“La cosa grandiosa del Leicester City è che facciamo schifo!
Siamo spazzatura! Ma questo non importa perché quella volta che raggiungi un
obbiettivo è tutto più dolce dopo aver sofferto così tanto..!” Parole senza
musica di Sergio Pizzorno il capelluto chitarrista dei Kasabian, felicissimo a
quanto pare di crogiolarsi nella mediocrità delle volpi. E questo concetto
sembra attecchire anche fra tifosi meno famosi: “Immaginate di essere stati per
20 anni sulla South stand a supportare una squadra ridicola, e improvvisamente
diventasse un gruppo di fenomeni.. Non puoi voltargli le spalle è la tua
squadra, però ti spezzerebbe il cuore vederli vincere facilmente.. Deve essere
successo lo stesso a quelli del Chelsea.. arriverei perfino a odiarli un po’ se
questo accadesse anche al Leicester, se diventassimo solo una macchina macina
soldi.. Preferisco tifare per una squadra di merda”. Pensiero estremo, che
ovviamente non tutti condividono, soprattutto le generazioni più giovani, ma ad
ogni modo idea rispettabile per quanto paradossale, visto che pur sempre
emanazione di chi ha trascorso più tempo della sua vita a vedere giocare undici
uomini in maglia blu, che con la propria famiglia. Oh, adesso occorre
contestualizzare meglio. Leicester è una bellissima cittadina, stracolma di
fiori, verde, prati e piste ciclabili. Gode del privilegio di essere la “First
Environment City of England” e vanta splendidi parchi, fra cui lo straordinario
Abbey Park. E non stupitevi, se, fra le miriadi di animaletti presenti,
incrociate delle piccole volpi rosse, denominate simpaticamente “Urban Foxes”.
La loro presenza fra le vie cittadine ormai è una piacevole costante. Ora se il
corto circuito appare inevitabile, l’accostamento calcistico fox- Leicester non
sarà subito automatico. Come non lo sarà nemmeno il suffisso City. In realtà il
primo nome del club fu Leicester Fosse perché il campo da gioco si trovava in
una certa Fosse Road. Bisogna comunque andare per gradi. Nel 1884 un gruppo di
ragazzi della Wyggeston School, lasciata la Bibbia nei banchi dell’ sobrio
Istituto, formalizzarono la nascita del sodalizio riunendosi in una casetta da
giardino a pochi passi da South Fosse Road, nome derivato dall’antica strada
romana che partiva da Exeter, attraversava Bath, Cirencester, Leicester e
terminava a Lincoln. L’aspetto curioso è che sul terreno preso in affitto
appunto a Fosse Road, il neonato Leicester Fosse giocò soltanto una partita per
trasferirsi quasi subito nella zona di Victoria Park, quella dove oggi si erge
l’imponente monumento in memoria dei caduti delle due guerre. Ma anche qui il
pallone ebbe vita breve. Sarebbe occorso, infatti, recintare il terreno per
organizzare partite di un certo livello e iscriversi ai campionati ufficiali.
