"You
are Now Entering Loyalist Sandy Row". Terminati i lavori di
rimozione del murales lealista dedicato all’Ulster Freedom Fighters, occorre
fare spazio a un nuovo murales che possa cercare di ritrarre la cultura di
questa zona di Belfast in un modo più positivo e meno minaccioso. Il vecchio
disegno paramilitare, sarà sostituito da un ritratto di Guglielmo III d’Orange,
incorniciato dalla celebre citazione di ciò che disse ai suoi soldati la
mattina della Battaglia del Boyne nel 1690. Siamo a poche decine di metri dal
terreno chiamato The Meadow, il prato, situato proprio dietro all’antica
filanda nella zona di Belfast sud chiamata appunto Sandy Row. Qui il Linfield
FC giocò la sua prima partita nel marzo del 1886, battendo per 6-5 il
Distillery, e nei mesi successivi, in cui l’Irish League non era ancora stata
fondata, il club passò di successo in successo, creandosi una grande
reputazione in città e una crescente popolarità nel resto del paese. Il
sodalizio fu fondato nel marzo del 1886 con il nome di Linfield Athletic, ma
era già da qualche mese, esattamente dall'autunno del 1885, che un tale Bob
McClurg, aveva raggiunto una sorta di comunione d'intenti con alcuni colleghi
di lavoro per creare una squadra, sull'onda crescente della sempre maggiore
passione per il calcio. Lui era uno dei tanti operai della filanda chiamata
“Linfield”, di proprietà dell’Ulster Spinning Company.
Belfast,
Sandy Row, Windsor Park, Linfield. Non illudiamoci troppo, osservando
quel sobrio murales del vecchio re olandese. Qui il sangue ribolle. Come tazze
da thè lasciate troppo in infusione. Anche qui come per i “fratelli in blu” dei
Rangers, vige la regola non scritta di non tesserare giocatori cattolici o
comunque non protestanti. Anche qui ci sarebbe stato posto per i disordini
creati dal caso Maurice Johnstone. Forse peggiori. Una regola rispettata negli
anni in maniera molto ferrea, se si escludono alcuni giocatori che hanno
giocato per veramente poco tempo nelle file dei blues, durante il periodo
passato alla storia come “The Troubles”. L’eccezione di rilievo arrivò pure
qua, sia chiaro, quando Dessie Gorman nel 1992 lasciò lo Shelbourne per firmare
con il Linfield, spinto forse, da quel vento soffiato qualche anno prima a
Glasgow e che aveva aperto crepe nell' ideologia del settarismo sportivo anche
a Belfast. Ma insisto. La favoletta che il pallone unisce, da queste parti non
attacca, neppure sui muri, se sotto il manifesto «Love Football, Hate
Bigotry»,- ama il calcio odia la mentalità ristretta-, solo qualche anno fa
scrissero «Boruc Rip», Boruc riposa in pace. Epitaffio cimiteriale destinato al
portiere polacco nel periodo in cui militava al Celtic. Lo chiamavano "Il
portiere Santo", The Holy Goalie, per via di quella maglietta sbattuta in
faccia ai tifosi dei Gers dopo che il suo Celtic aveva vinto un derby per 3-2.
C'era il volto di Wojtyla e la scritta "Dio benedica il Papa".
Provocazione, insulto, non si può. Non qui. Oppure la famosa telefonata che
arrivò alla sede di Belfast della BBC, in Ormeau Avenue, nel tardo pomeriggio
del 21 agosto 2002: «Qui è il Loyalist Volunteer Force, se Neil Lennon stasera
entrerà in campo, sarà seriamente colpito».
Una semplice partita contro Cipro. Per Neil sarebbe stata la
prima partita da capitano dell’Irlanda del Nord: “Non importava che la mia
famiglia non avesse nulla a che fare con gruppi estremisti, contava solo che
ero cattolico, e per giunta del Celtic Glasgow”. Un eretico, insomma, dentro
Windsor Park. “Della minaccia -dice Lennon- fui informato da due poliziotti:
tutti sapevamo che quel colpire seriamente significava che c’erano buone
possibilità di rimetterci la pelle”. “Così mi ritrovai diretto verso casa,
dentro la macchina di mio padre, che conserva ancora i biglietti, inutilizzati,
di quella partita”. Lennon, poi diventò allenatore del Celtic, ma quella notte
chiuse la carriera internazionale: costretto dal proprio popolo, ma di fede
avversa, che già l’aveva fischiato di brutto, qualche mese prima, contro la
Norvegia. Com’era successo negli anni ‘80 ad Anton Rogan, pure lui difensore
dei biancoverdi scozzesi.
