Affacciatevi sul Tamigi mentre attraversate Putney Bridge.
Potreste vedere una maestosa famiglia di cigni scivolare elegante e silenziosa
sulle acque del placido fiume. Provocazione emotiva. Perché fondamentalmente il
romanticismo nella sua essenza è la condizione dell’uomo che si affida alle
dolcezze del sentimento per sfuggire alle asprezze della ragione. Hanno
abbattuto il vecchio Wembley e le sue torri, salvandone solamente l’apparenza e
la parvenza. Le macerie di Highbury invece respirano ancora. E’ il progresso
dicono. Sparisci storia, non sei più gradita. Sei anacronistica, senile, puzzi
di rancido. E il fascino? Solo pelle raggrinzita di mille partite, maglioni di
lana pesante e ridicoli palloni di cuoio scuro. Ma il carisma della leggenda?
Vene varicose di vecchie tribune, buone solo per nostalgici come me. Quello era
il calcio di una volta, stai invecchiando mi dicono. Vuoi per caso rimettere i
riflettori degli anni settanta all’ Emirates Stadium? Lì ci vanno le famiglie.
Sedute, comode, ordinate, pulite, sicure. Con attorno steward educati,
discreti, che non si inquietano mai, perché l’immagine è importante, che
scherziamo. Come le maglie. Ogni anno riviste e corrette in nome della legge di
un merchandising sempre più prioritario. Malinconia. Una tristezza non chiara,
non definita. Una voglia di solitudine, un senso di grigiore, di vuoto
interiore. E allora cerco conforto dal vecchio poeta seduto sulle rive del
Tamigi. Meglio se in autunno, quando la breve camminata in mezzo agli alberi e
alle case in stile di Bishop’s Park si colora di ruggine e sa di salmastro. Un
tempo c’era un casolare fatto costruire nel 1780 da un certo barone William
Craven. Un alloggio per il ludico divertimento di bizzosi aristocratici inglesi
nelle loro giornate di caccia. Ma non solo spari. Sembra che anche altre
attività sportive si svolgessero nei boschi che circondavano il Cottage. Quando
nel 1888 un incendio lo distrusse, il Fulham scelse questo luogo ameno per
costruire il suo nuovo stadio. Forse per non privare l’ambiente dei
divertimenti che lo avevano contraddistinto. I lavori cominciarono nel 1894 e
dopo due anni nacque il Craven Cottage. Facciata edoardiana in mattoni rossi,
frutto della mente geniale di Archibald Leitch. Oggi della struttura originaria
resta soltanto proprio la Stevenage Road o Johnny Haynes Stand, dal nome del
celebre calciatore soprannominato “il maestro” che regalò tutta la sua carriera
agonistica al Fulham. Il Fulham, certo. Verrebbe subito da cantare, “There’s
only one club in Fulham..”. E’ l’orgoglio delle origini. D’altra parte questo è
il più antico club di Londra, i vicini del Chelsea arrivarono dopo. Ventisei
anni dopo, quel fatidico 1879 quando un gruppo di fedeli alla chiesa anglicana
fonda il club dei “Cottagers”. Ma stiamo divagando troppo, perché il filone
originale di questo racconto doveva prevedere il riassunto di quell’unico
viaggio a Wembley. Di quel giorno di maggio del 1975, quando il Fulham contese
al West Ham la coppa d’Inghilterra. Esattamente il 3 maggio 1975. E lo fece da
squadra di seconda divisione, ma si trattò di una cenerentola accompagnata al
gran ballo da due principi azzurri d’eccezione: Il capitano Alan Mullery, per
anni gloriosa colonna del Tottenham, e niente meno che l’iconico Bobby Moore,
il condottiero del mondiale 1966, nonché irripetibile mito proprio degli
avversari di quel pomeriggio. In panchina Alec Stock, amatissimo dalle parti di
Loftus Road per aver sdoganato negli anni sessanta il QPR da un mediocre
anonimato. Uno che ebbe anche una fugace esperienza con il calcio italiano a
Roma nel 1957 ma che non riuscì mai ad adattarsi venendo esonerato dopo quattro
mesi, in concomitanza con l’aver perso il treno per la trasferta di Napoli.
Quel Fulham era una squadra tutta composta da inglesi, se si eccettua la
mascella volitiva dell’irlandese Jimmy Conway. La FA Cup 1974/75 prende la sua
forma definitiva nel tradizionale terzo turno, un appuntamento da sempre
imperdibile, uno di quei momenti benedetti, in cui Dio non solo deve salvare la
Regina, ma anche tutto il calcio inglese. Il 4 gennaio ci furono subito vittime
illustri. Tottenham Hotspur, Wolverhampton Wanderers, e Manchester City: i
londinesi impattarono dapprima 1-1 al City Ground di Nottingham, per poi venire
estromessi dal Forest fra le mura amiche di White Hart Lane per 1-0. I Wolves invece
andarono direttamente fuori senza passare dal replay battuti in casa 2-1
dall’Ipswich Town. Stessa sorte per i citizens che crollarono a Maine Road,
contro il sempre ostico Newcastle per 2-0. I detentori del Liverpool si
imposero 2-0 sui vasai di Stoke, mentre il West Ham espugnò Southampton 2-0.
