sabato 17 agosto 2013

We are The One and Only Wanderers...

 Onorati come sempre di pubblicare l'ennesimo grande racconto di SIR Simon!



Mettergli un po’ di sale in zucca? Inutile, tempo sprecato. Più probabile oggi realizzi uno dei suoi goal. D’altra parte in fondo è il suo mestiere, quello che vuole la gente da lui. E poi magari festeggerà aggiustandosi quella fascetta da tennista che tiene in testa, e alzerà il braccio verso l’alto. Non in maniera rigida, rabbiosa, sprezzante, bensì molle, quasi stancamente, come se anche esultare gli costasse fatica.

E allora, come previsto, segna. Accade al minuto trentatré del primo tempo quando raccolse una gemma di Roy Greaves colpendo di mancino inesorabilmente alle spalle di John Butcher. E lui se la rise, guardando compiaciuto tutta quella folla in estasi, arrivata da Bolton per veder sancita una promozione nella massima serie che mancava ormai da ben quattordici anni.

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Ok, facciamo ordine. Il suo nome completo è Frank Stewart Worthington da Halifax, uno dei calciatori più talentuosi e abili nella storia del calcio inglese. Della sua grazia sopraffina con il pallone se ne accorgono per primi a Huddersfield nel 1966, e con loro contribuirà alla promozione del club in Prima Divisione nel 1970. Si trasferisce a Leicester nel 1972, dove vi trascorre un periodo di successi, prima di riunirsi con il suo ex manager Ian Greaves, al Bolton cinque anni dopo.

I suoi centri spettacolari del campionato 1977/78 faranno impazzire Burnden Park, trascinando i trotters nelle parti alte della classifica. E i tifosi ovviamente lo amavano. Come si può amare di un amore profano uno spirito anticonformista. Tutti sapevano del suo tenore di vita, della passione per le macchine sportive, la sua debolezza per le belle donne e le ore piccole. Negli anni di Bolton se ne andava in giro con una reginetta di bellezza delle isole Barbados. Il solito Maverick insomma. Uscito dalle mille correnti del mare mosso degli anni settanta. Non il primo, e nemmeno l’ultimo.

Worthington aveva accettato di lasciare Leicester nel 1977 e di collaborare ancora una volta con il suo vecchio manager. Certo non era arrivato gratis. Il Bolton sborsò oltre 90000 sterline per averlo. Ma nel giorno più importante del campionato nessuno si preoccuperà di tutti quei soldi. Sarà sua la rete che permise la vittoria a Ewood Park contro il Blackburn Rovers, utile per riportare il vecchio Bolton alla conquista di un campionato, con quell' unico e indimenticabile sigillo che valse partita e stagione.

Bolton? Quasi. Esattamente Horwich un miglio circa a ovest del centro cittadino, dove arriva il respiro ingombrante della Grande Manchester. Il club fu fondato nel 1874 con il nome di Christ Church FC da un gruppo di studenti della Christ Church Sunday School di Blackburn Street, sotto la supervisione del loro maestro di scuola, Thomas Ogden. Il primo presidente fu il vicario della Christ Church, protagonista della scissione del sodalizio avvenuta nel 1877 al Gladstone Hotel da cui nacque la società attuale.

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Wanderers: vagabondi, perché al club non era mai stato assegnato un proprio terreno di gioco in maniera stabile. Dapprima eccoli al Park Recreation Ground, poi al Cockle's Field, in seguito al Pike's Lake Ground, infine definitivamente fino al 1997 a Burnden Park.

Ian Graves e le sue rughe dipinte sul volto, lasciarono Huddersfield nell'estate del 1974. Entrò nel Bolton Wanderers inizialmente come assistente di Jimmy Armfield. Ma quando Armfield se ne andò a rimpiazzare Don Revie al Leeds United, fu promosso allenatore in prima, prendendo in consegna una squadra che comprendeva un gruppo di discreto talento.