Obbiettivamente certe cose negli anni sono un po’
migliorate, non risolte. Lecito sperarlo, impossibile crederci. Un ossimoro.
Semmai il pallone può unire quando è ovale, se da oltre cent’anni la Nazionale
di rugby rappresenta l’intera isola. Oppure deve prenderlo a calci quel
geniaccio di George Best, protestante ma favorevole all’Irlanda unita, che mise
tutti d’accordo anche al suo funerale.
Il Linfield è la faccia calcistica della Belfast lealista.
Vincente, se i numeri hanno qualche riscontro obbiettivo. Quando nacque la Lega
nel 1890, ne divenne parte integrante, e si aggiudicò subito i primi tre
campionati, perdendo solo due partite su quaranta giocate. All'epoca il campo
di casa era quello di Ulsterville Avenue, a pochi passi da Lisbon Road ma una
momentanea crisi economica a metà dell'ultima decade del secolo costrinse i
"Blues" a spostarsi da lì e muoversi in giro per la città, senza
riuscire a stabilirsi in un luogo fisso. Nel 1895 fu preso in affitto il campo
di Balmoral road ma la situazione non migliorò più di tanto perché i lavori di
adattamento dell'impianto dovettero essere pagati con una parte del compenso
previsto per i giocatori, e ovviamente il club dovette adattarsi per qualche
anno. Almeno fino al 1904, quando venne finalmente acquistato l'attuale Windsor
Park. La prima partita fu giocata nel nuovo stadio proprio contro i rivali
cittadini del Glentoran, il 2 settembre 1905, anche se a quei tempi onestamente
la rivalità più accesa era quella contro il Belfast Celtic. Lo stadio
ridisegnato e migliorato poco dopo da Archibald Leitch, fu ultimato negli anni
trenta, non subendo più grandi variazioni nel corso degli anni. In ogni caso,
nonostante le iniziali precarietà di sistemazione, il Linfield, conquista il
campionato nel 1895, 1898, 1902, e 1904, e l’Irish Cup nel 1895, 1898, 1899,
1902, 1904. Una litania di vittorie, lunga come il sermone di un pastore
protestante. Come dire che nemmeno il vagabondaggio tra un impianto all'altro
poteva fermare i "Blues" nella loro corsa verso il record assoluto di
successi in Irlanda. Una continua cavalcata lungo la via dei trofei, delle
coppe, dei campionati, che sono arrivati costantemente lungo tutto l'arco
dell'esistenza del club. La decade di maggior gloria, a livello di Irish
League, è stata quella degli anni Ottanta, con ben otto titoli in dieci
stagioni. Artefice dei trionfi Roy Coyle: nome completo e esatto Robert Irvine
Coyle, nato proprio a Belfast nel gennaio del 1946. Un’ala dai capelli lunghi e
biondicci e dalla scorza dura, che aveva esordito come calciatore nel 1966 con
il Ballymena United. Arrivò sulla panchina del Linfield nel ruolo di player
manager nel 1975 e ci resterà fino al 1990, diventando il manager più vincente
nella storia del club, con ben 31 competizioni vinte. Alle sue spalle, usando
un termine ippico sempre molto gradito in Gran Bretagna, si posiziona a “un
incollatura” David Jeffrey, l’allenatore attuale, che dal 1997 ha collezionato
30 trofei tra campionato e coppe. E c’è chi ha conosciuto entrambi. Si chiama
Noel Bailie. Venticinque anni ininterrotti di grinta, al servizio del Linfield
come difensore centrale. Un record straordinario con 1013 presenze con il club
di Windsor Park. Ha giocato sotto la guida di quattro diversi allenatori (dai
citati Roy Coyle e David Jeffrey, passando per Eric Bowyer prima e Travor
Anderson poi) Bailie ha vinto 10 campionati e 7 coppe, raggiungendo la
millesima apparizione il 24 aprile 2010 in un match contro il Crusaders FC.
