Onorati come sempre di pubblicare l'ennesimo grande racconto di SIR Simon!
Mettergli un po’ di sale in zucca? Inutile, tempo sprecato.
Più probabile oggi realizzi uno dei suoi goal. D’altra parte in fondo è il suo
mestiere, quello che vuole la gente da lui. E poi magari festeggerà
aggiustandosi quella fascetta da tennista che tiene in testa, e alzerà il
braccio verso l’alto. Non in maniera rigida, rabbiosa, sprezzante, bensì molle,
quasi stancamente, come se anche esultare gli costasse fatica.
E allora,
come previsto, segna. Accade al minuto trentatré del primo tempo quando
raccolse una gemma di Roy Greaves colpendo di mancino inesorabilmente alle
spalle di John Butcher. E lui se la rise, guardando compiaciuto tutta quella
folla in estasi, arrivata da Bolton per veder sancita una promozione nella
massima serie che mancava ormai da ben quattordici anni.
Ok,
facciamo ordine. Il suo nome completo è Frank Stewart Worthington da Halifax,
uno dei calciatori più talentuosi e abili nella storia del calcio inglese.
Della sua grazia sopraffina con il pallone se ne accorgono per primi a
Huddersfield nel 1966, e con loro contribuirà alla promozione del club in Prima
Divisione nel 1970. Si trasferisce a Leicester nel 1972, dove vi trascorre un
periodo di successi, prima di riunirsi con il suo ex manager Ian Greaves, al
Bolton cinque anni dopo.
I suoi
centri spettacolari del campionato 1977/78 faranno impazzire Burnden Park,
trascinando i trotters nelle parti alte della classifica. E i tifosi ovviamente
lo amavano. Come si può amare di un amore profano uno spirito anticonformista.
Tutti sapevano del suo tenore di vita, della passione per le macchine sportive,
la sua debolezza per le belle donne e le ore piccole. Negli anni di Bolton se
ne andava in giro con una reginetta di bellezza delle isole Barbados. Il solito
Maverick insomma. Uscito dalle mille correnti del mare mosso degli anni
settanta. Non il primo, e nemmeno l’ultimo.
Worthington
aveva accettato di lasciare Leicester nel 1977 e di collaborare ancora una
volta con il suo vecchio manager. Certo non era arrivato gratis. Il Bolton
sborsò oltre 90000 sterline per averlo. Ma nel giorno più importante del
campionato nessuno si preoccuperà di tutti quei soldi. Sarà sua la rete che
permise la vittoria a Ewood Park contro il Blackburn Rovers, utile per
riportare il vecchio Bolton alla conquista di un campionato, con quell' unico e
indimenticabile sigillo che valse partita e stagione.
Bolton?
Quasi. Esattamente Horwich un miglio circa a ovest del centro cittadino, dove
arriva il respiro ingombrante della Grande Manchester. Il club fu fondato nel
1874 con il nome di Christ Church FC da un gruppo di studenti della Christ
Church Sunday School di Blackburn Street, sotto la supervisione del loro
maestro di scuola, Thomas Ogden. Il primo presidente fu il vicario della Christ
Church, protagonista della scissione del sodalizio avvenuta nel 1877 al
Gladstone Hotel da cui nacque la società attuale.
Wanderers:
vagabondi, perché al club non era mai stato assegnato un proprio terreno di
gioco in maniera stabile. Dapprima eccoli al Park Recreation Ground, poi al
Cockle's Field, in seguito al Pike's Lake Ground, infine definitivamente fino
al 1997 a Burnden Park.
Ian Graves
e le sue rughe dipinte sul volto, lasciarono Huddersfield nell'estate del 1974.
Entrò nel Bolton Wanderers inizialmente come assistente di Jimmy Armfield. Ma
quando Armfield se ne andò a rimpiazzare Don Revie al Leeds United, fu promosso
allenatore in prima, prendendo in consegna una squadra che comprendeva un
gruppo di discreto talento.
E con
qualche innesto riuscì nell’impresa di vincere la Seconda Divisione inglese del
1978.