E con qualche innesto riuscì nell’impresa di vincere la Seconda Divisione inglese del 1978.

Bolton, è terra di rivoluzione industriale e di slanci religiosi riformatori. Dall’inventore Samuel Crompton, all’predicatore protestante George Marsh messo al rogo per eresia dalla regina Maria la sanguinaria. Nei dintorni della città, presso Halliwell, troverete all'interno del vecchio maniero di Smithills Hall, la sua impronta del piede. Narra la leggenda che riaffermò così solidamente la sua fede, mentre veniva “esaminato”, che la sua impronta s’impresse nel pavimento in pietra..

Scansati gli immancabili fantasmi, torniamo a parlare dei trotters. Prima di quel fatidico 1978 erano stati due gli avvenimenti principali che avevano scosso la Bolton sportiva del dopoguerra. Il primo è un ricordo tragico, si tratta del disastro avvenuto a Burnden Park nel 1946 e passato stranamente sempre sotto troppo silenzio.

Una tragedia dimenticata. Una tragedia occorsa esattamente 67 anni fa: il 9 marzo 1946: sesto turno di FA Cup, da disputare tra i padroni di casa e lo Stoke City. Il Bolton aveva già vinto la FA Cup negli anni venti ed era alla ricerca di un'altra affermazione. Lo Stoke invece non aveva mai vinto la Coppa ma nelle sue fila militava una leggenda del calcio inglese, Stanley Matthews.

La possibilità dunque di vedere Stanley Matthews e la fortuita coincidenza che il campionato non era ancora iniziato dopo la guerra, rendevano il torneo più popolare che mai, e questa gara in particolare.

Non si trattò di una gara sold-out: il picco di pubblico per quella stagione fu di 43,453 spettatori, ben al di sotto del record assoluto dello stadio, stimato in 70.000 spettatori. Se a ciò si aggiunse che la Burnden Stand con i suoi 3.000 posti era ancora requisita dal Ministero per gli approvvigionamenti, e che i tornelli sull’immenso Embankment Stand erano chiusi, si arrivò ad una concentrazione di pubblico sugli ingressi dell’altra gradinata.

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I tifosi iniziarono ad arrivare a centinaia dall’una del pomeriggio, e alle due e mezzo, l’enorme Embankement Stand era già al pieno della sua capacità.

Alf Ashwort, testimone oculare presente alla partita, dal suo punto di vista privilegiato dalla gradinata opposta ricorda:

“L’ingresso era solo da Manchester Road, e subito a destra dei tornelli c’era un bar. La gente si riuniva attorno a questo bar, e non si muoveva da lì, nonostante fosse evidente che c’erano altri locali più avanti”.

Alle 14.40 i tornelli vennero chiusi, benché centinaia di persone stessero ancora cercando di entrare allo stadio. Molti entrarono nell’Embankement Stand, già sovraccarico di persone, dalla ferrovia che passava li vicino, semplicemente rimuovendo pezzi di recinzione fatiscente. La gente già nella tribuna era spinta dalle persone che continuavano ad entrare. Al calcio d’inizio successe l’irreparabile: la folla che continuava a entrare dal lato della ferrovia spingeva sempre più le persone all’interno dello stadio, finché una barriera metallica non cedette e, le persone ricorda un altro dei presenti:

“Sembrava che cadessero come un mazzo di carte, la gente veniva portata via in barella, con le braccia penzolanti”.

La partita fu sospesa e le squadre abbandonarono il campo alle 15.12. La polizia ordinò di riprendere la gara meno di mezzora dopo, con le linee laterali del campo dove era avvenuta la tragedia rifatte empiricamente con della segatura.

Oltre la linea laterale giacevano i corpi su barelle improvvisate, coperti con delle giacche. Senza la percezione esatta dell’accaduto le squadre ripresero a giocare semplicemente invertendo le porte e la partita finì senza gol in una mestizia terribile.