Non mi sono scordato del Fulham. Per i bianchi fu un terzo turno più complicato
del previsto. Ci vollero ben tre partite per piegare la stoica resistenza
dell’Hull City. Tre settimane dopo è già tempo dei sedicesimi di finali, anzi
da purista preferisco chiamarlo per quello che in realtà è, ovvero il quarto
turno. Fu terreno di caccia per giant killer, che fecero due scalpi illustri.
Il piccolo Walsall fece fuori davanti al suo pubblico il Newcastle per 1-0, e
l’Ipswich Town che cominciava a scintillare di futura bellezza andò a violare
il tempio di Anfield con il medesimo punteggio. Fu dura anche per gli Hammers,
costretti da un brillante Swindon Town al replay che però si vide spegnere dai
londinesi i sogni di gloria in casa propria. Assurdo, (ma solo se si esce
dall’ottica inglese), l’impegno del Fulham contro il Nottingham Forest. Quattro
partite quattro, dal 28 gennaio al 10 di febbraio, con ultimo decisivo successo
per 2-1. Poche le emozioni invece che riservò il quinto turno, anzi no, perché
i Cottagers andarono a sbancare Goodison Park contro un Everton che in quel
momento veleggiava nella prima posizione della massima serie. E non scordiamoci
che lo fecero da squadra di categoria inferiore. Nel derby del Boleyn Ground
invece vittoria sofferta del West Ham sul QPR. Un successo quest’ultimo che
entra in scia con la stracittadina del turno successivo di sabato 8 marzo dove
il favoritissimo Arsenal, dovette fare i conti con l’irriguardosa ispirazione
dei claret&blue di Upton Park. Alan Taylor in giornata di grazia mise a
segno una decisiva doppietta che cancellò i gunners dal tabellone della coppa.
L’Ipswich continuò il suo stato di grazia facendo fuori in due incontri il
Leeds United di Allan Clarke e John Giles. Per il Fulham l’insidia si chiama
Carlisle United, ma una rete di Les Barrett in trasferta scacciò ogni dubbio e
ogni timore. Gli accoppiamenti per le semifinali del 5 aprile mettono di fronte
West Ham- Ipswich Town al Maine Road, e Fulham- Birmingham City a Hillsborough.
A Manchester la contesa si chiude a reti inviolate, mentre a Sheffield sarà
ugualmente pareggio ma con goal. Mitchell per i cottagers, Gallacher per i
“nasi blu”. Mercoledi 9 aprile si rigioca. Prassi di una liturgia consolidata e
bellissima, persa nella frenesia inutile e asettica della coppa moderna. A
Stamford Bridge ancora due goal di Taylor mandano avanti i martelli, al Maine
Road che stavolta ospita Fulham e Birmingham finirà al 120esimo minuto dei
supplementari grazie all’eroe di queste semifinali per gli “whites” John
Mitchell. La finale. Wembley e i suoi centomila. La prima volta per il Fulham.
L’emozione e qualche sbadataggine di troppo, tra il buffo e il grottesco, come
quella degli accompagnatori della squadra che si erano dimenticati i
parastinchi nei magazzini del Craven Cottage, e ci fu bisogno di ridurre con un
seghetto quelli acquistati in un negozio nei dintorni dello stadio. Un Fulham
che scese in campo con la consueta tenuta bianca dai baveri neri con il
raffinato acronimo del club sulla maglia sottolineato dal ricordo dell’evento,
altra tradizione meravigliosa e tutta british. I ragazzi di Stock non erano i
favoriti anche se in campo la qualità non mancava e l’approccio alla gara non
fu dei più timidi. Certo dall’altra parte oltre al già citato Taylor,
spiccavano l’emergente Trevor Brooking, l’imperturbabile capitano Billy Bonds,
e Frank Lampard, padre del futuro giocatore del Chelsea. E lentamente lo West
Ham dopo un primo tempo incolore, incomincia a macinare gioco, fino a che nella
ripresa la solita doppietta di Alan Taylor indirizza la coppa nel popolare east
end. Al fischio finale del signor Pat Partridge, si chiude il sogno di quel
Fulham, nell'attesa fin troppo paziente, di una chimerica prossima volta.
http://rulebritanniauk.forumfree.it/?t=63216123
di Sir Simon
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