazie a questo vantaggio ottenuto anche grazie ai
23 centri di Joe Royle, l'Everton poté laurearsi campione d'Inghilterra con due
giornate di anticipo e con otto punti di vantaggio sul Leeds, che divennero
nove all'ultima giornata. Facciamo ora un salto temporale, saltiamo i settanta
e i primi anni ottanta che puzzano di vittorie del Liverpool e che da altre
parti alimenterebbero complessi d'inferiorità di cui nessuno però dalle parti
di Goodison Park pare soffrire. Andiamo direttamente al 15 maggio del 1985. Una
data storica. l'Everton vince la Coppa delle Coppe, il suo primo trofeo
europeo, battendo nella finale di Rotterdam gli austriaci del Rapid Vienna. Fu
una stagione entusiasmante quella della squadra allenata da Howard Kendall.
Anche perché insieme alla splendida avventura europea si abbinò una nuova
vittoria in campionato. Quest' ultimo conquistato con 90 punti, 13 di distacco
dai vicini in maglia rossa che in quel periodo continuavano ad andare alla
grande. Maggior numero di vittorie, minor numero di sconfitte e migliore
attacco con 88 reti di cui 23 dello scozzese Greame Sharp. E' la squadra di
Howard Kendall. Arrivò all' Everton da manager nel 1981 dopo che fra il 1967 e
il 1974 sempre qui aveva collezionato da giocatore 229 presenze e 21 centri.
Inglese del nord, nato nella contea di Durham, due guance paonazze e un sorriso
allegro. L'avventura europea prende inizio il 19 settembre 1984 dalla vicina
Dublino. Al Tolka Park gremito di oltre 10 mila persone, i Toffees affrontano
la UCD, l'University College di Dublino. Partita tirata, anche un po' tesa se
vogliamo. Finirà zero a zero. Due settimane dopo a Goodison Park basterà un gol
del solito Sharp in apertura di gara per chiudere i conti. Negli ottavi di
finale i "Kendall Boys" affrontano l'Inter Bratislava. Andata
nell'allora Cecoslovacchia il 24 ottobre 1984, in un periodo dove si
incominciava ad andare all'est con meno timore e con più conoscenze di chi si
doveva realmente affrontare. L' Everton si porterà a casa un importante
successo per 1-0 grazie a una rete di Paul Bracewell. Il ritorno del 7 novembre
è pura accademia: Heat, Sharp e Kevin Sheedy firmeranno un 3-0 senza storia.
Terminata la consueta pausa invernale, L'Everton incrocia nei quarti gli
olandesi del Fortuna Sittard. Prima gara a Liverpool, mercoledì 6 marzo 1985.
Gli olandesi in giallo verde sono avversari ostici, il campo è visibilmente
allentato, dovunque si alzano piccole zolle di terra. Ma quando Andy Gray
approfitta di un incertezza del portiere ospite per ribadire in rete un tiro di
Reid, la tensione si scioglie e diventa festa. Le paure della vigilia vengono
spazzate via e Gray firmerà la tripletta del trionfo: 3-0. Corre, anticipa
tutti, esulta, alla fine sembra non crederci nemmeno lui. Lui, il ragazzo di
Glasgow che alla fine di quella stagione farà piangere tutti i tifosi
dell'Everton che volevano non se ne andasse. Ma d'altra parte stava arrivando
dal Leicester un certo Lineker e i suoi 40 goal stagionali, stavano arrivando
le sue prodezze messicane, e in ultimo arrivarono anche i soldi del Barcellona.
Il ritorno in Olanda non avrebbe dovuto far nascere troppe preoccupazioni ma a
scanso di equivoci questo Everton non concederà nulla agli avversari e si
imporrà con le reti di Peter Reid e Greame Sharp. I Toffees vengono così
inseriti nell'urna delle semifinali dove, fra le pretendenti al ballo finale si
aggirava minaccioso uno spauracchio che tutte le altre tre volevano evitare: il
Bayern Monaco di Jean Marie Pfaff, Dieter Hoeness, Klaus Augenthaler, e Lothar
Matthaeus. Un rullo compressore che aveva schiacciato tutti gli avversari. Dai
norvegesi del Moss, fino alla Roma, battuta sia in casa che in trasferta. E il
genietto dello spettacolo non poteva esimersi dall'abbinare i blues ai
tedeschi. Il 10 aprile 1985 sono in oltre settantamila al vecchio Olympia
Stadion. La squadra di Kendall soffre l'emozione scenica, e la pressione dei
bavaresi si fa insistente. Sembra che da un momento all'altro i rossi possano
passare. Ma quelli in maglia blu resistono. Sopratutto quello in maglia verde:
Neville Southall, il portierone gallese con i baffi da druido. La sue doti
funzionano. Dirrà di no anche a un certo Rumenigge, che dopo l'ennesima parata
si mette le mani fra i capelli. Quando finisce l'assedio il tabellone dice 0-0.