Venne allora trovato un “impianto” (termine non esattamente corretto..) nella
zona nord della città, a Belgrave Road. Purtroppo mancavano gli spogliatoi a
ridosso del campo, e i baldi giocatori erano costretti a usare il White Hart
Hotel. Bene direte voi, no, aggiungo io. L’Hotel era a disposizione ma si
trovava a più di un miglio di distanza. Nonostante tutto per due anni il
“Fosse” si arrangiò come meglio poteva, se non che, fu obbligato a abbandonare
Belgrave Road, sconfitto dalla concorrenza di un team di Rugby che
evidentemente aveva argomentazioni economicamente più convincenti dei ragazzi
vestiti con i camicioni bianco blu, che se ne tornarono mestamente in quel di
Victoria Park. Il nomadismo esasperato di quegli anni era però tutt’altro che
concluso. Meno di una stagione, e il Leicester Fosse si spostò in Mill Lane,
poi quando sembrava che questa potesse essere finalmente la sede definitiva,
arriva la richiesta di “sfratto” da parte della commissione edilizia locale,
perché il sito in questione era stato adibito alla costruzione di nuove
abitazioni. Un trauma. Quel Leicester era nuovamente senza casa. Pare che il
problema si risolse con una passeggiata. Un giorno la signorina Westland nipote
di Joseph Johnson uno dei fondatori del club, passeggiando con lo zio in Walnut
Street, pensò che quello poteva essere un buon posto per il “Fosse”. Lo zio,
prese talmente in seria considerazione la sua proposta che dopo qualche tempo
iniziarono i lavori, e il 17 ottobre 1891 fu inaugurato lo storico stadio,
ribattezzato successivamente, come Filbert Street, e che per 111 anni ha fatto
da scenario alla più importante squadra della città. Per la denominazione
“City” bisognerà invece attendere il 1920, quando per sopraggiunti problemi
economici la società fu rifondata e si decise di rinominarla, con un sostantivo
di maggiore “appeal”, segno che anche a quei tempi era importante garantirsi
una certa immagine visto e considerato che da poco era arrivato anche lo
“status” di città. E con il nuovo nome arrivò rapidamente anche un altro
nickname. Dopo “le nocciole” ecco le volpi. D’altro canto la folta presenza di
quest’ animale nelle campagne del Leicestershire, e la rinomata caccia alla
suddetta, non poteva, non influenzare la scelta del nomignolo. La
raffigurazione di una volpe sulle maglie del Leicester City apparve per la prima
volta nel campionato 1948/49. Più avanti, in anni relativamente recenti, il
disegno venne incorporato al centro di un crest araldico che ricordava
l’insegna personale di Robert di Beaumont, primo conte di Leicester. Dal
momento che stiamo analizzando l’anima storica di questo club, non possiamo
esimerci dal ricordare che da lustri il Leicester City scende in campo sulle
note emotive del Gallop Corn Post, una melodia utilizzata nel XIX secolo per
annunciare l’arrivo in città delle diligenze. Il brano fu suonato con certezza
a Filbert Street almeno dal 1930, quando un uomo vestito con un cappotto blu e
un cappello a cilindro si posizionava all’imbocco del tunnel degli spogliatoi e
suonava la tromba. Alcuni anni fa fu suggerito di sostituire l’antico suono con
qualcosa di più moderno, ma la reazione immediata della maggioranza dei fedeli
delle foxes, ebbe la capacità di far desistere subito dal progetto, e così il
City continua ad avere la musica d’ingresso in campo più tradizionale della
cara e vecchia Inghilterra. All’inizio del racconto ho ironicamente accennato
al fatto che il Leicester non sia propriamente quello che si dice una squadra
di successo. In effetti, se la federazione non si fosse inventata il terzo
trofeo domestico per importanza, ovvero la coppa di Lega, vinta per tre volte(
l’ultima nel 2000 )il museo del nuovo Walkers Stadium, o per l’esattezza King
Power, sorto nel 2002, a poca distanza da Filbert Street, apparirebbe
desolatamente vuoto. L’elenco delle glorie sfiorate parla di un secondo posto
in campionato nel 1929, e “quattro finali quattro” di FA Cup, perse
rispettivamente nel 1949, 1961, 1963 e 1969. A dirla tutta ci sarebbero da