Bolton, è
terra di rivoluzione industriale e di slanci religiosi riformatori.
Dall’inventore Samuel Crompton, all’predicatore protestante George Marsh messo
al rogo per eresia dalla regina Maria la sanguinaria. Nei dintorni della città,
presso Halliwell, troverete all'interno del vecchio maniero di Smithills Hall,
la sua impronta del piede. Narra la leggenda che riaffermò così solidamente la
sua fede, mentre veniva “esaminato”, che la sua impronta s’impresse nel
pavimento in pietra..
Scansati
gli immancabili fantasmi, torniamo a parlare dei trotters. Prima di quel
fatidico 1978 erano stati due gli avvenimenti principali che avevano scosso la
Bolton sportiva del dopoguerra. Il primo è un ricordo tragico, si tratta del
disastro avvenuto a Burnden Park nel 1946 e passato stranamente sempre sotto
troppo silenzio.
Una
tragedia dimenticata. Una tragedia occorsa esattamente 67 anni fa: il 9 marzo
1946: sesto turno di FA Cup, da disputare tra i padroni di casa e lo Stoke
City. Il Bolton aveva già vinto la FA Cup negli anni venti ed era alla ricerca
di un'altra affermazione. Lo Stoke invece non aveva mai vinto la Coppa ma nelle
sue fila militava una leggenda del calcio inglese, Stanley Matthews.
La
possibilità dunque di vedere Stanley Matthews e la fortuita coincidenza che il
campionato non era ancora iniziato dopo la guerra, rendevano il torneo più
popolare che mai, e questa gara in particolare.
Non si
trattò di una gara sold-out: il picco di pubblico per quella stagione fu di
43,453 spettatori, ben al di sotto del record assoluto dello stadio, stimato in
70.000 spettatori. Se a ciò si aggiunse che la Burnden Stand con i suoi 3.000
posti era ancora requisita dal Ministero per gli approvvigionamenti, e che i
tornelli sull’immenso Embankment Stand erano chiusi, si arrivò ad una
concentrazione di pubblico sugli ingressi dell’altra gradinata.
I tifosi
iniziarono ad arrivare a centinaia dall’una del pomeriggio, e alle due e mezzo,
l’enorme Embankement Stand era già al pieno della sua capacità.
Alf
Ashwort, testimone oculare presente alla partita, dal suo punto di vista privilegiato
dalla gradinata opposta ricorda:
“L’ingresso
era solo da Manchester Road, e subito a destra dei tornelli c’era un bar. La
gente si riuniva attorno a questo bar, e non si muoveva da lì, nonostante fosse
evidente che c’erano altri locali più avanti”.
Alle 14.40
i tornelli vennero chiusi, benché centinaia di persone stessero ancora cercando
di entrare allo stadio. Molti entrarono nell’Embankement Stand, già
sovraccarico di persone, dalla ferrovia che passava li vicino, semplicemente
rimuovendo pezzi di recinzione fatiscente. La gente già nella tribuna era
spinta dalle persone che continuavano ad entrare. Al calcio d’inizio successe
l’irreparabile: la folla che continuava a entrare dal lato della ferrovia
spingeva sempre più le persone all’interno dello stadio, finché una barriera
metallica non cedette e, le persone ricorda un altro dei presenti:
“Sembrava
che cadessero come un mazzo di carte, la gente veniva portata via in barella,
con le braccia penzolanti”.
La partita
fu sospesa e le squadre abbandonarono il campo alle 15.12. La polizia ordinò di
riprendere la gara meno di mezzora dopo, con le linee laterali del campo dove
era avvenuta la tragedia rifatte empiricamente con della segatura.
Oltre la
linea laterale giacevano i corpi su barelle improvvisate, coperti con delle
giacche. Senza la percezione esatta dell’accaduto le squadre ripresero a
giocare semplicemente invertendo le porte e la partita finì senza gol in una
mestizia terribile.