Dopo il suo addio al calcio a quaranta anni suonati, la società ha deciso di
ritirare l’insolita maglia numero 11, a eterno ricordo di questo meraviglioso
giocatore della storia societaria. Una squadra comunque da sempre serbatoio di
stelle per la nazionale nord irlandese, e di giocatori che poi emigrarono in
Inghilterra per ottenere maggiori guadagni (specialmente dagli anni Sessanta
dopo la fine del salary cap). Il cielo del Linfield non ha però, mai potuto
risplendere in campo europeo, dove l’atavica inferiorità delle squadre
irlandesi (sia del Nord che dell'Eire) ha lasciato solo spazio a saltuarie
imprese, come ad esempio quella del 1966-67, quando il Linfield Football &
Athletic Club (perché le cose vanno chiamate con il suo nome completo) arrivò
ai quarti di finale della Coppa dei Campioni. In un periodo dove ancora la
manifestazione era vera, e non una sala giochi per grandi club economicamente
potenti. In quell'occasione i "Blues" superarono i primi due turni
prima di arrendersi ai bulgari del CSKA Sofia, pareggiando 2-2 all'andata con
le reti di Bryan Hamilton e Shields, cedendo solo 1-0 in trasferta. Sono gli
anni di Phil Scott, un abile interno velocissimo dall' ottima visione di gioco,
e Sammy Pavis abatino biondo appassionato di biliardo soprannominato “Sammy
Save Us”, autentica icona capace di "mandare in buca 63 palle" in una
singola stagione. A cavallo fra gli anni settanta e ottanta invece non era difficile
ascoltare spesso il coro “there is only one Billy Muray”, in omaggio
all’istrionico attaccante, specchio di quegli anni, ma davvero flagello dei
terzini avversari. Undici stagioni con il Linfield per poi trasferirsi al
Ballyclare Comrades, ma lui stesso dirà che il suo cuore non ha mai perso la
tonalità blu. Oppure perché no, Peter Rafferty detto “Bald Eagle” 332 partite e
42 centri. In tempi più recenti non dobbiamo scordarci di Glenn “Spike”
Ferguson ingaggiato dal Glenavon nel 1998 per 55000 sterline, uno dei migliori
affari mai portati a termine dalla dirigenza del Linfield. Una pioggia di goal,
intensa come i dissidi di Belfast. Dissidi sono un eufemismo naturalmente,
anche se il manager David Jeffrey si ostina a proclamare il desiderio dei giocatori
di indossare la “famous blue shirt”, senza alcun riferimento alle diverse
confessioni religiose. Per i tifosi però non è sempre così. L’episodio più
recente risale al marzo di quest’anno in occasione della sentitissima sfida tra
il Linfield e il Derry City, valida per il ritorno dei quarti di finale della
Setanta Cup. La partita si è disputata al Brandywell Stadium di Londonderry, la
città del tristemente famoso Bloody Sunday. Durante la gara si è potuto
assistere agli ormai consueti cori settari da parte di entrambe le tifoserie.
Una tensione altissima all’interno dello stadio al punto che l’intervento delle
forze dell’ordine a fine gara si è reso necessario, per impedire uno scontro
che sembrava purtroppo davvero inevitabile. Alla fine, però, quasi una gita del
dopolavoro in confronto a episodi ben più gravi successi in passato. Il culmine
fu toccato forse in occasione del Boxing Day del 1948 disputatosi a Windsor
Park tra il Linfield e il Belfast Celtic. Un finale drammatico sfociato con
l’invasione di campo seguita da uno scontro tra le due fazioni, nel quale
l'attaccante protestante del Belfast Celtic, Jimmy Jones, ne uscì con una gamba
rotta. L'anno successivo la federazione prese una decisione radicale e
controversa: il Belfast Celtic doveva sparire da tutte le competizioni
nordirlandesi, per sempre. Nel 1997, il match contro il Coleraine dovette
essere sospeso dopo che un tifoso (tifoso?) scagliò due bottiglie sul terreno
di gioco a seguito dell'espulsione di due giocatori del Linfield. Vietata nel 2005
la trasferta dei sostenitori dei blues al The Oval per la trasferta contro i
rivali del Glenavon a causa delle minacce di agguati mortali ricevute dai
tifosi di “Lurgan”. Ordine eseguito, con il sollievo di molti. La risposta
indiretta: uno sputo, una birra, e un God Save the Queen. Identità. Perché qui
il muro non è solo fisico. E’ psicologico, sociale, ti insegna a odiare quelli
dell’altra comunità da quando non sai ancora parlare, ti dice che cosa puoi
fare e cosa no, dove puoi andare e dove non mettere piede se vuoi vivere.
Oppure, se ve la sentite, seguite il motto del Linfield: “Audaces fortuna
ìuvat”: La fortuna aiuta gli audaci. Fate voi.
by Sir Simon
http://rulebritanniauk.forumfree.it/?t=63986793