Il bilancio della tragedia di Burnden Park parlò poi di 33 vittime e oltre 400 feriti, la tragedia più grande fino a quella occorsa all’Ibrox Park nel 1971.

Meglio andarono le cose nel 1958 quando il Bolton tornò a trionfare in coppa, battendo a Wembley il Manchester United. Ma se non vi è sfuggito la data anche in quel caso siamo reduci da un ennesima tragedia. Quella che coinvolse non il Bolton, ma i loro avversari nella neve dell’aeroporto di Monaco tre mesi prima. Eppure i reduci del disastro, Bobby Charlton su tutti, uniti all’entusiasmo dei ragazzi della squadra riserve e guidati in panchina dal gallese Jimmy Murphy, vista la convalescenza di Matt Busby, arrivò in finale fra l’entusiasmo e la commozione di un intero paese. E tutti tifavano per loro. Tutti volevano che quella coppa andasse allo sfortunato club di Manchester. Non un’ottima prospettiva per il Bolton, che tutto sommato, quella partita se l’era guadagnata. Un po’ quello che successe quando cinque anni addietro tutti volevano la vittoria per il Blackpool di Matthews. Ma a differenza del 1953 i trotters di Bill Ridding non si lasciarono intimidire e ammorbidire dall’impatto ambientale, e vinsero con la doppietta del gigante Nat Lofthouse. E’ vero, all’uscita si beccarono un fitto lancio di pomodori, ma il trofeo se lo portarono a casa.

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Il campionato vincente 1977/78 cominciò in una sorta di derby con il Burnley a Turf Moor, e subito arrivò una vittoria in trasferta per uno a zero, bissata tre giorni dopo dal successo casalingo sul Millwall per 2-1. Graves poteva contare veramente su di un ottimo gruppo. E se vogliamo, a corredo romantico, anche su una delle maglie più belle della storia dell’abbigliamento tecnico del Bolton. Una “umbro” bianca a maniche lievemente tratteggiate, con numero rosso sulla schiena e pantaloncini royal navy. Uno sballo, che anche oggi fa le fortune dei venditori di divise da calcio vintage.

In porta James “Jim” Martin McDonagh uno dei migliori estremi difensori che hanno mai difeso la porta del Bolton. Davanti a lui si distinguevano l’irlandese Tony Dunne, il roccioso Paul Jones e i baffi curati del centrale Sam Allardyce. Accanto a Big Sam si muoveva l’elegante Mick Walsh. In mezzo al campo spiccava la qualità di Roy Graeves nascosto spesso dalla sua barba scura, l’infaticabile ragazzo di casa il piccolo e tosto Brian Smith, e poi ecco l’esperienza del pilastro Peter Reid, a urlare ordini all’espressione sofferente e grintosa di Alan Gowling e all’abile ala scozzese Willie Morgan. Quest’ultimo, un altro idolo di Burnden Park cui i tifosi dedicarono la canzone: “We’ve got Willie, Willie, Willie, Willie Morgan, on the wing, on the wing…”

A disegnare strategie per il già citato Worthington, ci pensò l’ex giocatore del Liverpool Peter Thompson e Ray Train che accesero la scintilla letale di Neil Whatmore, con la sua maglietta perennemente fuori dai pantaloncini, autore in quella benedetta stagione di diciannove centri.

In ogni caso non fu così semplice. Il palo colpito da John Radford nell’ultima di Blackburn trema ancora. Il Southampton e il Tottenham Hotspur poi, minacciarono costantemente la squadra di Greaves. Ci furono momenti difficili come quello seguito alla sconfitta patita a White Hart Lane, ma ugualmente altri magnifici come la vittoria al Bramall Lane per 5-1, e quella interna per 6-3 sul Cardiff City. Alla fine la classifica finale disse Bolton 58, Saints 57 e Spurs 56.


Tutte e tre furono promosse in Prima Divisione, ma la coppa la sollevarono quei vagabondi di Burnden Park.


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