Il bilancio
della tragedia di Burnden Park parlò poi di 33 vittime e oltre 400 feriti, la
tragedia più grande fino a quella occorsa all’Ibrox Park nel 1971.
Meglio
andarono le cose nel 1958 quando il Bolton tornò a trionfare in coppa, battendo
a Wembley il Manchester United. Ma se non vi è sfuggito la data anche in quel
caso siamo reduci da un ennesima tragedia. Quella che coinvolse non il Bolton,
ma i loro avversari nella neve dell’aeroporto di Monaco tre mesi prima. Eppure
i reduci del disastro, Bobby Charlton su tutti, uniti all’entusiasmo dei
ragazzi della squadra riserve e guidati in panchina dal gallese Jimmy Murphy,
vista la convalescenza di Matt Busby, arrivò in finale fra l’entusiasmo e la
commozione di un intero paese. E tutti tifavano per loro. Tutti volevano che quella
coppa andasse allo sfortunato club di Manchester. Non un’ottima prospettiva per
il Bolton, che tutto sommato, quella partita se l’era guadagnata. Un po’ quello
che successe quando cinque anni addietro tutti volevano la vittoria per il
Blackpool di Matthews. Ma a differenza del 1953 i trotters di Bill Ridding non
si lasciarono intimidire e ammorbidire dall’impatto ambientale, e vinsero con
la doppietta del gigante Nat Lofthouse. E’ vero, all’uscita si beccarono un
fitto lancio di pomodori, ma il trofeo se lo portarono a casa.
Il
campionato vincente 1977/78 cominciò in una sorta di derby con il Burnley a
Turf Moor, e subito arrivò una vittoria in trasferta per uno a zero, bissata
tre giorni dopo dal successo casalingo sul Millwall per 2-1. Graves poteva
contare veramente su di un ottimo gruppo. E se vogliamo, a corredo romantico,
anche su una delle maglie più belle della storia dell’abbigliamento tecnico del
Bolton. Una “umbro” bianca a maniche lievemente tratteggiate, con numero rosso
sulla schiena e pantaloncini royal navy. Uno sballo, che anche oggi fa le
fortune dei venditori di divise da calcio vintage.
In porta
James “Jim” Martin McDonagh uno dei migliori estremi difensori che hanno mai
difeso la porta del Bolton. Davanti a lui si distinguevano l’irlandese Tony
Dunne, il roccioso Paul Jones e i baffi curati del centrale Sam Allardyce.
Accanto a Big Sam si muoveva l’elegante Mick Walsh. In mezzo al campo spiccava
la qualità di Roy Graeves nascosto spesso dalla sua barba scura, l’infaticabile
ragazzo di casa il piccolo e tosto Brian Smith, e poi ecco l’esperienza del
pilastro Peter Reid, a urlare ordini all’espressione sofferente e grintosa di
Alan Gowling e all’abile ala scozzese Willie Morgan. Quest’ultimo, un altro
idolo di Burnden Park cui i tifosi dedicarono la canzone: “We’ve got Willie,
Willie, Willie, Willie Morgan, on the wing, on the wing…”
A disegnare
strategie per il già citato Worthington, ci pensò l’ex giocatore del Liverpool
Peter Thompson e Ray Train che accesero la scintilla letale di Neil Whatmore,
con la sua maglietta perennemente fuori dai pantaloncini, autore in quella
benedetta stagione di diciannove centri.
In ogni
caso non fu così semplice. Il palo colpito da John Radford nell’ultima di
Blackburn trema ancora. Il Southampton e il Tottenham Hotspur poi, minacciarono
costantemente la squadra di Greaves. Ci furono momenti difficili come quello
seguito alla sconfitta patita a White Hart Lane, ma ugualmente altri magnifici
come la vittoria al Bramall Lane per 5-1, e quella interna per 6-3 sul Cardiff
City. Alla fine la classifica finale disse Bolton 58, Saints 57 e Spurs 56.
Tutte e tre furono promosse in Prima Divisione, ma la coppa
la sollevarono quei vagabondi di Burnden Park.
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