Primo pari per il Bayern in coppa. Il 24 aprile in un Goodison Park da brividi
sono quasi in cinquantamila a gremire l'impianto. Un'atmosfera unica. “We Are The
Famous EFC, e poi di seguito, When The Blues Go Marchin' In...” brividi, e
potere arcano che si sprigiona. Sprazzi d'incanto di serate dove qualcosa di
prodigioso era nell'aria, prima che il calcio moderno spazzasse via
insolentemente ogni forma di magia. I nuovi inquisitori non perdonano, guai ad
ammettere che preferivate il calcio di una volta. Vi rinchiuderanno in una
cella legati con una catena fatta di smart card. Al muro della prigione,
spugnato con le stelle della Champions, appenderanno il loro bando che dichiara
fuorilegge ogni forma di licenza poetica, per lasciare spazio e gloria solo
alla concretezza economica. L'unico dogma che per loro conduce al successo. La
semifinale di ritorno si presenta comunque difficile. Il pari raccolto in
Germania non può e non deve far stare tranquilli. Quando poi Dieter Hoeness, al
37° minuto, porta in vantaggio i tedeschi sembra davvero che le speranze siano
ridotte a un esile lumicino. Ma ecco quella magia di cui parlavo poco fa. E'
ora di farlo. Qui nel sottosuolo scorrono energie misteriose, questa è terra di
antichi riti, la bacchetta magica di Kendall può funzionare. Durante
l'intervallo nessun rimprovero, nessun urlo in faccia. Kendall ordina molto
semplicemente di ascoltare quei cori che giungevano distintamente anche nel
chiuso degli spogliatoi. E' quella la sua bacchetta magica. Lo sa. L'Everton
che riappare in campo lotta su ogni pallone, pressa, non da respiro al Bayern
che appare frastornato. E appena iniziata la vera grande notte del Goodison
Park. Sharp, Gray, Stevens: 3-1. Una rimonta strordinaria. I toffees sono in
finale. Rotterdam sarà letteralmente invasa dal popolo blu. Saranno all'incirca
in 25 mila. Molti di loro pregustano addirittura il "treble". Una
stagione da incorniciare insomma. Un dominio assoluto. Ma adesso l'ostacolo si
chiama Rapid Vienna che arriva in finale seguito da scorie polemiche. Infatti
nel corso della gara di ritorno degli ottavi di finale contro il Celtic, i
bianco-verdi viennesi, che avevano vinto 3-1 la gara d'andata in casa, si
trovavano sotto di 3 gol nel ritorno a Glasgow, quando il difensore Rudolf
Weinhofer si gettò a terra, sostenendo di essere stato colpito da una bottiglia
lanciata dagli spalti dai sostenitori dei Bhoys. Sulla falsariga di quanto
deciso in occasione di Borussia Monchengladbach - Inter, l'UEFA decise di
annullare la partita, e di farne giocare un'altra in campo neutro. Questo
nonostante le immagini televisive dimostrassero che Weinhofer non fosse stato
minimamente sfiorato.. Come pena aggiuntiva, al Celtic fu comminata una multa
di 17.000 sterline e la squalifica del campo per una partita. Nella
ripetizione, disputata all'Old Trafford di Manchester, il Rapid si impose per
1-0 e guadagnò il passaggio del turno. Ma il 15 maggio 1985 l'Everton si prese
quindi anche la briga di vendicare gli scozzesi e la sportività. Il Rapid cadde
sotto i colpi dei “soliti noti” ,Andy Gray, Trevor Steven e Kevin Sheedy per un
perentorio 3-1 finale. L'Everton campione d'Inghilterra saliva anche sul podio
europeo in un annata che non divenne leggendaria solo perchè un'invenzione di
un ragazzotto nordirlandese di nome Norman Whiteside regalò tre giorni dopo la
FA Cup al Manchester United. Ma la parabola di quella squadra non era finita.
Nel 1987 Kendall riporta l'Everton a vincere il campionato. Un torneo che vide
subito in testa squadre atipiche come il West Ham, e il neopromosso Wimbledon,
ma la non abitudine ai vertici fa soffrire di vertigini e blocca il proseguo
della scalata, lasciando strada al Nottingham Forest. Quest'ultimo si staccò
dalla vetta alla settima giornata e condusse la classifica fino alla
quattordicesima, tallonato dai canarini di Norwich che addirittura alla decima
giornata presero provvisoriamente il comando della classifica. L'alternanza
sembrò non conoscere soste. Al quindicesimo turno l'Arsenal, rinnovato
dall'avvento in panchina di George Graham, prese il comando in solitario e
allungò sulle inseguitrici, concludendo il girone di andata a +4 dall'Everton,
rimasto fino a quel momento solo a ridosso delle prime. All'inizio del girone
di ritorno i gunners allungarono di un punto il vantaggio sull' Everton, ma
subito dopo accusò un vistoso calo permettendo la rimonta dei Blues, che alla
ventiseisima giornata superarono i londinesi e tentarono la fuga inseguiti dai
rivali del Liverpool. I Reds rimontarono lo svantaggio sulla capolista,
prendendo la testa della classifica alla trentesima giornata, ma l' Everton
riuscì a recuperare lo svantaggio dopo quattro giornate e allungò sui rivali
acquisendo un distacco sufficiente ad assicurarsi la vittoria del campionato
con due giornate di anticipo, in uno dei tornei più combattuti e incerti di
sempre. L'ultimo squillo al campanello della sala delle vittorie del Goodison
Park e datato 1995. A suonare con la FA Cup in mano è Paul Rideout, ad aprire e
poggiare la coppa in bacheca Joe Royle, uno che qui è sempre stato di casa.
Andate al «The Abbey». E' un pub tutto rosso ma dentro batte un cuore tutto
blu. Potreste trovarvi dei tipi con la maglia dell' Everton e sulle braccia
tatuato il motto del club: «Nil satis nisi optimum». Nient'altro che il meglio
è abbastanza. Oppure perché no, fare la conoscenza di una di quelle ragazze che
prima della partita fanno il giro del campo lanciando caramelle agli
spettatori. Si lo so, non bisognerebbe accettare dolcetti dagli sconosciuti, ma
qui potrebbero offendersi, d'altra parte siamo non o non siamo fra i toffees?
di Sir Simon
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