menzionare sei titoli di seconda divisione e una particolare Charity Shield
datata 1971 vinta in casa contro il Liverpool in quanto l’Arsenal campione si
rifiutò di partecipare all’evento e la partita fu disputata fra i reds secondi
classificati e il Leicester City vincitori della divisione cadetta. Qualche
nome è d’obbligo. Gli anni 20-30, oltre a una nuova promozione del club dopo
quella ottenuta nel 1908, durata però solo una singola stagione, sono gli anni
della presenza di uno dei giocatori più importanti della storia del sodalizio
ovvero Arthur Chandler, un omaccione nato a Paddington capace di mettere a segno
259 goal in 393 partite. Memorabile il campionato 1928/29 chiuso al secondo
posto alle spalle dello Sheffield Wednesday. Resterà come detto in precedenza
il miglior risultato nella massima serie del club. Dal 1935 fino allo scoppio
del secondo conflitto mondiale assistiamo a un periodo di promozioni e
retrocessioni continue, poi nel 1949 il Leicester conquista la sua prima finale
di FA Cup, persa per 3-1 contro il Wolverhampton. Gli anni cinquanta
scorreranno sotto la stella di Arthur Rowley il giocatore che più di tutti ha
segnato nei campionati professionistici inglesi. Lo soprannominarono “the
gunner” per l’esplosività del suo piede sinistro. Arrivò dal Fulham per 14000
sterline, e perché a quanto sembra sia lui che la moglie appena sposati non
gradivano troppo vivere nella caotica Londra, e Leicester sembrò a entrambi un
ottima soluzione. Le oltre 250 reti segnate stanno lì a dimostrarlo. L’anno di
grazia fu il 1957 sotto la guida di Dave Halliday con 44 centri in 42 partite.
Ma il momento migliore per il club di Filbert Street, sono probabilmente gli
anni sessanta. Il decennio del manager Matt Gilles e del suo assistente Bert
Johnson, che raggiunsero la finale di coppa d’Inghilterra nel 1961 e nel 1963,
vincendo la finale di coppa di lega del 1964 con un rocambolesco 4-3 ai danni
dello Stoke City, ma non bissando il successo l’anno seguente. Interessante
periodo dove il Leicester City venne apostrofato come “The Kings Ice” grazie a
un percorso di forma sensazionale sui campi ghiacciati che lo portarono a ottenere
un quarto posto finale nel campionato di prima divisione, il migliore dal
dopoguerra a oggi. Gilles si dimise nel novembre del 1968 e al suo posto arrivò
Frank O’Farrell che riuscì ad evitare la retrocessione e portare per la quinta
volta a una finalissima in appena dieci anni anni il Leicester, dove però
ancora una volta si arrese all’atto conclusivo di quell’ edizione di FA Cup, al
Manchester City. A questo punto si succederanno sulla panchina, Jimmy
Bloomfield, Frank Mc Lintock, Jock Wallace (che porterà l’ennesimo titolo di
campione di seconda divisione nel 1980), e Gordon Milne che salirà in First
Division nel 1983, tanto per citare i più importanti. Ma per tornare a
sollevare una coppa servirà attendere l’era Martin O’Neill. Il tecnico nord irlandese
arriva nel 1995 e subito ottiene una palpitante promozione nella finale play
off’s grazie a un goal nei minuti finali di Steve Claridge. Il Leicester City
si consoliderà in Premier League per un discreto periodo di tempo e porterà a
casa due coppe di Lega. La prima nel 1997 contro il Middlesbrough, la seconda
nel 2000 contro il Tranmere Rovers, e sollevata al cielo dal grintoso capitano
Matt Elliott. Nel mezzo, una finale persa malamente, sempre di League Cup, al
novantesimo con il Tottenham. Quando a fine 2000 O’Neill lascia il testimone a
Peter Taylor incominciano anni complicati e sottotono con retrocessioni e
amministrazione controllata a causa del forte indebitamento societario. Fu una
cordata guidata fra gli altri dall’ex attaccante Gary Lineker a dare una mano
al club per uscire dalle brutte acque. Anzi diciamo dalla tana. Alla fine
stiamo trattando di volpi, possiamo fare un sorriso, lo dice anche l’inno del
club. “When you’re smiling”.
http://rulebritanniauk.forumfree.it/?t=63648323
di Sir Simon
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